TESTATA DIP. INTERNI

 

 

 

 

 

 

 

SEZIONE DIPARTIMENTALE DI POLITZIA

 

Aristanis, 30 agosto 2014

 

Oggetto: AVVISO E NOTIFICA DI ISCRIZIONE A RUOLO GIUDIZIARIO

NR. 0002/2014/08

 

L’anno 2014 addì 30 del mese di agosto si dà atto di aver proceduto alla notifica del presente avviso di iscrizione a ruolo giudiziario.

CONSIDERATI:

– la “Denuncia di occupazione, dominazione e colonizzazione della Nazione Sarda da parte dello stato straniero italiano – Rivendicazione di sovranità del Popolo Sardo” di questo MLNS in data 04.06.2012 e depositata alla sede O.N.U. di Ginevra in data 15.06.2012;

– Il “Monito e Diffida” del 20.08.2012 notificato allo Stato straniero, colonialista e razzista italiano e inoltrato, per conoscenza,  alla sede O.N.U. di Ginevra e alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo

-La Notifica a tutti gli Enti ed Istituzioni italiane presenti sui territori della Nazione Sarda inviata a mezzo P.E.C. in data 10.04.2014

-La Denuncia inoltrata  il 16.05.2014 alla Corte Internazionale di Giustizia, alla Corte Penale Internazionale, all’ONU, alla Croce Rossa Internazionale e a tutti gli Stati Terzi

questo Dipartimento Federale della Politzia Sarda da atto di aver proceduto all’iscrizione a ruolo giudiziario nel procedimento di indagine a carico di:

1)    MUSCENTE Antonello, funzionario della Polizia di Stato italiana col grado di Assistente Capo

2)    FANNI Gianluigi, funzionario della Polizia di Stato italiana col grado di Assistente Capo

 

Capi di imputazione a carico di: MUSCENTE Antonello e FANNI Gianluigi

a)    violazioni continuate e aggravate del “MONITO E DIFFIDA” notificato dal Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu (MLNS) allo Stato Straniero Italiano e della “Notifica a tutti gli Enti ed Istituzioni italiane presenti sui territori della Nazione Sarda”

b)    violazione dei fondamentali diritti umani, civili e politici dei cittadini del Popolo Sardo in evidente spregio alle stesse norme del “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici” adottato e aperto alla firma a New York il 16 e il 19 dicembre 1966, ratificato dallo stato straniero italiano con la legge n. 881/77, ed in evidente spregio alle stesse norme della Costituzione italiana.

c)    l’aver agito e il persistere ad agire in difetto assoluto di giurisdizione ed altresì in difetto assoluto di competenza, ovvero in regime di incompetenza assoluta per materia e per territorio, nel Territorio della Repubblica Sarda contro un cittadino del Popolo Sardo con minacce, atti violenti, sequestro di persona e falsa testimonianza.

d)    reiterate minacce, interrogatori informali, violenze morali e psicologiche su un cittadino del Popolo Sardo sottoposto illegalmente a grave limitazione della libertà personale in quanto sequestrato, segregato e sorvegliato a vista per ore negli uffici della polizia di stato straniera italiana ad Oristano;

e)    illeciti a sfondo razzista, politico e discriminatorio posti in essere con premeditazione e con dolo specifico nei confronti di un cittadino del Popolo Sardo e, in particolare, per avere sequestrato documenti personali, rilasciati dal Servizio Anagrafe del Guvernu Sardu Provvisoriu.

f)     l’aver posto in essere illeciti contro la sovranità del Popolo Sardo, contro l’integrità territoriale e contro la personalità della Nazione Sarda;

g)    abuso di potere e in atti d’ufficio

h)   furto aggravato; per essersi illegalmente ed illecitamente impossessati dei documenti d’identità di un cittadino del Popolo Sardo

i)     sequestro di persona

 

RESPONSABILITA’ ATTRIBUIBILI:

–    Sequestro di persona aggravato

–    reiterate minacce, interrogatori informali, violenze morali e psicologiche su un cittadino del Popolo Sardo

–    atti razzisti e discriminatori

–    abuso di potere e in atti d’ufficio

–    furto aggravato

 

AGGRAVANTI A CARICO DI MUSCENTE ANTONELLO:

a)    reiterazione nei capi d’imputazione di cui ai punti a, b, c, d, e, f, g, h, i, j

 

Per i suesposti motivi, le SS.LL. verranno assicurate alla Giustizia Sarda nei modi, tempi e condizioni che saranno ritenute di adottarsi per i provvedimenti indennizzanti e giudiziari del caso.

