tratto da : (clicca qui)
La “Sardinya cromosomica è identitaria” ed anche “cosmogonica” con i suoi nuraghi che parlano di astronomia applicata, dalle parole del prof. Zacharia Sitchin possiamo evincere che forse siamo i diretti antenati degli antichi “Anunnaki” che generarono attraverso la manipolazione genetica una nuova razza terrestre per poterla sfruttare come minatori nello “abtzu” minerario dell’africa sud occidentale ben 300.000 anni fa;
la notizia del prof. Cucca è li ad aprirci una rivelazione che noi sardi già conoscevamo ancor prima dello studio genetico pubblicato su “Science” sui 120 connazionali; non ci vuole molto per comprendere che siamo un popolo a se, basta guardare ascoltare ed osservare il popolo sardo per capire e riconoscere la sua specificità etnica, le sue traditzioni, la sua lingua , le sue particolari espressioni non conosciute ne comprese altrove, è per dirla con la giusta parola una NATZIONE naturale.
Sa Defenza
Gli afro-sardi, purissimi europei
Uno studio sul cromosoma Y ci riporta all’Homo sapiens
Pubblicata negli States l’analisi di un’équipe isolana sul Dna di 1200 soggetti
Caterina Pinna
www.unionesarda.it
È vero che noi sardi non siamo alti, né biondi e l’occhio chiaro suscita in noi un’ammirata sorpresa: il tutto considerato nella media, ben inteso. Se però un marziano dovesse sbarcare sul pianeta blu e dire quali sono gli “europei” indicherebbe senza timore di smentita noi isolani. Un po’ bronzetti nelle fattezze, olivastri di pelle e con troppi peli (sempre nella media) ma provenienti con certezza dal Vecchio Continente.
Bisogna mettersi il cuore in pace, perché a dirlo sono i geni, il Dna, quell’infinita sequenza di triplette nelle quali è scritta la storia degli essere umani. Il primo nucleo che ha abitato l’Isola 7700 anni fa arrivava dall’Europa. Per storia e geografia poi, viviamo in una terra circondata dal mare, la popolazione sarda ha ereditato un altissimo numero di informazioni che ci rende unici e speciali dal punto di vista genetico. Ed è in questo immenso “registro” che è stata scoperta una nuova, preziosissima traccia che ci riporta indietro fino al paleolitico. Grazie a un’analisi dettagliata del cromosoma Y (che determina il sesso maschile) fatta su 1200 sardi, gli scienziati sono stati in grado di risalire al padre comune di noi tutti, all’ homo sapiens vissuto 185 mila anni fa in Africa orientale.
I risultati di questa straordinaria ricerca, condotta da un’équipe coordinata dal professor Francesco Cucca, direttore dell’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica, Cnr di Monserrato e professore di Genetica Medica dell’Università di Sassari, sarà pubblicata sul numero di oggi della prestigiosa rivista americana “Science” con il titolo “Low-Pass DNA Sequencing of 1200 Sardinians Reconstructs European Y Chromosome Phylogeny”. Un riconoscimento importante per il team di scienziati che ha scelto di dedicare il lavoro a Laura Morelli, una collega del gruppo sassarese scomparsa troppo presto.
«La scoperta più significativa della mappatura fatta sul cromosoma Y – spiega il professor Francesco Cucca – è che siamo riusciti a stabilire una data ben più antica di quanto non si fosse fatto finora e questo ci consente di mettere il codice maschile in linea con quello femminile». Si va indietro di oltre 50 mila anni rispetto a quanto indicato nella maggior parte degli studi precedentemente fatti su questo cromosoma.
