tratto da : (clicca qui)

 

Nella seconda decade di ottobre sono caduti in molte zone d’Italia “strani” filamenti: la pioggia di fibre è stata talmente copiosa che molti cittadini, accortisi dell’anomalia, hanno allertato i Vigili del fuoco. Alcune testate, per lo più locali, hanno prima riportato la notizia con toni interrogativi, poi con incredibile tempestività, hanno riferito le “spiegazioni” fornite dagli “esperti”.

L’A.R.P.A., l’Agenzia regionale per le palle sull’ambiente”, ha sentenziato: “Trattasi di tele di ragni volanti. E’ il fenomeno dello spider ballooning: sono cioè fili di Aracnidi che, migrando, secernono fili”. No! E’ tutto falso. Non sono né i ragni né Spiderman a tessere questi grovigli appiccicosi. Ci chiediamo come l’A.R.P.A., cui sarebbero stati consegnati campioni di filamenti, abbia potuto eseguire le analisi così velocemente. Sono analisi, infatti, che richiedono tempi molto lunghi. Non si comprende come gli enti ufficiali, che impiegano ere geologiche per fornire responsi, abbiano potuto subito rassicurare (e circuire) l’opinione pubblica, divulgando l’esito (falso) degli esami.

Quelle precipitate sono dunque fibre polimeriche diffuse con gli aerei impegnati nelle attività di geoingegneria illegale. Molti si chiedono per quale ragione i militari le disperdano: abbiamo in parecchi articoli analizzato la questione ed illustrato la composizione chimica dei filamenti. Essa NON coincide con la sericina, la proteina di cui sono formate le ragnatele. Mentre rinviamo alla lettura degli studi sottoelencati, rammentiamo le seguenti acquisizioni.

• I filamenti sono impiegati come vettori dei composti chimici, a loro volta usati per creare corridoi elettromagnetici.
• Le fibre, essendo costituite di materiali biocompatibili, si “legano” al D.N.A. degli esseri viventi, favorendone una ridefinizione genetica secondo nuovi parametri biologici, anzi biotecnologici.

I polimeri diffusi con gli aerei sono dannosissimi. Si consideri il caso del metanale.

Il metanale è un polimero particolarmente pericoloso che ha bisogno di un catalizzatore che, guarda caso, è costituito dai carbagammati.
I carbagammati sono di origine organica, della famiglia degli uretanici.

La reazione tra un gruppo amminico e biossido di carbonio permette la biosintesi del carbammato.

I carbammati costituiscono un gruppo importante di insetticidi: ne sono esempi il feniluretano, l’Aldicarb, il Carbofuran, il Fenoxycarb, il Sevin ed il Ethienocarb. Questi insetticidi agiscono causando inibizione della colinesterasi per inattivazione reversibile dell’enzima acetilcolinesterasi. Alcuni di questi composti sono molto tossici anche per gli esseri umani.

I poliuretani sono una classe di polimeri la cui struttura è formata da gruppi carbammato multipli. Questi materiali possiedono un’ampia varietà di proprietà e sono commercialmente disponibili come schiume, elastomeri e solidi.

Alcuni carbammati, come neostigmina, rivastigmina e meprobamato, sono usati in farmacoterapia come inibitori dell’enzima colinesterasi. L’uretano etilico (C2H5-O(CO)-NH2) è dotato di proprietà anestetiche generali ed anche mutagene. E’ stato usato in passato nella terapia del mieloma multiplo, perché dotato di proprietà alchilanti del D.N.A. Oggi è stato del tutto abbandonato, poiché troppo tossico e riconosciuto anche dotato di proprietà cancerogene, soprattutto per il polmone e lo stomaco.

La formazione di un carbammato costituisce un utile gruppo protettivo adoperato nella sintesi chimica delle proteine per proteggere gruppi amminici che non si vuole far reagire. È stabile nelle condizioni di reazione e può essere successivamente facilmente rimosso per idrolisi.

