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martedì 8 ottobre 2013
di Marcello Cabriolu.
Si riprende l’analisi dei motivi incisi sul macigno di Alghero, facendo riferimento al cruciforme tra i semicerchi in basso a sinistra e ai motivi a T e allo scalariforme posti nel registro centrale del reperto. La presenza dei motivi cruciformi nell’ambito dell’arte rupestre è segnalata nella regione francese in una ventina di siti[1] che vanno dal 20.000 BP al 12.000 BP, evidenziando come, pur essendo motivi grafici di notevole antichità, siano ancora frequenti in contesti del Tardiglaciale[2]. Ad onor del vero il motivo cruciforme è testimoniato nell’arte rupestre sin dall’Aurignaziano (35000 BP-25000 BP) lungo il bacino del Rodano[3]; durante il Gravettiano (25000 BP – 20000 BP) lungo il bacino della Dordogna e sui Pirenei; durante il Solutreano (20000 BP – 16000 BP) sempre lungo il bacino della Dordogna e infine, quasi come cultura “polarizzata”, durante il Maddaleniano (16000 BP – 12000 BP)[4] sui Pirenei e nella Dordogna. La presenza di motivi cruciformi nella penisola si può individuare tra le pitture della Grotta delli Callarelli di San Valentino (PE)(502-9) (dove l’inquadramento proposto si orienta tra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro[5]); nel Riparo I Santo Spirito di Roccamorice (PE) – dove tre cruciformi si presentano appaiati[6](504-54) -; ancora nel Riparo di Morra di Colecchia, posto nel comune di Canterano (RM), tra i quali una quantità innumerevole di incisioni comprende numerosissimi cruciformi[7].
I segni cruciformi si possono ancora trovare nell’Europa danubiana, dove anche per questa manifestazione grafica/segno/simbolo, compaiono dei riferimenti precisi ad un classificato: DS (Danube Script) 011.0[8], la cui forbice cronologica indica un periodo compreso tra il 5200 a.C e il 4000 a.C[9], oltre a comparire nello studio OEW (Old European Writing) con l’indicativo OE130[10]. Lo studio di M. M. Winn inquadra ancora il simbolo con l’indicativo DS 144[11]. La presenza di cruciformi si segnala[12] in località San Pietro del Golgo – Baunei, in prossimità di due pozzi di età nuragica, in un contesto con strutture circolari a sacco dove il simbolo esaminato si mostra chiuso in una circonferenza.
I segni cruciformi[13] compaiono in diverse occasioni nel contesto algherese, sia nel masso in prossimità del laghetto rupestre sia in altre superfici riportate da uno studio di A.G.Segrè (Fig 1- 3,4). In particolare, il segno presente nel reperto in esame pare circondato da due semicerchi. Diversi – e troppo autorevoli per sottovalutarli – studi relativi all’arte rupestre paleolitica della Francia meridionale[14] attribuiscono ai semicerchi[15] il significato di “vulva”[16]. Gli stessi si possono riscontrare nello script danubiano, per la precisione nella classificazione DS 013.0, DS 013.1, DS 013.2[17], in merito all’inquadramento di Winn come DS 110[18] e ancora nel OEW nel segno OE 168[19]. Sempre sui medesimi simboli inquadrati come “semicerchi”, estendendo l’analisi al contesto francese, si può asserire la sostanziale conformità con lo sviluppo dei simboli cruciformi, oltre ad osservarne la medesima diffusione nell’arco cronologico del Paleolitico Superiore continentale[20]. Riflettendo su queste indagini pare spontaneo considerare lo sviluppo di queste forme artistiche in particolari contesti quali il bacino fluviale della Dordogna e il bacino fluviale del Rodano, che risulteranno essere, più tardi, percorsi obbligati di diffusione dell’agricoltura e della rivoluzione neolitica[21], dell’ossidiana di Monte Arci e dell’approvvigionamento di selce color miele[22]. Il dubbio relativo spinge a fare una ulteriore riflessione: la diffusione del motivo cruciforme semicircolare e più tardi dell’agricoltura possono essere relazionate alle presenze umane legate tra loro geneticamente in base al principio di uno sviluppo di scambi tra consanguinei? Oppure queste vie naturali sono state i percorsi obbligatori o preferenziali per i gruppi umani? Una sommaria valutazione su quanto elaborato e confrontato finora ci permette di riassumere brevemente dei punti essenziali: la scuola archeologica sarda elabora degli inquadramenti cronologici, relativi alle incisioni rupestri, sostanzialmente equivalenti alle elaborazioni della penisola, pur non convergendo nei criteri e nelle successioni cronologiche delle incisioni. Questo insieme si contrappone invece, in maniera evidente, agli inquadramenti cronologici, molto più antichi, ipotizzati dai ricercatori internazionali. A questo punto potremmo anche osservare che nel medesimo reperto, dopo una prima analisi, compaiono alcuni simboli riconducibili alla protostoria sarda ed alcuni al Paleolitico Superiore. L’unica riflessione possibile, scartando le considerazioni che i segni analizzati finora possano essere o ricondotti tutti quanti all’Eneolitico o, all’opposto, al Paleolitico Superiore, è quella che vede la Grotta Verde di Alghero frequentata sin dal Paleolitico Superiore. In particolare il macigno esaminato, probabilmente considerato come una sorta di altare sacro, risulta inciso in varie epoche da diversi (o medesimi) gruppi umani, a cui necessitava esprimere dei concetti ben precisi.