giovedì 16 gennaio 2014
DUBLINO — Stavo parlando poco prima di Natale con un ragazzo che vende scarpe in un grande magazzino di Dublino. Mi ha detto che il giorno prima una troupe televisiva aveva girato delle interviste nel negozio. Volevano sapere se le vendite fossero salite durante l’importantissimo periodo natalizio, per avere un segnale se la malconcia economia irlandese, dopo cinque anni terribili, sia finalmente in ripresa.
La maggior parte dei suoi colleghi aveva risposto che, in realtà, le vendite erano piuttosto deludenti. Uno, che era invece più fiducioso, aveva detto che c’erano segnali di miglioramento. Quando alla sera il giovane ha visto il telegiornale, non è stato particolarmente sorpreso nello scoprire che l’unica intervista mandata in onda era quella con l’ottimista.
Tutti vogliono che l’Irlanda sia una storia a lieto fine, la prova che la disponibilità a subire le pene di un’austerità prolungata alla fine verrà premiata. I cittadini comuni hanno bisogno di qualche speranza. Il governo, nelle parole del vice primo ministro Eamon Gilmore, è “determinato a fare in modo che l’Irlanda divenga la storia di successo dell’Europa.” Un influente membro del board della Banca Centrale Europea, Jörg Asmussen, dice: “il programma irlandese è una storia di successo”. La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha elogiato l’Irlanda come un esempio di come i paesi in crisi si possano riprendere.
L’unico problema è che, per la maggior parte di noi che davvero vivono qui, la storia di successo dell’Irlanda non assomiglia tanto a “Le ali della libertà” quanto a “Rocky”. Noi non siamo stati gioiosamente liberati; abbiamo solo resistito a un sacco di colpi. Stiamo ancora in piedi, ma abbiamo preso così tanti pugni che adesso è difficile vederci bene.
Sì, la situazione finalmente è migliorata, ma le prospettive rosee sono offuscate da due domande assillanti. C’era bisogno di star male per così tanto tempo? E: il duro trattamento ha effettivamente guarito i mali dell’Irlanda? In particolare, per i conservatori, l’Irlanda è la Tyra Banks delle nazioni: un paese modello. L’unico problema è che non riescono a decidersi di cosa esattamente l’Irlanda sarebbe un modello.
Per lungo tempo, quando l’ Irlanda era in piena espansione, essa era l’esempio perfetto di una minima regolamentazione del mercato e di bassa tassazione. (Con un tempismo impeccabile, nei suoi dibattiti presidenziali con il Senatore Barack Obama nel 2008, il senatore John McCain ha citato la bassa tassazione sulle imprese in Irlanda come un modello per gli Stati Uniti — proprio mentre l’Irlanda stava sprofondando nella crisi.) Ora che l’Irlanda sta cercando di emergere timidamente dalla sua lunga recessione, viene citata come il miglior esempio delle virtù dell’austerità.
Come ha detto in ottobre il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, un falco fiscale: “l’Irlanda ha fatto quello che doveva fare. E ora va tutto bene.” L’Irlanda era una storia di successo quando festeggiava all’impazzata, ed è una storia di successo ora, che è la Grande Falciatrice dell’economia internazionale. Nell’abbuffata o nella purga, non possiamo mai sbagliare.
Noi irlandesi siamo eterni ottimisti, ma la convinzione del signor Schäuble che tutto vada bene è un raro esempio di un tedesco che ci supera in esuberanza irrazionale. È certamente vero che, se camminate nel nuovo quartiere vicino al porto di Dublino, con gli scintillanti quartieri generali europei di Google, Twitter, Facebook e Yahoo, e i loro caffé e hotel tirati a lucido, si potrebbe concludere che se la crisi irlandese è questa, un boom irlandese deve essere un qualcosa di veramente straordinario.
Il nuovo Marker Hotel all’ultima moda e il complesso residenziale, che hanno aperto i battenti nel mese di aprile e sono costati 120 milioni di euro (163 milioni di $), potrebbe essere a Los Angeles o a Dubai. Si affaccia sulla vivace architettura americana del Grand Canal Square di Martha Schwartz e sul teatro di lusso progettato da Daniel Libeskind. In un paese distrutto da una spettacolare bolla immobiliare, i prezzi delle case a Dublino hanno ricominciato di nuovo a salire, con un aumento del 13 per cento nell’ultimo anno.
Ma l’Irlanda ha due economie: una globale, dominata dalle società americane hi-tech, e una interna, grazie alla quale molti lavoratori irlandesi devono sopravvivere. La prima in effetti è in piena espansione. Proprio a causa della bassa tassazione sulle società, le grandi multinazionali trovano Dublino attraente per altri motivi che non i suoi pub e la sua vita notturna. Per capire quanto l’Irlanda dipenda da questo tipo di investimenti per le sue esportazioni, basti pensare che il prodotto interno lordo irlandese ha pesantemente risentito nel 2013 del fatto che il Viagra (che è prodotto dalla società Pfizer nella contea di Cork) è andato fuori brevetto in Europa. Parlando in generale, tuttavia, la parte globalizzata dell’economia irlandese è rimasta robusta.
Ma è a casa che c’è il mal di cuore: l’economia interna, al di fuori della ristretta comunità delle multinazionali hi-tech. Fuori da Dublino, i prezzi degli immobili sono ancora in calo. I salari della maggior parte dei lavoratori sono drasticamente scesi. La disoccupazione rimane molto alta, al 12,8% — e questo dato sarebbe superiore se non fosse per l’emigrazione. C’è sempre un modo molto semplice per misurare quanto stia bene l’Irlanda: andare nei porti e negli aeroporti alla fine delle vacanze di Natale e contare i giovani che dicono addio ai loro genitori, mentre si dirigono negli Stati Uniti, in Canada, in Australia o in Gran Bretagna, dove vanno a cercare lavoro e opportunità.