Si avvisano gli interessati, i loro collaboratori e quanti concorrendo con essi intendano dar seguito a tali crimini, che è facoltà del cittadino del Popolo Sardo di difendersi e di avvalersi legalmente dell’uso della forza.

 

APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’ COLLETTIVA:

le violazioni e gli illeciti commessi da organi, funzionari e/o incaricati di pubblico servizio stranieri italiani contro cittadini del Popolo Sardo e/o contro il MLNS e suoi appartenenti integrano illeciti internazionali imputabili anche allo stato italiano;

atteso il principio di responsabilità collettiva, la responsabilità per qualsiasi violazione del diritto internazionale commessa da un qualsiasi organo, funzionario e/o incaricato dello stato straniero occupante italiano si intende estesa all’intera comunità statale e quindi allo stesso stato, che possono patire le conseguenze dell’illecito;

per l’effetto, allo stato straniero occupante italiano è estesa la responsabilità di tutti tali atti di imputazione e di qualsiasi atto di aggressione, di forza e/o di guerra posto in essere contro i cittadini del Popolo Sardo e/o contro il Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu.

SI AVVISA:

il Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu, soggetto di diritto internazionale, per sua natura non può essere soggetto, né assoggettabile, alla giurisdizione dello stato straniero occupante italiano.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella sua precisa funzione di mantenimento della pace e quindi al fine di scongiurare il rischio di escalation di un confronto bellico col MLNS, provveda a comminare le sanzioni previste nei confronti dello stato italiano per i numerosi e reiterati illeciti internazionali commessi dai suoi organi, funzionari e/o suoi incaricati contro questo MLNS e contro cittadini del Popolo Sardo.

Per quanto di competenza e per l’ulteriore a praticarsi, la presente verrà inoltrata al governo straniero italiano, alla Segreteria Generale ONU di New York, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU a New York, alla Segreteria Generale ONU di Ginevra, ai Governi degli Stati terzi confinanti e ai Governi degli altri Stati terzi secondo le decisioni del Direttivo di questo MLNS.

Fatto, confermato e sottoscritto

IL CAPO SEZIONE

(sergio pes)

                                                                              firma

 

 

2014.08.30 – ISCRIZIONE A RUOLO GIUDIZIARIO RESPONSABILI FERMO LUIGI ZUCCA                        

Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare……GRANDE PUTIN !!!

LONDRA – Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare e se uno di questi giocatori e’ Vladimir Putin allora le cose si mettono davvero male per i bulletti del quartierino.

E difatti dopo aver vietato le importazioni di prodotti agroalimentari dall’Unione Europea il governo di Mosca potrebbe vietare anche l’importazione di auto prodotte nei paesi UE e Il Ministero dello Sviluppo Economico russo conferma che sta lavorando a questa ipotesi.

Tale provvedimento metterebbe in seria difficoltà soprattutto la Germania, che vede nella Russia un importante mercato per le sue auto tant’e’ che il gruppo Volkwagen (che comprende, tra le tante, anche Audi, Porsche, Lamborghini e Ducati) ha già preso ufficialmente posizione contro le sanzioni economiche al governo russo e pare che a breve anche Mercedes e BMW si uniranno al coro.

In ballo ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro e una cifra d’affari per le esportazioni che potrebbe ridursi del 25% e il Comitato Est dell’Economia tedesca rivela che le più importanti imprese tedesche, tra cui Adidas, Siemens, Deutsche Bank e Basf starebbero studiando delle soluzioni per aggirare i diktat dell’UE.

E cosi’ non contenti di aver distrutto l’industria agroalimentare adesso i politici asserviti alla UE rischiano di infliggere danni ulteriori alle economie dei paesi UE senza raggiungere nessuno degli obiettivi prefissati visto che l’economia russa continua a crescere e la Russia diventa sempre piu’ influente.

Al momento e’ difficile prevedere un cambiamento di direzione da parte del governo tedesco ma se tutte le grosse industrie tedesche si uniscono per chiedere la fine di questa politica antirussa per la Merkel le cose potrebbero mettersi male e chissa’ sorse questa ribellione contribuira’ alla distruzione dell’Unione Europea.

Fonte notizia: Il Mattino online – che ringraziamo.

GIUSEPPE DE SANTIS – Londra.

tratto da: (clicca qui)

 

martedì 26 agosto 2014

LONDRA – Se c’erano ancora dubbi sulla gravità della crisi che minaccia il futuro dell’euro – e potenzialmente della stessa Unione Europea – l’annuncio shock della crisi di governo in Francia dovrebbe metterli a tacere.