IN SINTESI

I carbammati sono convenientemente sintetizzati per reazione di alcoli o fenoli con un isocianato o, in alternativa, per reazione di un gruppo amminico con un estere dell’acido cloroformico. Nel caso si impieghi un alcool o un fenolo, la reazione può così schematizzarsi:

R-N=C=O + R’-OH ? R-NH(CO)O-R’

Usando, invece, un cloroformiato, ottenuto per reazione del fosgene con un alcol o fenolo, lo schema di reazione è il seguente:

R-O(CO)Cl + R’-NH2 ? R-O(CO)NH-R’

L’inibizione della colinesterasi è stata associata all’esposizione a pesticidi oranofosfati e carbamati, fin dalla loro creazione durante la Prima e Seconda guerra mondiale. Tipicamente, essi provocano gravi disturbi neurologici che conducono alla paralisi non solo negli insetti, ma anche negli esseri umani. L’esposizione avviene solitamente attraverso l’uso improprio di dispositivi per la diffusione di pesticidi oppure attraverso l’irrorazione aerea (scie chimiche). Gli effetti dell’inibizione della colinesterasi per esposizione cronica o esposizione intensa e reiterata si traducono in un’inibizione delle attività dell’enzima acetil-colinesterasi (AchE). L’integrazione di nanoparticelle in vari materiali nanocompositi, come gli idrogel aerei ed altre simili sostanze usate nelle irrorazioni aeree, nella modificazione del tempo atmosferico e nella dispersione di nanosensori (M.E.M.S. n.d.r.), comportano nell’individuo l’inibizione della colinesterasi fino al 96.2% nonché la presenza in quantità rilevabile di materiali nanocompositi. Ciò a conferma delle scoperte pubblicate dalla Ocean University (Cina) nel numero di giugno 2009, sulla rivista Chemical sensitivities (Sensibilità chimica), secondo cui le nano particelle sono 100 volte più tossiche di una singola molecola di pesticida, come il malathion, il propoxopur o il benomyl.

Un approfondito studio referato, a cura della tossicologa Dottoressa Hildegarde Staninger, si può leggere qui.

La verità è questa: quanto, invece, si legge sui siti istituzionali è una ragnatela di sciocchezze e di bugie, un intrico in cui sono rimasti impigliati i negazionisti e le istituzioni tutte.

Che cosa scrivevano costoro qualche anno addietro, quando il fenomeno della Geoingegneria clandestina non era ancora conclamato? Il C.I.C.A.P., contraddicendo sé stesso, nel 1999 stabilì quanto segue:

“I risultati riportati in tabella indicano che il campione di “capelli d’angelo” non può essere identificato con alcuno dei materiali riportati. Tale risultato permette comunque di escludere le ipotesi preliminari. Relativamente al campione esaminato, si può dunque concludere:

non si tratta di tela di ragno;
non si tratta di cellulosa o di materiali simili alla cellulosa (il che esclude la possibilità che si tratti di lana di pioppo o di rayon)”.

 

 
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2013.11.04 – Contaminato dal cianuro il lago che nascondeva l’oro

Posted by Presidenza on 4 Novembre 2013
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DA SARDINIA POST del 04.11.2013 (clicca qui)

I concessionari delle licenze sono spariti e le bonifiche, che sulle carte sarebbero spettate alla Sardinia gold mining, le sta effettuando la Regione a spese dei contribuenti, per un totale, al momento, di oltre 11 milioni di euro.  Secondo gli esperti però, il costo finale si aggirerà intorno ai 16 milioni”

 

tratto da : (clicca qui)

Dai pozzi dismessi partono tubi che rilasciano, tra gli altri, mercurio, ferro, piombo e cadmio

il lago dove c’era l’oro è una distesa di acidi

il lago al cianuro aspetta la bonifica

Cagliari, la società di estrazioni è fallita e nessuno bonifica il bacino

nicola pinna

furtei (Cagliari)

Le guardie armate non si guardano alle spalle. E sul versante più nascosto del monte si può tentare l’irruzione: si indossa la mascherina, si striscia sotto la rete metallica e si attraversa un sentiero nascosto dagli alberi. L’odore arriva anche a distanza, ma per vedere quanto è grande la bomba ecologica bisogna superare la barriera di eucaliptus. Il mostro è tutto blu e fa molta paura. Il sole estivo lo ha reso scheletrico ma appena piove si rigonfia e continua a divorare le viscere di questo angolo nascosto di Sardegna.  