Dal punto di vista genetico la Sardinya rappresenta uno straordinario laboratorio, perché i sardi assommano nel loro Dna un registro di informazioni ricchissimo. Dunque, all’interno del sequenziamento dell’intero genoma si inserisce «lo studio sul cromosoma Y di 1200 maschi, che rappresenta una popolazione ampia e adeguata a questo tipo di ricerca, e costituisce una fase più avanzata di indagine». Il cromosoma Y è particolarmente adatto per ricostruire ogni passaggio, perché viene trasmesso solo dai padri ai figli maschi, in una singola copia, quindi non si porta dietro le “ricombinazioni” tra contributi paterni e materni, tipici degli altri cromosomi.
Ciò significa che la sua lettura è più lineare ma anche più ricca di informazioni, perché se nella replicazione del codice genetico ci sono state delle “mutazioni”, quando queste riguardano le cellule deputate alla riproduzione sessuata (spermatozoi e ovociti), si accumulano di generazione in generazione. In questo modo ci si porta dietro un’eredità che racconta tutte le “mutazioni” che si sono verificate nei progenitori.
«Lo studio – aggiunge il professor Cucca – conferma che i sardi hanno nel loro Dna una serie di caratteristiche peculiari e distintive – geni frequenti nell’Isola e rarissimi altrove – ma rivela anche che posseggono la maggior parte delle variabilità presente sul Dna del cromosoma Y degli altri popoli europei».
Ecco perché per gli studi genetici ed evoluzionistici, i sardi rappresentano la singola popolazione che racchiude meglio le caratteristiche genetiche di tutti gli europei contemporanei. «La prima espansione demografica risale a 7700 anni fa, grazie a un nucleo fondante, un gruppo che si espande in modo omogeneo in tutta l’Isola, qualunque fosse l’origine. Si suppone però venissero dalla penisola iberica ma tracce di varianti genetiche sono state trovate anche nell’ovest europeo».
Romani e vandali hanno poi portato in Sardinya varianti genetiche rintracciate in Africa. Ogni apporto esterno è stato registrato: per sapere di più su di noi non resta che leggere il sorprendente libro scritto tra le spirali del Dna.
L’indagine fatta da più istituti sardi è dedicata a Laura Morelli, studiosa scomparsa
Un team guidato dal professor Cucca
«Il mio compito è stato quello di legare insieme i fili dei vari gruppi di studiosi, avendo lavorato per anni a Cagliari e poi a Sassari e di nuovo a Cagliari». Il professor Francesco Cucca, allievo del professor Antonio Cao, preferisce distribuire equamente i meriti di una ricerca che ha un valore scientifico molto importante non solo per ciò che riguarda la storia della popolazione sarda ma perché contribuisce a ricostruire le vicende del primo popolamento in Europa. «L’idea – racconta – è nata due anni fa, durante una semplice conversazione tra amici. A un convegno di genetisti in America abbiamo poi capito che gli studi procedevano in questa direzione e questo ha rappresentato un’ulteriore spinta». Lo studio ha coinvolto in una intensa collaborazione numerosi ricercatori di differenti realtà scientifiche. In prima fila il professor Paolo Francalacci docente di Genetica presso il dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio dell’Università di Sassari che insieme al professor Cucca ha ideato e scritto il lavoro. «Del gruppo di lavoro sassarese faceva parte anche Laura Morelli, una collega e amica, recentemente scomparsa dopo una breve malattia, alla quale è dedicato lo studio». È stata la Morelli, insieme a Francalacci ad effettuare le complesse analisi filogenetiche per ricostruire le linee di discendenza del cromosoma Y e i rapporti evolutivi tra di esse.
Gli altri protagonisti sono Carlo Sidore e Serena Sanna dell’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica (IRGB) del Consiglio Nazionale delle Ricerche che hanno avuto un ruolo prevalente insieme a Riccardo Berutti del CRS4 nelle analisi informatiche e statistiche sulle sequenze di Dna esaminate nello studio;
Andrea Angius dell’IRGB-CNR/CRS4 che ha supervisionato il sequenziamento di molti dei campioni Dna considerati nello studio. La ricerca ha coinvolto anche ricercatori di altri gruppi nazionali ed europei (rispettivamente dell’Università di Pisa e di Bilbao) e americani (University of Michigan e National Institute on Aging di Baltimora).
