Perché la Banca nazionale svizzera ha deciso di entrare nella mischia politica e opporsi a questa iniziativa?
Il 30 novembre in Svizzera si voterà per un referendum che potrebbe sancire il divieto per la Banca nazionale svizzera (BNS) di vendere le riserve auree attuali e future, l’obbligo di rimpatriare tutte le riserve auree svizzere detenute all’estero e il vincolo di detenere un quantitativo di oro non inferiore al 20% delle sue riserve. La BNS di solito non commenta i referendum politici. Tuttavia, in questo caso si è fatta sentire chiara e forte.
Perché la Banca centrale ha deciso di entrare nella mischia politica e opporsi a questa iniziativa? Quali sono le sue preoccupazioni? Sono valide o motivate da altri fattori?, si interroga Eric Schreiber sul blog GoldSilverWorlds.
Le obiezioni principali della Banca Centrale Svizzera al referendum sono sostanzialmente tre:
1. Sostiene che l’oro sia uno degli investimenti più rischiosi e più volatili,
2. il vincolo del 20% abbasserebbe il dividendo distribuito periodicamente alla Confederazione e ai cantoni dal momento che l’oro non paga interessi o dividendi e
3. il vincolo del 20% interferirebbe con la sua capacità di condurre la politica monetaria e complicherebbe gli sforzi per mantenere “il tasso di cambio minimo”, la politica “temporanea” di ancoraggio del franco svizzero all’euro iniziata nel 2011.
I primi due problemi possono essere rapidamente affrontati e superati. L’oro è davvero un bene volatile, ma lo sono anche obbligazioni e azioni. Negli ultimi anni le obbligazioni europee greche, spagnole, italiane, irlandesi e di altri paesi sono state molto più volatili dell’oro.
Per quanto riguarda la seconda preoccupazione – la distribuzione dei proventi derivanti dalla speculazione finanziaria e versati alla Confederazione e ai Cantoni – bisognerebbe innanzitutto chiedersi se è appropriato o meno per la BNS ri-definirsi come un hedge fund invece di rimanere concentrata sulla sua responsabilità fondamentale di banca centrale.
Affrontare adeguatamente la terza preoccupazione della BNS richiede invece un’analisi più dettagliata e uno sguardo indietro alla storia regionale di due decenni fa. La popolazione svizzera ha bocciato due iniziative distinte, una nel 1992 e l’altra nel 2001 per far parte dell’Unione Europea. Nonostante il voto popolari, la Svizzera è stata integrata nell’Unione europea a tutti gli effetti anche se ufficialmente rimane ancora al di fuori del gruppo dei paesi membri. L’entrata nell’UE è stata inizialmente realizzata mediante politiche, attraverso una serie di trattati bilaterali, 10 in totale, e poi nel 2005 con il voto popolare a favore dell’accordo di Schengen. Le leggi tra l’UE e la Svizzera sono state armonizzate e i controlli di confine con i paesi membri dell’Unione europea sono stati aboliti per consentire la libera circolazione di persone, beni e servizi. Purtroppo, l’adesione furtiva della Svizzera all’Unione europea ha reso politicamente impossibile una votazione pubblica sull’opportunità o meno di sostituire la valuta sovrana della nazione con l’euro. Per aggirare il problema, il 6 settembre 2011 la BNS ha decretato che sarebbe stato imposto un tasso di cambio minimo “temporaneo” di 1,20 tra la moneta unica e il franco svizzero per respingere il flusso di euro in entrata nel paese a causa della crisi finanziaria che stava inghiottendo Spagna e Grecia. Da quel momento al CHF sarebbe stato consentito solo di perdere il suo valore contro l’euro, ma non di rafforzarsi oltre 1,20. In questo modo, la politica monetaria svizzera è stata tranquillamente consegnata alla Banca centrale europea (BCE), pur mantenendo il miraggio di una moneta sovrana svizzera davanti al pubblico. Il CHF è stato trasformato in uno strumento derivato dell’euro, senza la ratifica o la conoscenza della popolazione. Il grafico qui sotto mostra il legame tra l’euro e il CHF in quanto dall’avvio della misura “temporanea” del “tasso di cambio minimo” oltre 3 anni fa. Si noti come la linea rossa, il CHF, segue da vicino la linea verde dell’euro ma rimane sempre un po’ al di sotto di esso (più debole) e mai sopra di esso (più forte). Perché questa politica è ancora in vigore dal momento che per l’Ue la crisi in Spagna e Grecia è finita?
La politica del “tasso minimo di cambio” della BNS impoverisce la popolazione svizzera aumentando il prezzo di tutte le importazioni dell’UE acquistate in Svizzera. Questo è forse il più eclatante e certamente meno pubblicizzato effetto dell’azione della BNS. Ogni volta che un residente in Svizzera acquista un bene o un servizio in Svizzera realizzato nella Ue è reso più povero dalle azioni della propria banca nazionale.
Votare “SI” al referendum sarebbe un primo passo verso la risoluzione dello squilibrio che esiste tra la BNS e la popolazione svizzera. Un “sì” darebbe il via ad un processo di ripristino della responsabilità e della trasparenza su un’istituzione che con la sospensione del vincolo del franco all’oro ha incrementato il suo bilancio, si è reinventata come un hedge fund e ha ecceduto i limiti del suo mandato originale. Le banche centrali dovrebbero essere prestatori di ultima istanza e regolatori sistemici. In una democrazia diretta, le decisioni in materia di imposizione fiscale, adesione ad unioni politiche e commerciali e autonomia della moneta nazionale dovrebbero essere determinate dal voto popolare e non decretate o aggirate da un editto della Banca centrale.
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