Siamo lontani dal mare e di un tesoro che doveva far diventare tutti ricchi è rimasto lo scarto puzzolente: un grande lago di cianuro. La ricerca dell’oro ha fatto ricchi solo gli australiani che hanno sventrato la collina di Santu Miali e agli abitanti di Furtei, Guasila e Segariu è rimasto in eredità un disastro ambientale. La Sardinia Gold Mining (controllata dalla canadese Buffalo Gold Itd, partecipata dalla Regione Sardegna e presieduta dal 2001 al 2003 dall’attuale governatore sardo Ugo Cappellacci) ha interrotto l’attività alla fine del 2008. E nel 2009 ha portato i libri in tribunale. Decretato il fallimento, gli operai sono stati licenziati e delle bonifiche nessuno si è preoccupato. A evitare l’esplosione ci pensa l’Igea, la società regionale che controlla le miniere dismesse, ma intanto il lago di acido nascosto dietro al monte diventa sempre più grande.

Gli uccelli che atterrano per sbaglio non hanno scampo e le carcasse nascoste tra i cespugli lanciano lo stesso messaggio di un cartello giallo con il teschio: alle rive di questa distesa di acidi è meglio non avvicinarsi troppo. I rubinetti che scaricano sono sempre aperti. Grossi tubi neri partono dai pozzi dismessi e rilasciano a valle una valanga di metalli disciolti: mercurio, ferro, piombo, cadmio e zolfo. Non è acqua di sorgente e il colore lo dimostra. Il liquido che si espande in ogni angolo si presenta con lo stesso colore dell’oro, ma quando il sole picchia forte i metalli si cristallizzano e formano grandi zolle blu. La contaminazione si allarga ulteriormente e tutto quello che non si vede è già nel sottosuolo. Eppure, oltre le sponde del lago dei veleni c’è qualche agricoltore che produce grano e carciofi. «Ogni tanto scaricano acqua, ma è solo un depistaggio, un modo per mescolare le sostanze – racconta Onofrio Giglio, 68 anni passati quasi tutti in campagna – In questo terreno che apparteneva al Comune avevamo piantato decine di eucaliptus, ma da quando è iniziata l’attività nelle miniere si è creato il deserto».

L’unico bel ricordo dell’oro di Furtei è il calice donato a Benedetto XVI. Per tutto il resto, questa è la storia di un fallimento e di un disastro. In dieci anni di scavi sono venute fuori meno di cinque tonnellate d’oro, sei d’argento e quindicimila di rame. Nel 1997 erano stati assunti in 110 ma pochi anni dopo erano solo 42. E così il sogno del nuovo Eldorado si è infranto. «La Regione deve spiegare perché dal fallimento a oggi nessuno ha bonificato la distesa di cianuro – denuncia il deputato Mauro Pili – E come se non bastasse non ha neppure riscosso le garanzie fideiussorie: ora che la società è sparita i sardi dovranno farsi carico di tutti i costi. È stata una grande operazione speculativa e l’indagine finanziaria internazionale lo dimostra».

Il governatore Ugo Cappellacci, che della miniera di Furtei conosce bene la storia, affida al portavoce il compito di spiegare i progetti e il lavoro fatto finora: «Abbiamo già effettuato la caratterizzazione del suolo e sottoscritto due convenzioni con Igea (4,2 milioni la prima e 2,5 la seconda) per un impianto di depurazione delle acque acide. Da poco abbiamo stanziato altri 9 milioni per la bonifica integrale». 

 

 

 

 

 

 



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Le due società, Igea e Ifras, alle quali la Regione Sardegna ha affidato il compito di bonificare i siti, hanno drenato finora i soldi pubblici senza produrre nulla. Se non clientelismo e malaffare. Uno sperpero di denaro che coinvolge i piani alti della politica sarda, certe zone dei sindacati, una parte consistente degli operai: quelli che gli altri, rimasti fuori dal giro, chiamano “il cerchio magico”

di Roberto Morini | 2novembre 2013

La bonifica mai fatta del Sulcis Iglesiente è costata finora centinaia di milioni. Trecento finiti nella voragine Igea, altrettanti nella Ifras. La prima è una società in house della Regione, in quota Udc. La seconda è un’associazione temporanea di imprese (Ati), tra due privati, il sardo Massimo Pireddu e il pugliese Enrico Intini, coinvolto a Bari nell’inchiesta sulle escort di Gianpaolo Tarantini e recentemente condannato a Napoli nell’inchiesta sugli appalti per la sicurezza. Nelle loro mani la Regione, senza nessuna gara né capitolati d’appalto, ha messo con l’ultima legge finanziaria altri 112 milioni per i prossimi quattro anni. Tutto per bonifiche delle aree minerarie di tutta la Sardegna, in gran parte concentrate nelle zone dell’Iglesiente e del Sulcis. Bonifiche mai fatte. Uno sperpero di denaro pubblico che rappresenta una piccola parte del malaffare che coinvolge i piani alti della politica sarda, certe zone dei sindacati, una parte consistente degli operai: quelli che gli altri, rimasti fuori dal giro, chiamano “il cerchio magico”.