«Saranno due gli studi pubblicati su Science, il nostro e quello di un’équipe americana che ha fatto uno studio analogo su altre popolazioni».
A iniziare a leggere, trenta anni fa, il grande libro genetico della Sardinya è stato il professor Antonio Cao, un pediatra che ha condotto importantissimi studi sulla talassemia, malattia ereditaria. «Noi abbiamo continuato quel lavoro di ricerca», aggiunge ancora il professor Cucca.
Le caratteristiche genetiche dei sardi hanno evidenziato i fattori di rischio di alcune malattie tipiche del bacino del Mediterraneo come il morbo di Cooley, responsabile di tanti morti.
Aggiungiamo l’articolo di Aba del blog monteprama apparso il 3 settembre per arricchire ulteriormente quanto già pubblicato antecedentemente.
sa defenza
Uno studio sul cromosoma Y di 1204 Sardi. Ed il nostro bis-bis-bis…papà
di Atropa Belladonna
monteprama
Non è certo il merito principale di questo articolo, ma prima di dimenticarmene ringrazio sentitamente gli autori per avere fatto una sintesi grafica dei siti archeologici sardi dal mesolitico fino al neolitico tardo: non l’ avevo mai vista prima (figura 1) (1).
Figura1. Distribuzione spaziale di siti archeologici noti, in Sardegna, per l’epoca mesolitca e neolitica (modificato, dal supplementary material del rif. 1). La datazione dei siti di figura 1b, corrisponde alla prima grande espansione neolitica degli agricoltori-allevatori in Sardegna (data media 5700 a.C., 7700 anni BP, before present). Nel lavoro di Francalacci et al. (1), tale espansione corrisponde alla “privatizzazione” sarda di alcune varianti del sotto-aplogruppo I2a1a, presente in ca. il 38% dei campioni analizzati, ma raro nel resto dell’ Europa occidentale.
Detto questo, l’elegante analisi del genetista Paolo Francalacci (Università di Sassari) e co-autori, pubblicata di recente sul prestigioso Science (1), si distingue principalmente per i seguenti aspetti:
a. aver preso in considerazione un campione su larga scala (1204 persone), da una popolazione geneticamente informativa; di questo gruppo è stata analizzata la porzione MSY (maschio-specifica) del cromosoma sessuale Y, cromosoma che i maschi ereditano per via patrilineare (come il cognome, in pratica) (vd in coda al post il paragrafoDefinizioni). Tale porzione è particolarmente adatta ad analisi di genetica evolutiva perchè non presenta ricombinazione ed ha una bassa velocità di mutazione (1);
b. avere usato dati archeologici per la calibrazione dell’ albero evolutivo del cromosoma Y, anche se questo, come ben specificato dagli autori, è forse l’aspetto più critico (vide infra);
c. aver individuato 11763 varianti minime degli aplogruppi studiati, denominate polimorfismi di singolo nucleotide (SNP, Single Nucleotide Polymorphism), di cui ben 6751 nuovi: costituiranno una risorsa preziosa per futuri studi siadi evoluzione molecolare che di interesse medico;
d. l’ aver individuato, nel modo più esaustivo possibile, i cosiddetti private clades (i rami specifici dell’ albero evolutivo del cromosoma Y) della Sardegna, la loro posizione nell’ albero e la loro segregazione dagli altri aplogruppi e sottoaplogruppi (Tabella 1 e albero): questo è fondamentale non certo per evocare i fantasmi nazionalistici, ma per poter stimare la velocità di mutazione spontanea (punto e.)
e. aver contribuito a chiarificare un dilemma long-standing, cioè l’apparente discrepanza tra l’età del nostro più recente antenato comune materno (posto tra 150000 e 240000 anni fa, dall’ analisi del DNA mitocondriale, mtDNA) e quella del più recente antenato comune paterno (finora posta a ca. 50000-115000 anni fa, attraverso l’ analisi del cromosoma Y) (2). Come si sa, il mtDNA lo ereditiamo, tutti, per via materna dalla cellula uovo, mentre il cromosoma Y lo ereditano solo i maschi per via paterna. Entrambi sono soggetti ad una certa velocità di mutazione spontanea e le mutazioni si accumulano nel tempo: nei casi fortunati è possibile stimare la velocità di mutazione di un determinato gene o gruppo di geni, e risalire così al più recente progenitore comune.