Le tensioni all’interno del governo socialista francese sono andate crescendo per mesi, mentre l’economia minacciava una doppia recessione. Ma è stata la critica pubblica da parte del ministro dell’economia francese, Arnaud Montebourg, sull’accettazione da parte di Parigi dell’austerità imposta dall’eurozona, che ha portato il presidente Hollande a chiedere la formazione di un nuovo governo.

L’ironia è che alcuni dei timori espressi da Montebourg circa l’economia francese che si avvia alla deflazione sono stati espressi anche dal presidente della Banca centrale europea (BCE), Mario Draghi, in un importante ma poco noto discorso tenuto venerdì sera negli Stati Uniti. Draghi non ha nascosto la sua crescente preoccupazione per la stagnazione dell’economia dell’eurozona e il mancato stimolo alla domanda da parte dei paesi in grado di farlo. Questo è un messaggio abbastanza ovvio per la Germania.

Si può presumere che – sotto le direttive del presidente Hollande – il primo ministro francese, Manuel Valls, proporrà debitamente  un nuovo governo, depurato dai dissidenti. Ma sarebbe molto sorprendente se lo stesso dibattito innescato da Montebourg non tornasse molto presto a perseguitare i responsabili politici francesi. Ma quel che è nuovo, e potenzialmente molto preoccupante, è la prospettiva che il tempo a disposizione del governo francese per evitare il disastro – e il tempo di tutta l’eurozona nel suo insieme – si stia rapidamente esaurendo.

Draghi e la BCE vogliono chiaramente agire rapidamente per ammorbidire ulteriormente la politica monetaria, possibilmente includendo gli acquisti su larga scala di debito pubblico e privato. Ma tempi per farlo non sono interamente nelle mani della BCE, ed è ancora possibile che il governo di Berlino – sotto la pressione della Bundesbank – punti i piedi. Né vi è molto entusiasmo a Berlino sull’adozione di misure fiscali per stimolare la domanda in tutta l’eurozona.

Il pericolo è che se la zona euro dovesse scivolare sempre più in una deflazione vera e propria, diventerà ancora più difficile invertire la tendenza economica. Sotto la superficie, tuttavia, il dibattito potrebbe centrarsi sulla scala dell’azione da intraprendere, per timore che la scelta possa diventare o salvare l’euro o salvare la stessa UE. All’interno della coalizione della Merkel, aumentano le pressioni  per un cambio di direzione economica al fine di evitare una catastrofe, non solo economica, ma anche politica, sull’integrazione europea.

Questa presunta “nuova direzione” non solo deve includere un QE di emergenza da parte della BCE, ma anche uno stimolo alla domanda da parte dei governi, eventualmente accompagnato dalla parziale temporanea sospensione di alcune delle regole della zona euro su deficit e inflazione. Ma è pure essenziale il massimo dispiegamento delle capacità complessive della UE di finanziare una sorta di “New Deal”, guidato da un massiccio aumento degli investimenti sull’energia, i trasporti, l’ambiente e le infrastrutture sociali.

E’ una direzione che lo stesso presidente Hollande sarebbe ben felice di sostenere, se solo potesse mantenere la facciata di un’incontrastata autorità di governo e di continuità della strategia di Parigi. Sarà un trucco difficile da attuare, per lui. Anche il governo italiano guidato da Matteo Renzi è consapevole del fatto che la sua luna di miele politica sta volgendo al termine, e sta conducendo una campagna, appena dissimulata, per un cambio di strategia nell’eurozona.

Quando il gioco si fa duro, nei conclavi delle riunioni ministeriali dell’eurozona potrebbe formarsi una chiara maggioranza favorevole a politiche nuove da realizzare con urgenza. Perfino in Finlandia, tradizionale alleato della Germania sulla linea dura dell’austerità, si sentono nuove voci che mettono in guardia sull’imminente catastrofe economica.

La Merkel cederà alle pressioni per una nuova iniziativa nell’eurozona? Sarebbe sorprendente se non lo facesse. Più di ogni altro governo dell’UE, la Germania sa fin troppo bene quello che potrebbe seguire la disintegrazione dell’euro. La sopravvivenza dell’integrazione europea potrebbe essere in gioco. Gli eventi in Ucraina e altrove mostrano un promemoria riguardo il prezzo che un’Europa debole e disunita potrebbe ora pagare per un errore di calcolo economico.

Autore dell’articolo: John Palmer per The Guardian – Londra.