Quel “cerchio magico” che gestisce tutto
Questa non è la storia del Sulcis. Non è la storia degli operai Alcoa di nuovo in piazza a Roma lunedì scorso per tentare inutilmente di strappare un rinvio dei licenziamenti. Né è la storia di Carbosulcis, dove si spera ancora di estrarre carbone o di usare le miniere per imprigionarvi l’anidride carbonica. Qui no. A Iglesias e dintorni con Igea, Ifras, Parco Geominerario, parliamo di miniere di zinco e piombo, esaurite o abbandonate perché non più produttive. Nessuno le vuole resuscitare. Da lì nasce Igea, nel 1998, incorporando tutte le società minerarie dell’isola, a partire dall’Ente minerario sardo, con la missione di bonificare e aprire tutto quel mondo allo sviluppo turistico, culturale, ambientale. Come hanno fatto altrove. In Francia o in Germania. Ci sono miniere chiuse anche a Lula e all’Argentiera, zone interne del Nuorese e mare del Sassarese. Ma il nocciolo è qui, nella valle che da Iglesias porta al mare, innervata sui due lati da archeologia industriale e tanti detriti, quelli grigi meno inquinanti, quelli rossi a rischio. E poi avanti, nelle valli sul mare, fino alle spiagge da cui si imbarcava, con i barchini di Carloforte senza chiglia, il minerale estratto. Nomi noti per chi ama la bellezza di questi posti: Funtanamare, Nebida, Masua, Buggerru, Ingurtosu, su fino ad Arbus. E giù fino a Fluminimaggiore.

Masua è il cuore di tutto. Per la bellezza dell’ex miniera al centro di una valle di duecento ettari che scivola verso il mare attraverso due spiagge. E perché lì sono arrivati a fine agosto decine di carabinieri inviati dalla Procura di Cagliari per sequestrare tutto ciò che può essere utile a far luce su questo scandalo. Operazione Geo & Geo. Quattro indagati, una ex mensa affidata al Cral degli ex minatori di Nebida, presieduto proprio da uno degli indagati, Marco Tuveri, autista del presidente e sindacalista Uil, che non funzionava da dopolavoro: dentro c’era un deposito di taniche di gasolio che, secondo gli inquirenti, venivano regalate ai dipendenti amici per rafforzare quel “cerchio magico”. Oppure vendute per arrotondare lo stipendio. I carabinieri hanno trovato 52 lattine da 35 litri. Una scorta, dice l’azienda. Un mercato nero, dicono numerosi testimoni, tra i quali i quattro autori delle denunce anonime, documentate anche con foto e video. E confermate da un numero: quei 645 litri di gasolio consumati ogni giorno da un’azienda che appare immobile. Non bastano a giustificare questi consumi tutti quei pick-up Toyota a disposizione di capi e capetti 24 ore su 24, festivi compresi.

I “jumbo” finiti a lavorare in Marocco
Così racconta Francesco Carta, segretario regionale Cgil chimici e minatori. Così raccontano gli operai non compromessi nei vari traffici, protetti dall’anonimato: chi non è connivente è costretto a un silenzio omertoso. Si racconta di straordinari fatti fare solo ad alcuni, mandati il sabato e la domenica a far biglietti alle miniere aperte al pubblico. Fino al 27 settembre, quando sono state chiuse per mancanza di soldi, come recita l’home page del sito Igeaspa. it. O di una diaria conquistata una volta per un lavoro fuori sede e diventata voce fissa del salario dopo il ritorno a casa. E di qualche traffico più grosso. Come quei due jumbo, gigantesche macchine per scavare miniere, venduti come ferrovecchio insieme ai resti arrugginiti della miniera e poi finiti, dopo un breve passaggio in officina, a lavorare per aziende sarde in Marocco. E qualcosa di più piccolo: un appalto senza gara per un muro realizzato a Nebida che sembra servisse non tanto a Igea quanto a Daniela Tidu, compagna di Marco Tuveri, assunta al Geoparco e co. co. pro. in Igea. Anche lei indagata.