Il lavoro di Francalacci et al. (1) ed uno concomitante di G. David Poznik et al. (2), riportano invece le tempistiche sullo stesso piano per maschi e femmine: in (1) si parla di 180000-200000 anni fa per il più recente antenato maschio comune; in (2) di un’epoca un pò più recente, 120000-156000 anni fa. Insomma in altre parole Adamo ed Eva sarebbero grosso modo, coetanei. In realtà, sempre quest’anno, è stato individuato per il cromosoma Y un aplotipodel superaplogruppo A (africano), denominato A00, che sarebbe ancora più antico: 338000 anni fa (3). Non stupisca la variazione così ampia tra diversi studi e con diverse campionature: in assenza o scarsità di dati sperimentali di paleo- ed archeogenetica da campioni datati con sicurezza, e/o di campioni moderni sufficientemente larghi ed informativi, la calibrazione temporale degli alberi evolutivi è affetta da largo errore.
Tabella 1: la distribuzione, presentata in forma semplicata , dei 1204 genomi analizzati tra i diversi aplogruppi, sotto-aplogruppi e le specifiche varianti sarde (private clades) della sezione MSY del cromosoma Y. Come si vede 851 (oltre il 70%) delle MSY cadono nei private clades (modificato da 1). Evidenziato in verde il gruppo legato al cromosoma Y di Ötzi, in giallo l’aplogruppo I, il sottoaplogruppo I2a1a ed il suo private clade utilizzato per stimare la velocità di mutazione (1).
La strategia di analisi e di calcolo si può riassumere in questo modo:
i. dai dati raccolti si costruisce (sostanzialmente tramite comparazione delle sequenze nucleotidiche) un albero filogenetico;
ii. l’albero ed i dati genetici consentono di individuare (se vi sono) le private clades di una determinata popolazione ed i punti di divergenza dai rami di un determinato aplogruppo;
iii. se una o più private clades sono sufficientemente segregate e numericamente ben rappresentate, sono utilizzabili per calcolare la velocità di mutazione per quel determinato sottogruppo; in questo caso si è utilizzato il clade I2a1a-δ che include 430 individui su 1204, cioè il 36%, ed appare completamente segregato;
iv. se, come in questo caso, l’ accumulazione dei vari SNP appare costante nel tempo, la si può utilizzare come una sorta di orologio molecolare per datare le diramazioni dell’ albero: ma per far questo c’è bisogno di un punto di calibrazione, momento critico dell’ intera analisi;
v. il punto di calibrazione scelto, in questo caso, è la prima grande espansione umana della Sardegna, che, dai dati archeologici disponibili, si colloca a ca. 7700 anni fa (fig. 1b);
vi: utilizzando il punto temporale di calbrazione e la variabilità degli SNP interna al private clade selezionato (I2a1a-δ in questo caso), si calcola una velocità di mutazione, che risulta qui essere di una nuova mutazione ogni 205 anni (+/- 50 anni); vii. da questa velocità si estrapola l’ età del più recente progenitore comune maschio, che risulta essere, in questo caso, di ca. 200000 anni.
