Simone Tatti
Sono anni, ormai, che la parola cambiamento risulta essere una tra quelle più usate da chi, specialmente in campagna elettorale, vende aspettative sotto costo ad un elettorato ormai stanco e disilluso. Promesse che, nel corso del tempo, sono state sistematicamente disattese, mettendo in evidenza una tangibile incoerenza tra le parole e i fatti e innescando un sentimento di sfiducia e rassegnazione da parte di chi in un cambiamento ci credeva veramente. Un rinnovamento che, alla luce dell’inaccettabile numero di degenerazioni presenti nella nostra società, non solo è doveroso ma necessario, affinché si ridia la giusta importanza a quei valori repubblicani che con il trascorrere del tempo sono andati perduti.
Siamo tutti, o quasi, consapevoli dell’infinità di anomalie che caratterizza la nostra società. Ciò nonostante non ci adoperiamo abbastanza affinché qualcosa cambi, ma attendiamo passivamente che qualcuno risolva i problemi al posto nostro. Siamo cresciuti con l’idea che non serve essere bravi, ma avere la conoscenza giusta. Non crediamo nella giustizia e siamo sempre pronti a puntare il dito verso qualcun altro. È questo il motivo fondamentale per cui, in alcuni casi, continuiamo ad essere rappresentati da uomini che hanno fatto della politica una semplice professione e con il trascorrere del tempo hanno perso di vista le priorità fondamentali del loro pubblico operare.
“Cambiare” significa anzitutto ritrovare il giusto equilibrio. Rimettere in primo piano l’istruzione, il merito e la giustizia. Contrastare le nuove povertà e correggere gli squilibri sempre più insopportabili nella distribuzione della ricchezza. Recuperare la fiducia nella democrazia e nella politica come esercizio alto della responsabilità collettiva dei cittadini in nome del bene comune. Investire sul lavoro come perno di sviluppo sociale ed economico. Ridare centralità ai giovani riappianando la spaccatura generazionale che si venuta a creare nel corso degli ultimi decenni.
Nel primo editoriale della nostra avventura, firmato da Antonello Menne, si faceva riferimento ad un uomo che nel cambiamento ci ha creduto veramente. Un uomo che ha sacrificato la propria libertà per far si che le cose non rimanessero immutate cosi come le si erano sempre conosciute. Un personaggio che grazie al suo carisma, del cambiamento diventò l’emblema. Un politico che trasformo il Sud Africa nello stato più avanzato dell’intero continente africano e fu convinto sostenitore di giustizia sociale ed egualitarismo.
Non sono bastati 26 anni di reclusione per intaccare l’intensità delle idee in cui credeva, né un premio Nobel per accrescerne il suo ego. Nelson Mandela rimase per tutta la vita persona semplice e determinata, capace di lottare ma disposta a tendere la mano. Sosteneva che la schiavitù, cosi come la povertà, sono mere condizioni umane, ed in quanto tali, facilmente eliminabili se solo ci fosse la volontà politica per farlo.
Muore un uomo ma rimangono le sue idee, il suo coraggio, il suo esempio. Perché cambiare le cose, in fondo, se lo si vuole, non è poi cosi difficile come si crede.
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