Traduzione: Voci dall’Estero – che ringraziamo.

link originale: www.theguardian.com/commentisfree/2014/aug/25/objections-austerity-french-government-france-eurozone

tratto da: (clicca qui)

 

2014.08.27 – Francia: e se il fronte nazionale va al governo ? Ecco gli scenari

tratto da: (clicca qui)

DI GUILLAME FAYE

gfaye.com

Immaginiamo che nel 2017, o anche prima se il governo socialista dovesse cadere, il F.N. andasse al potere, con Marine Le Pen all’Eliseo e che, nella volata delle elezioni legislative prendesse la maggioranza grazie ad un’alleanza con i frontisti e con i parlamentari “di destra” di una fazione dell’ UMP che si potrebbe spaccare dopo una grave crisi, ma potrebbe allearsi anche con qualche forza di sinistra.

È molto improbabile, ma non si sa mai.

 

Facciamo una analisi di questa ipotesi e dei tre scenari che ne potrebbero scaturire:

1) Un fallimento totale.

2) Un successo parziale.

3) Un Terremoto e l’inizio di un processo rivoluzionario.

Un Fallimento Totale

Le idee economiche del FN, hanno le stesse basi su cui poggiavano quelle dei primi socialisti (basate sulla strategia della domanda e non dell’offerta, sul rifiuto di una disciplina fiscale, sul mantenimento di uno stato sociale e di una economia amministrata utilizzando il 57% del PIL per la spesa pubblica, tassazione e oneri vari altissimi, funzione pubblica rigonfia, corporativismo generalizzato, ecc…), un FN al potere applicherebbe un programma economico statalista e prodigo nella spesa. Avevano criticato la politica del “UMPS” definendola a torto come “ultra-liberale”, quando in realtà era collettivista. La nuova maggioranza dovrebbe mettere in atto lo stesso tipo di politica, se non peggiore. Il FN non ha capito che ci sarebbe stato bisogno di uno shock alla Schroeder (Agenda 2010) o alla Cameron per rilanciare crescita e occupazione. Succede un disastro: le stesse cause producono gli stessi effetti, la disoccupazione continua a crescere, i deficit si allargano, le industrie delocalizzano, la linfa vitale fugge all’estero, il debito pubblico esplode. Il tasso sui prestiti al mercato supera il 5%.

Per aggravare di più la situazione, interpretando a modo suo le regole europee, Marine LePen litiga con la Germania, apre una grave crisi all’interno dell’Unione Europea, e decide una uscita frettolosa e improvvisa dall’Euro, ritornando al Neo-Franco. Risultato: il valore dei risparmi dei francesi precipita, i loro beni anche, perché il Nuovo Franco perde rapidamente valore nel mercato dei cambi; l’effetto stimolante sulle esportazioni che dovrebbe provocare la massiccia svalutazione del Nuovo Franco non avviene, per effetto delle importazioni a prezzi più alti che spesso sono negoziate in euro o in dollari, quindi la svalutazione di fatto non ha compensato la mancanza di competitività delle imprese francesi. Senza contare la rivalorizzazione del peso del debito, che bisogna pagare in euro, e il costo che devono affrontare le imprese per impostare la nuova contabilità . E ‘una catastrofe.

Il nuovo governo ha invocato le clausole di emergenza per uscire temporaneamente dall’area Schengen e per ripristinare i controlli alle frontiere. Ma, come tutti i suoi predecessori, la realtà viene affrontata con la stessa mancanza di coraggio, le misure prese sono timide e senza risultati probanti sui flussi migratori, nonostante gli effetti che provocano gli annunci di queste misure puramente simboliche che, in questo modo, riecono solo a scandalizzare i benpensanti: diminuisce l’ AME ( assistenza medica) per gli immigrati clandestini e aumentano le espulsioni.

Allo stesso modo, le misure approvate per rivedere la legge Taubira, e rafforzare la lotta contro la criminalità, per rinforzare il “laicismo” contro l’invasione dell’ Islam e ritornare alla Cultura Nazionale, per ripristinare il bilancio della difesa, ecc…  sarebbero tutte misure insufficienti. Il governo dominato dal FN (che ha lottato per tenere per sé il massimo delle responsabilità) continua ad intensificare le sue battute d’arresto per paura che tutto prenda fuoco, per paura di uno scontro frontale. Senza audacia, non si può vincere. Le mezze misure non servono a niente. Continuano senza sosta i disordini etnici. Gli elettori che hanno votato per la nuova maggioranza sono delusi e confusi. Non cambia niente e, anzi, tutto va ancora peggio.