E’ chiaro che vi sono diverse criticità: prima fra tutte la calibrazione dell’ albero basata su dati archeologici la cui datazione è molto incerta e variabile; sarebbe molto meglio disporre anche di dati genetici da resti umani “d’epoca” datati con ragionevole sicurezza. Inoltre la storia evolutiva viene ricostruita sulla base di una fotografia genetica attuale e di ricostruzioni archeologiche relativamente recenti: l’espansione sarda di ca. 7700 anni fa segue, secondo l’ albero evolutivo ricostruito, la differenziazione dei clades europei principali del cromosoma Y, avvenuta ca. 14000-24000 anni fa (1); ma questa analisi non può dirci nulla del destino genetico, ad esempio, dei fautori della enorme industria litica di Ottana che risale a 100000-700000 anni fa: che fine hanno fatto? c’è ancora qualche traccia di questi antichissimi abitanti, o si sono tutti estinti durante il Pleistocene, nel wipe out del periodo glaciale? Ed ancora: il piccolo manipolo di 13 persone, del campione moderno analizzato, che mostrano aplogruppi prevalentemente africani (A1b1b2b e E1a1, vd. Tabella 1), li hanno ereditati in tempi recenti da invasori Romani e Vandali (come suggeriscono gli studiosi) o sono giunti sull’ isola in tempi più antichi?
L’ analisi di sequenze geniche moderne consente quindi di ottenere un albero filogenetico che riflette i rapporti consequenziali tra di essi. Con sofisticate interpolazioni matematiche, è possibile ricostruire la storia evolutiva di tali sequenze geniche, compiendo una sorta di cammino a ritroso. In casi fortunati si dispone di dati sperimentali provenienti dal passato per verificare se si inseriscano in modo corretto nel quadro (vd. ad esempio il caso di Ötzi, figura 2), ma di certo non si dispone di dati paleogenetici su larga scala: le vere e proprie stratigrafie di aplotipi che vengono ricostruite con questi potenti metodi di sequenziazione e calcolo, rimangono prevalentemente virtuali. Inoltre non possono tenere conto di linee estinte o che hanno avuto un successo trascurabile nel tempo, rendendo ancora oggi largamente incerto il link tra storia delle migrazioni umane e genetica evolutiva. Per fare un esempio, l’ aplotipo Y di Ötzi appartiene al sotto gruppo G2a (come quello di altri due uomini neolitici euroepei) (4), tanto da fare pensare che all’ epoca i G2a fossero molto più diffusi di oggi in Europa, dove attualmente sono rari (1-10%) tranne che in alcune zone del Caucaso, Corsica ed Sardegna (15-30%). Gli aplogruppi dominanti in Europa, oggi, appartegono ai superraggruppamenti I-J ed R .
Ma a proposito di Ötzi, dove si piazza? Il suo aplogruppo è del tipo G2 (4), precisamente del sottogruppo G2a2b che viene rappresentato da 131 sardi nello studio di Francalacci et al. (1, e tabella 1). La specifica variante polimorfica di Ötzi non è rappresentata nel campione preso in esame, ma si posiziona in modo ben delineato nell’ albero filogenetico, evidenziando l’ esistenza di un antenato comune fra Ötzi e gli attuali private clades sardo-corsi del tipo G2a2b. Del resto, che l’ intero genoma della mummia del Similaun avesse come parenti più vicini quello dei Sardi e Corsi moderni, lo avevamo già appreso (4).
Figura 2. Albero filogenetico per il DNA di “Ötzi” (3300-3100 a.C.) (uno zooming dell’ albero completo, che potete osservare in questo sito) (1). Le linee tratteggiate indicano la ramificazione in punti dove la lunghezza dei rami stessi non viene supportata da osservazioni sperimentali sul campione antico. 1) SNPs ancestrali a tutti i sottogruppi osservati; 1-2)
SNPs il cui stato ancestrale in Ötzi è sconosciuto; 2) SNPs non condivisi da Ötzi; 3) SNPs condivisi dai campioni sardo-corsi; Sardo-Corsican samples; 4) inizio degli SNPs per ora unicamente sardi (private); 5) Private SNPs di Ötzi (1, supplementary material).