Ci sono popoli che nei momenti brutti protestano; gli irlandesi se ne vanno. E lo hanno fatto così in tanti che è dagli anni ‘80 che non si vedeva niente del genere. Quasi 90.000 persone sono emigrate tra l’aprile del 2012 e l’aprile del 2013, e a partire dalla crisi del 2008 se ne sono andate circa 400.000 Per un paese con una popolazione pari circa a quella del Kentucky (circa 4,5 milioni di abitanti), è davvero un sacco di gente.
Non c’è nessun grande mistero sul perché se ne vanno: non credono nella storia di successo. Un importante studio dell’Università di Cork ha rilevato che la maggior parte degli emigranti sono laureati e che quasi la metà di loro ha lasciato un’occupazione a tempo pieno in Irlanda per andare all’estero. Questi non sono profughi disperati; sono giovani brillanti, che non credono più che l’Irlanda possa dar loro le opportunità che desiderano. Semplicemente non si sono bevuti la favola della trionfante ripresa.
Quando il Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea — la cosiddetta troika — si sono impadroniti della governance fiscale dell’Irlanda nel dicembre 2010, in qualche modo si sono auto-convinti che profondi tagli alla spesa pubblica e riduzioni dei salari sarebbero andati di pari passo con la crescita economica. Il F.M.I, per esempio, ci ha detto che l’economia irlandese sarebbe cresciuta del 5,25 per cento tra il 2011 e il 2013. In realtà, è cresciuta di circa la metà.
Un po’ di buonsenso avrebbe suggerito che in un’economia in cui gli investimenti privati erano spariti (i tassi di investimento irlandesi sono ora circa la metà rispetto alla media della zona euro), ridurre anche gli investimenti pubblici avrebbe potuto causare qualche problema. Dopo cinque anni di austerità è scioccante, ma non certo sorprendente, che un bambino irlandese su quattro cresca in una famiglia in cui nessuno ha un posto di lavoro retribuito.
E nemmeno è sorprendente che l’addio della troika alla fine del 2013 e alcuni modesti segnali di ripresa economica non siano stati accolti con balli sfrenati sui tetti. Gli irlandesi erano disposti a sopportarere qualche pena; c’è ancora in giro abbastanza senso di colpa cattolico perché una storia di peccato ed espiazione possa avere un seguito psicologico notevole. La gente guarda mestamente indietro agli anni della “tigre celtica” e ammette che abbiamo meritato la fustigazione per aver pensato che saremmo potuti diventare ricchi vendendoci l’un l’altro case da milioni di dollari. Ma non sono convinti che la dimensione crudele della punizione fosse necessaria o che in effetti la medicina cattiva abbia funzionato.
Dietro entrambe queste affermazioni si profila la grande contraddizione della storia del presunto successo dell’austerità irlandese. L’austerità è stata tale solo per i cittadini.
In parallelo a tutti i tagli della spesa pubblica e a tutti gli appelli alla responsabilità fiscale, c’è stato un programma di spesa così sontuoso da far sembrare avaro un marinaio ubriaco. Metà del programma della troika era il taglio ai salari, al welfare, alla sanità e all’istruzione. L’altra metà era insistere che l’Irlanda continuasse a iniettare grandi risorse nelle sue banche barcollanti, compresa la famigerata, e ora liquidata, Anglo Irish Bank.
La politica del “nessun obbligazionista verrà lasciato indietro”, su cui la Banca Centrale Europea ha insistito, è stata incredibilmente costosa. Per fare le dovute proporzioni, l’Unione europea ha appena accettato di creare un fondo di 75 miliardi di € per affrontare tutte le future crisi bancarie dei suoi Stati membri. La piccola Irlanda ha speso ben 85 miliardi di € per salvare le proprie banche.
È particolarmente irritante per la maggior parte degli irlandesi che ora ci sia un’ammissione, quasi casuale, che quest’idea era abbastanza folle. Olli Rehn, il Commissario agli affari economici dell’Unione Europea e uno dei principali architetti della strategia irlandese dall’inizio della crisi, ora dice: “A posteriori, penso che sia abbastanza facile individuare alcuni errori, come la garanzia di copertura per le banche.” Questa ammissione, però, non implica alcun cambiamento di politica. “Ma ormai tutto questo è acqua passata”, ha proseguito “e ora noi abbiamo corretto la direzione del fiume”. L’Irlanda, ci ha rassicurato il signor Rehn, è in “una situazione migliore, al momento”.
Ma il corso fiume non è stato cambiato: dalla decisione catastrofica di salvare le banche a tutti i costi continua ad arrivare un torrente di debiti. La speranza che i debiti irlandesi potessero essere in parte alleggeriti dall’intervento dei partner europei, come riconoscenza per il ruolo del paese nel salvataggio dell’euro, si sta ormai spegnendo.
La piccola Irlanda ha incassato il colpo per salvare l’intera squadra. In cambio, ottiene una pacca sulla spalla e la discutibile soddisfazione di essere chiamata una “storia di successo”.
Ecco perché, alla fine, il programma di austerità non è riuscito nel suo fondamentale obiettivo di far scendere il debito sovrano dell’Irlanda, che in realtà è aumentato vertiginosamente durante gli ultimi 5 anni. Nel 2009, era al 64% del PIL. L’anno scorso, è salito al 125%. Il debito è raddoppiato mentre la spesa pubblica è stata tagliata.
In questo, l’Irlanda può essere davvero un modello: soffrire per mantenere un’immagine irreale di perfezione anoressica .
NEW YORK TIMES
tratto da: (clicca qui)