La trappola mortale era pronta. Sessantanove palestinesi, principalmente donne e bambini, vennero trucidati; quarantacinque case, una scuola e una moschea furono rase al suolo
2 gennaio 2014
Nato il 27 febbraio 1928 nell’insediamento di Kfar Mala da una famiglia di ebrei lituani, Ariel Scheinermann (meglio conosciuto come Ariel Sharon) ha avuto una lunga, intensa e controversa carriera politica e militare. Alla tenera età di 10 anni iniziò la militanza sionista nel movimento Hassadeh, a 14 si unì al battaglione giovanile paramilitare Gadna per poi arruolarsi nell’Haganah, un insieme di brigate clandestine che formeranno successivamente il nucleo del futuro esercito israeliano, Tzahal.
IL MASSACRO DI QIBYA – Capo plotone nella guerra del ’48-49, divenne Capitano a 21 anni e Ufficiale dei servizi segreti a 23. Audace e scaltro, negli anni ’50 comandò – per ordine del Primo Ministro Ben Gurion – l’infausta Unità 101, nata in funzione anti-fedayyin e tristemente nota per la brutalità delle proprie operazioni; in molte delle spietate incursioni di questa forza speciale morirono civili, donne, bambini. La più conosciuta di queste spedizioni punitive è nota come Massacro di Qibya o, nel linguaggio edulcorato dell’esercito israeliano, Incidente di Qibya.
Il 14 ottobre 1953 le forze speciali comandate direttamente da Ariel Sharon, oltre 200 uomini armati fino ai denti, attaccarono il villaggio di Qibya, in Cisgiordaina. Ma, prima di procedere all’attacco vero e proprio, ebbero la premura di minare tutte le strade di collegamento. La trappola mortale era pronta. Sessantanove palestinesi, principalmente donne e bambini, vennero trucidati; quarantacinque case, una scuola e una moschea furono rase al suolo. L’attacco, avvenuto vigliaccamente nel cuore della notte, fu chiamato dall’IDF “Operazione Shoshana“. Il Dipartimento di Stato USA, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e gran parte del giudaismo internazionale condannarono la strage; gli alti comandi militari dichiararono di essere convinti di aver evacuato ogni casa prima dell’inizio dei bombardamenti ma lo stesso Sharon dichiarò successivamente che “gli ordini erano chiari: Qibya sarebbe dovuto essere di esempio per tutti quanti”. Il 19 ottobre 1953 Ben Gurion disse pubblicamente che i raid erano opera di civili israeliani e che le forze armate non erano minimamente coinvolte con la strage, una posizione ridicola che non convinse l’opinione internazionale. Lo Stato ebraico si rifiutò di processare Sharon.
LA POLITICA COLONIALE– Negli anni ’70, lasciate le armi e imbracciata la retorica politica, Ariel Sharon divenne ministro dell’Agricoltura; determinante fu il suo ruolo nell’ambito della costruzione degli insediamenti in Cisgiordania e a Gaza. Ma l’impronta coloniale del suo operato si ravvisa anche, e soprattutto, negli anni ’80 quando ricoprì il ruolo di ministro della Difesa. Nel 1982 è stato l’artefice dell’invasione del Libano, attacco che si risolse anche nel massacro di centinaia di palestinesi nei campi profughi libanesi ad opera delle milizie cristiane. Nota a tutti è stata la strage di Sabra e Shatila, in cui lo stesso Sharon è stato – seppur indirettamente – coinvolto, lasciando operare i macellai falangisti. La commissione di inchiesta israeliana, presieduta dal magistrato della Corte Suprema Yitzhak Kahan ha ordinato, all’inizio del 1983, la rimozione di Sharon dalla carica di ministro della Difesa: ”Ha la responsabilità personale. A nostro parere, è giusto che il ministro della Difesa tragga le conseguenze personali derivanti dai difetti emersi, per quanto riguarda il modo in cui ha scaricato i doveri del suo ufficio, e, se necessario, che il Primo Ministro eserciti la sua autorià a rimuoverlo da ufficio”. Sharon si dimise ma ottenne un ministero senza portafoglio nel biennio 1983-1984, per poi andare al Commercio e Industria tra 1984 e 1990 e all’Edilizia tra 1990 e 1992. Di nuovo ministro delle Infrastrutture tra 1996 e 1998 e degli Esteri tra 1998 e 1999 con Benjamin Netanyahu premier, dopo la sua sconfitta è diventato il nuovo leader del Likud.
SHARON MOSTRA I MUSCOLI – Il 28 settembre 2000 Ariel Sharon, scortato da un migliaio di uomini armati, entrò nella Spianata delle moschee a Gerusalemme (in cui si erge la Cupola della Roccia, luogo sacro ai musulmani che vi indicano il luogo in cui Maometto compì il suo miracoloso “viaggio notturno”), area controllata dai palestinesi. Con questo gesto plateale Sharon dichiarò al mondo intero che anche quella parte di Gerusalemme era sottoposta al dominio israeliano. La reazione palestinese non tardò a manifestarsi; prese inizio la Seconda Intifada. Questo episodio diede a Sharon, all’inizio del 2001, il consenso necessario per vincere le elezioni su una piattaforma di critica degli accordi di Oslo.
Nel 2002 Ariel Sharon ha rischiato di dover subire un processo all’Aja presso il Tribunale per i Crimini di Guerra, per la strage di Sabra e Shatila. Tuttavia tale processo per crimini di guerra fu presto affossato, a causa della morte del principale accusatore di Sharon, Elie Hobeika, che, responsabile diretto di quei massacri, aveva annunciato di voler fare piena luce sui fatti. Un’autobomba (di cui ancora oggi non si è consegnato l’autore alla giustizia), uccise Elie Hobeika pochi giorni prima del processo, e tutte le accuse contro Sharon caddero.
Rieletto nel 2003 ha avviato la costruzione del Muro dell’apartheid in Cisgiordania.
In coma dal 2006 a causa di un ictus e di un’emorragia celebrale, negli ultimi giorni la sua condizione di salute è precipitata vertiginosamente.
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