La nuova maggioranza, dominata dal FN non riesce ad attirare su di sé nessuna critica positiva da parte di chi conta, sia nel governo che negli uffici ministeriali o in parlamento. Sia i neofiti che i vecchi parlamentari sono paralizzati da una amministrazione ostile, tutti i nuovi leader sono una pena. Inoltre, in seno alla maggioranza si sta creando una fronda di rottura. Ogni fazione ha una propria idea, liberali, socialisti e nazionalisti neo-gollisti, il “canale storico”. Per farla breve, non c’è più una maggioranza e la situazione diventa incontrollabile. Diciotto mesi dopo la sua elezione all’Eliseo, Marine Le Pen scioglie l’Assemblea Nazionale.

Essendo stato reintrodotto il sistema semi-proporzionale contro il voto di maggioranza, la nuova assemblea è un caleidoscopio senza una maggioranza chiara. Il Fronte Nazionale stesso è scoppiato e si è diviso in diverse correnti. Di fronte a una situazione da Terza e Quarta Repubblica, la gentile ospite dell’ Elysee rinuncia a formare un governo; getta la spugna e se ne va. La vittoria del FN nel 2017 sarà stata una cometa. La Francia è sprofondata ancora un pò di più nelle sabbie mobili.

Un mezzo-successo

Il nuovo governo ha ripensato il suo programma di “uscita dall’Euro” e di ripristino del Franco, rimandando il programma a tempo indeterminato. Troppo complicato, troppo rischioso, troppo costoso. Il presidente Le Pen ha finalmente capito che una uscita dall’euro significherebbe il raddoppio di un debito pubblico ancora legato all’ euro, ma anche una drammatica svalutazione di tutti i risparmi e una crisi bancaria ingestibile. La Germania e Bruxelles hanno detto :” Prego da questa parte, andare avanti voi, e noi arriveremo dopo!”  Il Presidente Le Pen ha tenuto un discorso del quale si è avuta una doppia interpretazione: Certo che usciremo fuori dall’euro, ma più tardi. E l’effetto che questo discorso ha avuto è stata una immediata sfiducia dei mercati e di tutti i partner della Francia.

Come abbiamo accennato già nello scenario precedente, la politica economica della nuova maggioranza, non essendo riuscita a rompere con le teorie del social-statalismo, non è riuscita a fermare la recessione, né, ovviamente, a ridurre la disoccupazione. Tuttavia, i risultati ottenuti sono stati innegabili in altre aree, dove il governo ha tenuto duro, malgrado le tante le proteste, le intimidazioni dei sindacati e di qualsiasi altra natura: l’immigrazione clandestina è stata quasi fermata, sia per la chiusura delle frontiere che per il blocco degli alti sussidi erogati per gli affitti. Le espulsioni dei ” sans-papier” – dei clandestini – sono diventate più facili e si stanno moltiplicando. L’abrogazione delle leggi sulle riduzioni di pena e l’inasprimento della politica penale stanno fermando la crescente insicurezza e la criminalità, ma non riescono ancora a sconfiggerli né definitivamente né in parte.

Le riforme per riprendere in mano il controllo della Pubblica Istruzione, che sta andando in rovina, sono iniziate con una energia a dir poco moderata. L’inasprimento della “laicità” in effetti funziona per cercare di contrastare l’islamizzazione. Marine Le Pen pensa che ci si dovrebbe andare piano, con dolcezza, malgrado l’impazienza di molti. Ha paura di uno scontro, di manifestazioni esagerate, di tumulti da parte di tutte le forze della sinistra e di tutti gli quelli che si fanno trascinare dai venti che spirano contro di lei. Tanto che la “comunicazione” degli organi di governo, il potere simbolico della parola, è molto più forte rispetto ai risultati veramente ottenuto.

Tuttavia, pur tra tante insofferenze, la maggioranza tiene. Fino a quando? Marine Le Pen, diciotto mesi dopo la sua elezione, è preoccupata: i sondaggi effettuati nella Francia più profonda indicano che la sua base elettorale è impaziente. I risultati sono scarsi e le promesse di un rovesciamento della situazione tardano a venire. Gli editorialisti più sarcastici la paragonano a Sarkozy: bocca grande e di braccio corto. Ci si sta chiedendo se non sia ormai ora di cambiare marcia, e cominciare a passare dalle parole ai fatti. Cosa che significherebbe avviare un processo molto rischioso che in “scienze politiche” si chiama rivoluzione.