Conclusioni
Oltre alla nuova datazione del nostro bis-bis-bis….papà, i dati hanno anche implicazioni per le antiche vicende sarde. Nel cromosoma Y dei sardi attuali, sono presenti tutti i più comuni aplogruppi europei, tranne quello N del nord degli Urali. Il grado di intervariabilità è alto, così come la percentuale di campioni che segregano in private clades dell’isola (ca. il 71%). Sono presenti, in percentuali non trascurabili, sotto-aplogruppi rari nel resto d’Europa, come l’ R2a1 ed alcuni del gruppo F e G. Secondo gli autori i dati suggeriscono uno scenario piuttosto intricato per la storia relativamente recente della Sardegna. Nello specifico, la notevole “privatizzazione” in rami specifici sardi degli aplogruppi E, R, e G, è consistente con una ulteriore espansione demografica (oltre quella del neolitico antico, fig. 1b, marcata dalla privatizzazione del ramo I2a1a), durante il tardo neolitico (4000-3500 a.C.). Altre variazioni giunsero probabilmente con l’ arrivo di gruppi umani recanti sottogruppi del tipo I (diverse da I2a1), J e T. I dati genetici concordano con i dati archeologici indicanti che la Sardegna raggiunse un notevole livello abitativo in tempi preistorici.
Ricordiamo che l’ aplogruppo I2a1 del cromosoma Y è identificato dalla mutazione M26, caratteristica della Sardegna (dal 34%-51%, secondo le zone), ma assente/a bassa frequenza nel resto d’Italia, così come nell’ isolato genetico di Carloforte (2%) (5)
Considerazioni finali
Si attendono ovviamente, risultati di archeogenetica sul cromosoma Y da inserire nel quadro e, possibilmente, nell’ albero filogenetico. Per ora gli studi su resti umani recuperati dagli archeologi si sono focalizzati sul DNA mitocondriale e su un numero di campioni limitato.
Come ha fatto notare Rebecca Cann commentando gli articoli (1) e (2), vi sono reticenze e perplessità, per così dire sociali, riguardo questo tipo di studi: “For most biologists, the analysis of SNPs simply provides evidence of population subdivision in the branching patterns of our long-dead ancestors, and this can offer an overwhelming sense of our geographical roots that some will find appealing. However, for social scientists pondering the social consequences of such disclosures surrounding biological diversity in humans, there can be instant recoil at past misguided efforts to use genetics to justify racism”.(6) Queste motivazioni (o meglio in molti casi, pseudomotivazioni), purtroppo, inducono anche a presentare questo tipo di studi, da parte dei media o peggio dai soliti divulgatori, in modo parziale e in gran parte con titoli fuorvianti ed eclatanti. Viceversa, alcuni tendono ad sovraintepretare i risultati di tali indagini in modo favorevole a qualche teoria, dando a questi studi una sorta di potere soprannaturale sull’ interpretazione della storia. In altre parole questi studi bisogna prendersi la briga di leggerli, con santa pazienza, per capirne la portata e potenzialità.
In una bella intervista sul numero estivo 2013 di Focus Storia Collection, il bravissimo Paolo Francalacci risponde ad alcune domande e, tra le altre cose, spiega: “La genetica è più democratica della storia, perchè ci fa vedere gli spostamenti delle masse, non dei singoli re e dei loro eserciti. Gli uomini hanno tutti una origine comune: una piccola tribù africana di circa 150000-200000 anni fa. [..] 27000 anni prima prima di Cristo la base genetica dell’ Italia moderna ha iniziato a definirsi: gruppi di uomini provenienti dal Medioriente e dall’ Europa (prima dal nord, più tardi da occidente) cominciarono a susseguirsi sul territorio italiano fino al XII secolo a.C. [..] La cosa più sorprendente è che il paesaggio genetico italiano è rimasto fermo a età preromana[..] Gli antichi romani, che tanta importanza hanno avuto da un punto di vista culturale e politico non hanno influito molto sui geni degli italiani: erano infatti sì una élite dominante, ma costituivano un gruppo troppo piccolo per lasciare una eredità genetica“.
