2014.05.05 – «Eversivi, ma le idee non si processano»

Posted by Presidenza on 5 Maggio 2014
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Il tribunale di Brescia smonta l’accusa: mancano atti e disegni violenti. E il gip di Rovigo revoca i domiciliari a sei indagati

di Filippo Tosatto

 

04 maggio 2014

VENEZIA. Focolaio terrorista? No. Carnevalata? Neppure. In effetti, la sedicente «Alleanza» dei 24 secessionisti finiti in carcere il 2 aprile, perseguiva «un fine eversivo dell’ordine democratico e costituzionale», diretto a «scalfire l’unità dello Stato in violazione dell’art. 5 della Costituzione» e a «creare un nuovo Stato (in luogo della sopprimenda Regione Veneto) a regime, almeno provvisoriamente, autoritario», fondato cioè su «istituzioni di governo autoproclamate del tutto privo di legittimazione su base democratica». Ma non vi sono prove che tale piano sia stato accompagnato da gesti violenti, neppure potenziali: le azioni ventilate nei colloqui intercettati dai carabinieri del Ros – l’occupazione di piazza San Marco a bordo del tanko, l’appostamento di tiratori sui tetti di Venezia, l’acquisto di armi leggere all’estero, la presa di luoghi simbolici quali il torrione del castello di Brescia – si sono risolte in «vere e proprie millanterie», «spavalde idee senza seguito concreto», sostanzialmente prive di pericolosità. Persino l’irriducibile Luigi Faccia, che si proclama prigioniero di guerra, predicava la «superiorità dottrinale non violenta» ai sodali venetisti.

Sono le considerazioni che hanno indotto il Tribunale del Riesame di Brescia ad accogliere, sostanzialmente, le istanze difensive, rimettendo in libertà buona parte degli indagati (in primis l’ideologo della Liga Franco Rocchetta e il capo dei “forconi” Lucio Chiavegato) e concedendo i domiciliari agli altri. L’ordinanza risale al 15 aprile, le motivazioni – 66 pagine fitte di richiami istruttori e di citazioni tratte dalla Cassazione – sono appena state depositate dal collegio presieduto dal giudice Michele Mocciola. Il documento analizza minuziosamente il teorema d’accusa della Procura e ne respinge l’imputazione più grave, quella di associazione eversiva a scopo di terrorismo. Il piano separatista del gruppo manca dell’«intenzione di aggredire, ovvero di cagionare pregiudizi personali nei confronti di soggetti terzi»; rincorre obiettivi eclatanti e punta all’improbabile sollevazione delle masse nel Nord del Paese, escludendo però ogni orizzonte di lotta armata; ciò, secondo i magistrati del Riesame, ne vanifica il profilo terrorista e la stessa natura sovversiva. Perentoria la conclusione dei togati: c’è il rischio di «reprimere idee piuttosto che fatti» e lo spessore di questi ultimi non giustifica la detenzione degli indagati.

Un’impostazione garantista contestata dalla Procura bresciana (che annuncia ricorso) ma condivisa dal tribunale Rovigo, competente a procedere in quanto il giuramento indipendentista che sancì l’Alleanza nell’ottobre 2012 avvenne a Casale di Scodosia, lembo padovano che ricade nella sua giurisdizione; qui il gip Pietro Mondaini, su parere favorevole del pm, ha attenuato gli arresti domiciliari in obbligo di firma giornaliera per sei indagati: Flavio Contin, Michele Cattaneo, Stefano Ferrari, Tiziano Lanza, Corrado Turco e Luca Vangelista; quest’ultimo è difeso dagli avvocati Stefano Marchesini e Paola Ziviani, soddisfatti per la riconosciuta «assenza di pericolosità oggettiva» dell’assistito.

Resta il tanko blindato, ricavato da una pala meccanica dotata di una culatta di cannoncino artigianale con tre sacchetti di sfere d’acciaio da 22 mm quali munizionamento: le prove di sparo potranno stabilire se si tratta di arma da guerra o di arma comune da sparo: tuttavia, conclude l’ordinanza, il carro armato fai-da-te «non era destinato all’uso comune, ma solo ad emblema e simbolo dell’indipendenza veneta».