Un Terremoto che porta alla Rivoluzione

Appena eletta e, subito dopo le elezioni, avendo ottenuto una sua maggioranza all’Assemblea Nazionale, il Presidente Le Pen crede che sia opportuno sfruttare il brevissimo “stato di grazia”, e colpire subito duro. Vuole combattere come una leonessa, provando a confrontarsi con l’immagine che di lei ha disegnato una giornalista del New York Times – che si è arrischiata a paragonarla ad una possibile Margareth Thatcher -. Ma lei pensa anche a Giovanna d’Arco … comunque a qualcuna che sia capace di spaccare tutto, che dove passa scassa tutto. Bisogna osare del resto!

Sorprendente tutti intorno a lei rimangono in silenzio, e così lei può imporre una linea politica di rottura con il programma economico del FN. Una buona comunicazione servirà a far inghiottire questa rottura. E’ stata convinta di questa necessità dai suoi nuovi consiglieri, dei visitatori che arrivano la sera. Ha subito organizzato un referendum sulla politica generale che permetterà al governo, in base alla Costituzione, di legiferare per decreto.

Le proposte, che rompono tutti i tabù sono economiche – si torna a 39 ore ( on paga per 35) –  si abolisce l’imposta sul patrimonio – si aboliscono le soglie sociali nel mondo degli affari – c’è una drastica revisione dello status privilegiato del servizio civile (  non si rimpiazzano più due su tre persone che vanno in pensione) – si limita il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici e gli stipendi dei dipendenti parastatali – si bloccano i sussidi governativi ai sindacati e alla maggior parte delle associazioni – si equalizzano tutti i sistemi pensionistici – si aboliscono i privilegi delle pensioni speciali – si sopprimono le imposte dirette progressive e si introduce una flat tax al 12 % per tutti (che incassa tre volte di più del sistema corrente) – si revisiona e si semplifica il Codice del Lavoro, la libertà contrattuale e si unificano tutti i contratti di lavoro – diminuiscono tutte le tassazione su risparmi e investimenti – si liberalizza il mercato immobiliare – si dimezzano le imposte sui salari – le indennità di disoccupazione si allineano ai modelli inglesi e canadesi, ecc.

Alle proposte politiche presentate al referendum sulla politica generale sarebbero aggiunte anche delle proposte su immigrazione e molte altre questioni: sospensione dell’area Schengen e ripristino dei controlli alle frontiere, abolizione dello jus soli e ritorno allo jus sanguinis, irrigidimento per le condizioni di naturalizzazione, limitazione del diritto di asilo solo a casi eccezionali, espulsione di massa degli immigrati clandestini, annullamento di qualsiasi prestazione, beneficio o aiuto di qualsiasi natura agli stranieri, tra cui il diritto all’istruzione gratuita e alla scuola pubblica che sarebbero strettamente riservate ai cittadini francesi; ritorno ad una legge che preveda pene differenti a seconda della nazionalità, regole rigide per l’Islam, ecc.

Sono state inoltre proposte misure rivoluzionarie per ristabilire l’ordine disciplinare e selettivo nell’Istruzione Nazionale Repubblicana e viene conferita una funzione repressiva alla giustizia, imponendo ai giudici una rigorosa applicazione del codice penale. L’intero programma proposto somiglia a uno shock terapeutico.

Curiosamente, l’uscita dall’Euro non è una misura messa all’ordine del giorno. Marine Le Pen, tornando alla realtà e su consiglio dei suoi visitatori (quelli che vengono da lei di sera), ha respinto la linea del : “Vedremo in seguito” che precedentemente aveva considerato. Tuttavia, il referendum – che ha modificato la Costituzione – include misure che prevedono anche la disobbedienza – caso per caso – per le direttive della Commissione Europea e per le sentenze delle varie corti europee. Ripristinando così la prevalenza della sovranità nazionale nei confronti del diritto europeo.

La Sinistra, la destra meno estremista, il Centro, gli intellettuali, i sindacati, le associazioni, le lobby, insomma l’80% dei media e la maggior parte degli eurocrati gridano alla dittatura, quando si annuncia il referendum.

Ma urla e proteste cadono nel vuoto: il “sì” vince con il 55%. Tutto quadra. Il successo del referendum agisce come una doccia fredda, lasciando al governo le mani libere. Come fulcro della propaganda per il referendum si è fatto riferimento alla Rivoluzione francese, all’uguaglianza, alla libertà, all’abolizione dei privilegi, al primato della Nazione. Parole che difficilmente qualcuno riesce a contestare. Anche Bernard Henry Levy – che spiega sempre tutto – dice che il risultato del referendum non è valido perché è “populista”, “Cesarista” e “non-democratico” ma si ricopre di ridicolo.