E poi c’è quella storia delle elezioni comunali di Iglesias che mette in comunicazione la fascia bassa del malaffare con quella alta, con la politica. Una storia che ha convinto la Procura ad aggiungere ai reati di peculato e turbativa d’asta anche quello di voto di scambio. Quel gruppo di potere interno avrebbe contato i voti – alla fine sono stati 343 – che riusciva a portare a un proprio candidato, Marco Zanda, dipendente Igea, nella lista civica Pozzo Sella, di ispirazione Udc. Tuveri, una potenza in Igea secondo la Procura, voleva pesare la propria forza in vista delle regionali. L’Udc è il cuore politico di tutto. A partire dal suo uomo forte nell’Iglesiente e in tutta l’isola: Giorgio Oppi. E l’amministratore unico di Igea, da lui scelto, il democristiano di lungo corso Giovanni Battista “Bista” Zurru, sulla cresta dell’onda senza interruzioni dagli anni Settanta. Igea è territorio Udc, come è territorio Pdl il Parco Geominerario, il consorzio che dovrebbe orientare prima e gestire poi la bonifica e la trasformazione delle ex miniere in zone ad alta vocazione turistica e culturale. Antonio Granara, assicuratore cagliaritano, ne è il commissario. Nei suoi uffici sono stati sequestrati documenti e computer.

Da Il Fatto Quotidiano del 30 ottobre 2013

 


2013.11.02 – Is Animeddas e Su Mortu Mortu. Halloween in sardo.

Posted by Presidenza on 2 Novembre 2013
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La Sardegna ha conservato una festa che per tanti versi ricorda quella americana. E’ la festa de Is Animeddas o de Su Mortu Mortu.

Halloween è certamente la festa dei morti più famosa al mondo che ha conquistato milioni di persone in tutto il mondo.

Si tratta di una ricorrenza tipica della cultura dei popoli del Nord Europa che ha prima invaso l’America Settentrionale per diffondersi di nuovo in Europa e negli altri continenti, assumendo spesso il carattere di un “carnevale” notturno slegato completamente dai riti religiosi.

Ma Halloween non è certamente l’unica manifestazione dell’antico culto delle anime dei morti. In Sardegna infatti esiste e si è conservata una tradizione che ha molti aspetti in comune con quella americana e anglossassone.

Si tratta della ricorrenza che in Lingua Sarda viene indicata con diversi nomi: is Animeddas e is Panixeddas nel sud dell’isola, Su ‘ene ‘e sas ànimas o su Mortu Mortu nel nuorese, su Prugadòriu in Ogliastra, etc…

Il nome cambia a seconda della zona ma la sostanza, pur mutando in alcuni particolari, rimane la stessa. Abbiamo a che fare infatti con un evento che viene festeggiato tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre.

Proprio come accade nella più famosa ricorrenza americana, anche nei villaggi della Sardegna sono i bambini che vestiti da fantasmi vanno a chiedere, di porta in porta, qualche dono per le “piccole anime”.

Le formule utilizzate in Lingua Sarda per chiedere e dire “dolcetto o scherzetto?” sono: seus benius po is animeddas, mi das fait po praxeri is animeddas, seu su mortu mortu, carki cosa po sas ànimas, peti cocone, e altre ancora a seconda del paese e della variante linguistica utilizzata.

Mentre oggi i fantasmi e le piccole anime ritornano a casa con cioccolatini, lecca-lecca e merendine, una volta era più comune che alle richieste dei piccoli gli adulti preparassero e regalassero i dolci tipici del periodo: pabassinas, ossus de mortu, pani de sapa, etc… A questi venivano aggiunti poi altri doni come le melagrane, le castagne e la frutta secca.

Un altro elemento simile tra la festa sarda e quella anglossassone era, soprattutto nel passato, il lavoro certosino sulle zucche che venivano trasformate in facce spiritate ed utilizzate per fare scherzi e far spaventare i più piccoli.

 

 

 

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