È accaduto a un impiegato del Banco di Desio. Prima mobbizzato, poi licenziato. A Enrico Ceci non è stato possibile presentare prove e testimoni a suo carico.

29 dicembre 2013

Enrico Ceci, l’impiegato del Banco di Desio licenziato.

di Franco Fracassi

Essere licenziati perché si evita che i clienti vengano truffati. In Italia si può. Anche se si è in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Poi, se il luogo di lavoro in questione è una banca, si può star certi che il trattamento (anche quello giudiziario) non sarà mai equanime.

Enrico Ceci era impiegato allo sportello della filiale di Parma del Banco di Desio e della Brianza quando scoprì una falla informatica nel sistema. «Permetteva di occultare valuta estera, di imboscare denaro», spiega l’ex bancario. «Dopo aver inutilmente informato i manager a proposito degli illeciti che venivano commessi nella mia filiale, ho attivato una procedura di escalation. In poche parole, ho informato per

iscritto il vertice aziendale (presidente, vice-presidente, direttore generale, vice direttore generale, capo del personale, capo sezione affari legali e contenziosi) nonché i tre membri del collegio sindacale».

Non successe nulla. Per cui, l’allora ventiduenne Ceci decise di rivolgersi alla Guardia di Finanza. Questa volta qualcosa accadde: il bancario venne mobbizzato. «Prima è stato creato un clima ostile nei miei colleghi. Sono stato messo in difficoltà, soprattutto con i colleghi di filiale, che mi hanno percepito come una vera e propria minaccia. Sono stato attaccato, insultato e offeso. Hanno tentato in tutti i modi compiere degli errori. Poi mi hanno tenuto lontano dalla filiale di Parma, prendendosi tutto il tempo necessario per costruire a tavolino le false contestazioni da utilizzare per il licenziamento. Tempo dopo ho ricevuto la raccomandata della banca che mi comminava il primo licenziamento. Mi hanno attribuito manchevolezze in realtà inesistenti. Sono riuscito a dimostrare la falsità quanto contestato dalla banca solo perché, allo scopo di tutelarmi e documentare i reati, a un certo punto ho cominciato a registrare fonograficamente quello che accadeva durante le mie lavorative in filiale».

Ma il tribunale del lavoro lo rimise al suo posto in banca. «Sono stato messo in un ufficio da solo, separato fisicamente dagli altri colleghi e dai clienti, attraverso una porta che veniva continuamente chiusa. Mi sono ritrovato scollegato dalla totalità dei sistemi informatici aziendali, eccezion fatta per funzionalità strettamente necessarie al fine di svolgere alcuni corsi di autoformazione. La cosa veramente incredibile è che mi hanno licenziato a causa di un’intervista che avevo rilasciato a un settimanale di Parma quando non ero più dipendente della banca da due settimane (ero stato, infatti, licenziato tredici giorni prima). Mi sono semplicemente limitato a riportare fatti appresi dal procuratore capo di Parma. Sono stato anche denunciato penalmente per violazione del segreto istruttorio. Accusa dalla quale prosciolto dal giudice per le udienze preliminari di Ancona, perché il fatto non sussiste. Non si è, francamente, mai visto in Europa una banca o una azienda che licenzia un lavoratore contestandogli disciplinarmente un episodio, peraltro penalmente non rilevante, avvenuto quando non era più dipendente».

Ma la storia non finì qui. Il Banco di Desio chiese di essere giudicato dal tribunale di Forlì, dove ha sede l’istituto di credito, e non da quello di Parma, dove ha sede la filiale, e dove Ceci aveva già vinto la causa. «È come se la Fiat, tanto per fare un esempio, sapendo di voler licenziare un operaio di Termini Imerese predeterminasse in anticipo il Foro di Torino per la discussione della causa di lavoro. Costringendo di conseguenza il lavoratore a spostamenti di novecento chilometri, solo andata».

Una mossa azzeccata, da parte della banca. Perché il giudice di Forlì gli ha dato ragione. «Sono stato privato di ogni mezzo di difesa. Mi sono stati negati tutti i capitoli di prova. Sono stati negati tutti i testimoni a mio favore. E anche tutte le registrazioni fonografiche, in grado di provare inconfutabilmente come erano andati i fatti, non sono state ammesse. Alla banca i giudici hanno concesso più di sessanta capitoli di prova e un numero grande a piacere di testimoni. Tutti questi testimoni sono regolarmente a libro paga della banca, in quanto dipendenti della filiale di Parma. In particolare, poi i cinque, testimoni che il giudice ha ritenuto di ascoltare erano proprio quelli denunciati penalmente dal sottoscritto».

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