E ‘un terremoto. L’Europa trattiene il fiato: l’applicazione di un programma tanto rivoluzionario non potrà provocare il caos? Tutti sono storditi. Immediatamente, anche prima dell’entrata in vigore dell’ordine di esecuzione della volontà del popolo, si nota un movimento spontaneo di migliaia di clandestini che trasformano immediatamente la loro domanda di immigrazione in domanda di asilo.

In un primo tempo, lo shock è molto duro ma si tratta di curare una “febbre da cavallo”. Per un anno, il crollo dell’assistenzialismo provoca ovviamente un impoverimento, a volte drammatico. Ma la situazione si ristabilisce con la liberalizzazione e la fine del collettivismo: afflussi di capitali riavviano gli investimenti e le esportazioni e infine, accade qualcosa di inaudito – qualcosa che non succedeva da oltre trent’anni – un significativo calo della disoccupazione. Le proteste di piazza sono state molto limitate, come gli scioperi di protesta. Di fronte a un potere forte e determinato, i francesi se ne restano a casa o vanno al lavoro; solo quando il potere è debole si eccitano, come la storia ha dimostrato un centinaio di volte.

Inoltre, le curve della criminalità e della delinquenza cominciano a scendere; ovunque si nota una diminuzione netta della presenza straniera. L’attività di nuovi insediamenti sembra essersi fermata, o addirittura invertita. L’Islam istituzionale mantiene un profilo basso. Le cose sembrano andare bene ovunque. Il governo è determinato a continuare e ad andare oltre. Ma sa che dovrà affrontare una controffensiva, in arrivo da tutto il mondo e tutta in una sola volta … Come la guerra, la rivoluzione non si vince di colpo, come in un gioco d’azzardo, ma è un lungo combattimento.

 

Guillame Faye

Fonte: http://www.gfaye.com

Link: www.gfaye.com/si-le-fn-prend-le-pouvoir-quest-ce-que-ca-changera-les-scenarios-6/

 

 

 

TESTATA DIP. ECONOMIA

 

 

Per ciò che mi riguarda non è assolutamente utopico ma possibile.
Bisogna, con riguardo alla Sardegna, considerando l’attuale autonomia e la prospettiva dell’Indipendenza, condividere diversi elementi tra coloro che partecipano o vorrebbero partecipare al disegno di un nuovo Stato.
Il MLNS, struttura/embrione di uno Stato Sovrano Sardo, basato sulle norme del Diritto Internazionale, intende capire se esista una disponibilità d’iscritti e esponenti dei movimenti indipendentisti a lavorare sulla ricerca di nuove modalità sinergiche per l’obiettivo dell’Autodeterminazione.?
Il MLNS pensa che bisogna lasciare la porta aperta verso chi intende lavorare in modo condiviso, per raggiungere tale obiettivo; deve essere chiaro che ci sarà sempre qualcuno pronto a dare il benvenuto a chi decide d’entrare, senza limitarlo e senza condizionarlo.
Il MLNS non é depositario di CERTEZZE, non ha bandiere che possano sublimare certi contesti ideologici, ma é convinto che chi vuol dialogare e ascoltare tutti – pur partendo da premesse diverse – intende costruire uno spazio perchè tutti veicolino il proprio messaggio e le proprie perplessità.
La CERTEZZA delle proprie idee/posizioni é come una porta chiusa di cui qualcuno si considera padrone; ne possiede le chiavi e i suoi seguaci ne giustificano la proprietà, quindi é qualcosa che l’MLNS aborre..
La mia posizione é la seguente: “Mi piace avere dubbi (motivo per ogni studio e ricerca), quindi concordo con l’ MLNS nel voler aprire una collaborazione con tutti i Movimenti per parlare del “Doppio Binario”, su come lo si può costruire e come lo si può rendere operativo.
La CERTEZZA deriva sempre dalla presunzione di conoscere, ma anche dalla paura del confronto che provoca – come conseguenza – una forte, stagnazione delle idee e una incapacità ad evolvere.

Aristanis, 19 agosto 2014

PAULU BIANCU

Capo Dip. Economia Guvernu Sardu Provvisoriu

2014.08.19 – SI PUÒ COSTRUIRE UNA DIVERSA ORGANIZZAZIONE SOCIALE O È SOLO PURA UTOPIA

 

Chi avrà ragione? Il bandito tirapiedi dei banchieri e Presidente della Corporation Repubblica Italiana S.p.A. che di nome fa Giorgio Napolitano (che mi denunci pure) oppure il saggio popolo Ceco ? Domanda da 10 milioni di Soddus …….

lunedì 18 agosto 2014

LONDRA – Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano non fa che ripetere fino alla nausea che l’euro rappresenta il futuro e chiunque sia contrario alla sua adozione e’ uno xenofobo reazionario che va contro il corso della storia.