Questo concetto è, a mio avviso, anche esso molto importante negli studi stessi di genetica evolutiva e nella loro correlazione a dati di archeologia e di storia-spesso dominati proprio dai lasciti delle élites.
(1) Paolo Francalacci et al., Low-Pass DNA Sequencing of 1200 Sardinians Reconstructs European Y-Chromosome Phylogeny, Science, 2013, 341, 565-569 , with free access supplementary material
(2) G. David Poznik, Brenna M. Henn, Muh-Ching Yee, Elzbieta Sliwerska, Ghia M. Euskirchen, Alice A. Lin, Michael Snyder, Lluis Quintana-Murci, Jeffrey M. Kidd, Peter A. Underhill, and Carlos D. Bustamante, Sequencing Y Chromosomes Resolves Discrepancy in Time to Common Ancestor of Males Versus Females, Science 2013: 341 (6145), 562-565
(3) An African American Paternal Lineage Adds an Extremely Ancient Root to the Human Y Chromosome Phylogenetic Tree
(4) Keller, A. et al. (2012). “New insights into the Tyrolean Iceman’s origin and phenotype as inferred by whole-genome sequencing”. Nature Commun. 3 (2): 698
(5) Calò, C.M., Corrias, L., Bachis, V., Vona, G., Brandas, A., Scudiero, C.M., Di Fede, C., Mameli, A., Robledo, R., 2013. Analisi di due isolati della Sardegna (Italia) attraverso lo studio dei polimorfismi del cromosoma Y. Antropo, 29, 1-7.
(6) Rebecca L. Cann, Y Weigh In Again on Modern Humans, Science 341, 465 (2013);
Definizioni
Aplotipo: combinazione di varianti alleliche lungo un cromosoma o segmento cromosomico contenente geni strettamente associati tra di loro, che in genere vengono ereditati in blocco
Aplogruppo: un insieme di aplotipi differenti, originati dallo stesso aplotipo ancestrale. Gli aplotipi di un aplogruppo presentano polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) in forma ancestrale, più ulteriori polimorfismi che li rendono specifici e differenti tra di loro.
MSY: porzione maschio-specifica del cromosoma determinante il sesso maschile Y. Contiene 78 geni sugli 86 totali del cromosoma (il cromosoma X ne contiene circa 1500). In ogni cellula del corpo (diploide) i maschi recano una coppia XY, le femmine una coppia XX. Gli spermatozoi, le cellule sessuali maschili (che contengono uno solo dei due cromosomi, sono quindi aploidi), recano per il 50% il cromosoma Y e per il 50% quello X. Le cellule sessuali femminili (cellule uovo), recano ciascuna un cromosoma X. L’ unione delle cellule sessuali ripristina un corredo cromosomico diploide e la progenie sarà quindi maschio (XY) o femmina (XX). I maschi ereditano quindi il cromosoma Y per via patrilineare. Maschi e femmine ereditano invece il DNA mitocondriale dalle cellule uovo della madre, essendo il mitocondrio un organello cellulare con DNA proprio, distinto dal nucleo, che contiene invece cromosomi. Durante la riproduzione, gli spermatozoi forniscono alla cellula uovo solo il nucleo e nessun altro organello cellulare. Il sistema XY per la determinazione sessuale si è evoluto circa 166 milioni di anni fa. In molti vertebrati eterotermi il sesso non viene determinato geneticamente, ma da condizioni ambientali (ad esempio negli alligatori).
Appendice.
Mappe distributive, in area mediterranea di aplogruppi di cui si è parlato nel post, da questo sito.
http://www.eupedia.com/europe/Haplogroup_I2_Y-DNA.shtml#I2a1b
http://www.eupedia.com/europe/Haplogroup_G2a_Y-DNA.shtml