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L’impegno quotidiano delle Forze dell’Ordine non dovrebbe essere quello di proteggere la banda di criminali delinquenti che governa lo Stato straniero italiano che ha colonizzato la Nazione Sarda ma quello di garantire l’ordine pubblico e di assicurare alla popolazione la dignità, la legalità e il rispetto che essa merita.

Il regolamento di polizia è molto chiaro e opporsi ad un ordine illegittimo è un onere ma anche un dovere.

E’ un dovere per qualunque poliziotto non obbedire a ordini illegittimi e partecipare ad atti e azioni poste in essere in evidente e palese contrasto con le norme di legge e questo non può sfuggire anche alla minima competenza professionale richiesta ad un poliziotto.

Un ordine illegale e illegittimo non può obbligare il destinatario di tale ordine e in caso contrario chi lo esegue non è esente da responsabilità perchè si diventa complici di reati gravissimi e anche il silenzio è complicità.

Un poliziotto che riceve un ordine illegittimo è tenuto alla disobbedienza, su tale ordine, e alla denuncia immediata del superiore che ha impartito questo ordine.

Ammutinamento delle forze dell’ordine, un rischio calcolato

3 magg –  Alla prossima manifestazione dei no-tav, no-gobal, black block, centri sociali, antagonisti, anarchici, pacifinti, e fancazzisti a libro paga delle sinistre ci andranno i parassiti politicanti, ladri e corrotti a mantenere l’ordine pubblico.

La Polizia, attaccata, sbeffeggiata, denigrata, offesa, umiliata, non ne può più. Non basta che queste persone (ricordiamo che anche loro sono persone) debbano lavorare con leggi inadeguate, senza i mezzi necessari e le risorse adeguate, non basta che mettano a repentaglio la propria vita per poco piu’ di 1000 euro al mese, ora devono anche sentirsi messe in discussione dallo stesso capo della Polizia, dalle stesse Istituzioni, da coloro che, se non fosse per le FF-OO, sarebbero già appesi uno ad uno ai pali dell’illuminazione pubblica.

I poliziotti vengono ripagati con lo sciacallaggio mediatico, finalizzato ad una squallida campagna elettorale, a causa di un applauso ripreso in un determinato contesto e strumentalizzato in altro ancora. Ora basta. Anche la Polizia, ha un cuore, anche i poliziotti “tengono famiglia”.

Le istituzioni, corrono un gravissimo pericolo. Mettersi contro la Polizia, contro le FF.OO, non è una mossa strategica corretta. Per questo e tanti altri antichi e validi motivi, c’è il rischio che, durante le prossime manifestazioni, le FF.OO facciano come in Ucraina, dove stanno a guardare fratelli che uccidono altri fratelli. I politicanti corrono seri rischi, ma se non ci sono abituati loro, gli stuntman e acrobati, chi altro?

Le FFOO conoscono bene l’Articolo 175 (ammutinamento punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni i militari che, riuniti in numero di quattro o più: rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine di un loro superiore. Sanno che, per chi promuove l’ammutinamento, la pena della reclusione è da uno a cinque anni. E sanno anche che la condanna comporta la rimozione. Ma se vogliamo cambiare, e non il Paese come dice quell’idiota di Renzi,  se noi  vogliamo davvero cambiare la testa alla gente, da qualche parte bisogna cominciare….

Armando Manocchia

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2014.05.03 – Odessa 2014, strage nazista oscurata dai nostri media

Posted by Presidenza on 3 Maggio 2014
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Vediamo i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature. Squadre nazistoidi di Pravy Sektor (”Settore Destro”), protette e inquadrate anche nel resto del paese da una giunta insediatasi dopo aver allontanato con la violenza un presidente eletto regolarmente, stanno devastando i luoghi di aggregazione sociale e politica – ossia i partiti, le associazioni, i sindacati – di una parte della popolazione di Odessa (maggioritaria) identificabile come russa, russofona o filorussa. La polizia della città sul Mar Nero ha lasciato fare per ore. Ma le vergognose testate italiane fanno a gara per sopire e troncare la reale portata della notizia. Distinguere fra un generico incidente e una strage politica: il confine per capire quali tempi di fuoco si avvicinano passa da qui, dai 38 morti del 2 maggio di Odessa (per tacere degli altri episodi da guerra civile nel resto di un paese in bancarotta).

In materia di guerra la stampa italiana, specie sul web, ci ha già abituati al peggio negli ultimi anni. Con il dramma dell’Ucraina si è già subito portata ai suoi peggiori livelli, già raggiunti nel disinformare i lettori sulla guerra in Libia e poi in Siria. Le pagine web italiote ci farebbero davvero ridere, se non parlassimo di una tragedia: i 38 filo-russi bruciati in una sede sindacale dai nazionalisti ucraini di estrema destra sono diventati delle generiche “38 vittime in un incendio”. «Quasi si trattasse di un incidente e non di un massacro politico», commenta Daniele Scalea, direttore dell’Isag, un istituto di studi geopolitici molto attento alle vicende dell’Europa orientale. Scalea e anche noi ci domandiamo cosa avrebbero scritto nel 2011 il “Corriere della Sera”, o la “Repubblica”, o “Il Fatto Quotidiano”, se dei miliziani di Gheddafi avessero assediato decine di manifestanti fino a farli bruciare vivi.

Ecco come il canale televisivo russo “Rt” riferisce i fatti: «Almeno 38 attivisti antigovernativi sono morti nell’incendio della Camera del Lavoro di Odessa a seguito del soffocamento per il fumo o dopo essere saltati dalle finestre dell’edificio in fiamme, ha riferito il ministro dell’Interno ucraino. L’edificio è stato dato alle fiamme dai gruppi radicali pro-Kiev». Così invece li racconta il “Corriere”: «Trentotto persone sono morte in un incendio scoppiato nella città ucraina di Odessa e legato ai disordini tra manifestanti filo russi e sostenitori del governo di Kiev». Così, genericamente, un incendio “legato ai disordini”…  Ancora, il pezzo su “Repubblica” suona così: «È di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. “Uno di loro è stato colpito da un proiettile”, ha riferito una fonte all’agenzia Interfax, “mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte”. La sede dei sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell’incendio. Gli scontri sono violentissimi».

La macabra contabilità si disperde in un groviglio in cui non si capisce chi fa che cosa, quanti muoiono in un episodio o in un altro, chi appicca gl’incendi. “L’Unità” riesce a fare peggio di tutti. La salma del giornale di Gramsci scrive infatti che la sede del sindacato è stata bruciata dai separatisti filo-russi (uno scoop malauguratamente ignorato in tutto il resto del mondo). A ulteriore dimostrazione che all’“Unità” non sanno quel che dicono, aggiungono che sono stati «abbattuti due elicotteri filorussi, Mosca furiosa», come se la rivolta avesse una sua aviazione all’opera. Naturalmente la notizia era inversa: due elicotteri d’assalto Mi-24 delle forze speciali di Kiev (che stanno combattendo assieme a contractors stranieri e milizie naziste), sono stati abbattuti dalle forze ribelli. Notizia molto preoccupante, se vista nelle sue implicazioni, possibilmente quelle esatte, della possibile escalation del conflitto.

Se puntiamo di nuovo l’attenzione al rogo di Odessa, la conclusione è dunque chiara: gli organi di informazione nostrani sono reticenti, quando non falsificano, perché non riferiscono che le vittime sono state tutte di una parte, né che la causa immediata della loro morte sia stato un incendio doloso appiccato dalla milizia del partito nazista Pravy Sektor presso la sede di un sindacato. Questo accade nell’Odessa del 2014 e non nella Ferrara del 1921 né nella Stoccarda del 1932. A quel tempo c’erano ancora organi di informazione che raccontavano la portata reale della catastrofe, prima di esserne travolti. Non sappiamo ancora se il veleno della catastrofe politica di questo secolo potrà essere evitato, data la risolutezza degli apparati atlantisti nel precipitare nel caos l’Ucraina, paese chiave della sicurezza comune europea. L’unico antidoto esistente può funzionare solo se diventa un fenomeno politico e mediatico di massa: l’antidoto è informarsi e informare, fuori dalla ragnatela mediatica dominante, far sapere tutto su chi vuole estendere il grande incendio, ben oltre i palazzi di Odessa.

(Pino Cabras, “L’incendio di Odessa e la stampa italiana”, da “Megachip” del 2 maggio 2014).

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