Ovviamente il presidente Napolitano ha sempre ignorato il fatto che i paesi che ne sono rimasti fuori stanno avendo una crescita economica molto piu’ elevata e per sua sfortuna molti paesi dell’Europa dell’est stanno facendo tutto il possibile per mantenere le loro valute. E l’esempio piu’ lampante viene dalla Repubblica Ceca.

L’adesione all’Unione Europea obbliga il governo ceco ad adottare la moneta unica ma fino ad ora e’ rimasto restio ad abbandonare la corona ceca e per tale motivo cerca sempre di spostare in avanti la data di adozione dell’euro.

Il motivo di questo procastinamento sta nel fatto che il 75% dei cittadini cechi rimane contrario all’adozione dell’euro non solo perche’ la sua adozione causerebbe un forte aumento dei prezzi ma anche perche’ temono che dovrebbero pagare piu’ tasse per partecipare ai vari programmi di salvataggio imposti dalla troika e inoltre sanno molto bene che con l’euro perderebbero la possibilita’ di usare strumenti di politica monetaria per stabilizzare l’economia.

Questa avversione per la moneta unica sta creando non pochi problemi sia per il presidente Milos Zeman che per la classe imprenditoriale ceca visto che entrambi vorrebbero adottare l’euro al piu’ presto possibile ma chiaramente sanno benissimo che andare contro la maggiornaza dell’elettorato ceco sarebbe un suicidio e probabilmente capiscono pure che nessuno crederebbe alla favola dei vantaggi della moneta unica.

Ad alimentare questo euroscetticismo ci sono anche alcuni esponenti della banca nazionale ceca i quali non hanno nascosto le loro perpressita’ riguardo l’ingresso della moneta unica anche se c’e’ chi dice che il vero motivo di tale opposizione sta nel fatto che con l’euro la banca centrale ceca perderebbe i suoi poteri di gestione della politica monetaria.

Questo dibattito sara’ destinato a continuare a lungo ma quel che e’ certo e’ che per il momento la Repubblica Ceca rimarra’ fuori dall’euro e probabilmente lo rimarra’ per sempre con buona pace del presidente Napolitano.

GIUSEPPE DE SANTIS – Londra.

tratto da: (clicca qui)

2014.08.17 – Chi parla di terza guerra mondiale?

Posted by Presidenza on 17 Agosto 2014
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I neocon, tramite Victoria Nuland, volevano fare dell’Ucraina una crisi di valenza internazionale, o addirittura mondiale. Ma perché la fretta? [Giulietto Chiesa]

di Giulietto Chiesa.

Della crisi ucraina ho già scritto a più riprese. La prima cosa che mi colpì, nel momento in cui Viktor Yanukovic fu rovesciato da un colpo di stato plateale, appoggiato patentemente dagli Stati Uniti (meglio dire da loro promosso) con l’attiva partecipazione della Polonia, della Lituania e dell’Estonia, e dei fantocci al potere a Bruxelles, fu la sua apparente inutilità. Perché mettere in atto un golpe se Yanukovic poteva essere tranquillamente tolto di mezzo tra un anno con regolari elezioni?

E altre domande portavano tutte a conclusioni analoghe.

Perché rovesciare il tavolo quando l’Ucraina era già nelle mani degli americani, completamente – Yanukovic o non Yanukovic – da diversi anni? Sicuramente dai tempi della cosiddetta “rivoluzione arancione di Yushenko-Timoshenko? Che consegnarono nelle mani della CIA gli ultimi rimasugli di sovranità nazionale, dopo quelli svenduti dai precedenti presidenti dell’Ucraina “indipendente”: Kravchuk e Kuchma?

Perché infine rovesciare Yanukovic quando lo stesso quarto e ultimo presidente dell’Ucraina aveva già venduto il Donbass alla Chevron e alla Shell: la bellezza di quasi 8000 chilometri quadrati di territorio per la durata di 50 anni, un accordo segreto in gran parte valutato 10 miliardi di dollari alla ricerca del gas da scisti bituminosi che avrebbe liberato “per sempre” l’Ucraina dalla dipendenza energetica dall’odiata Russia?

Insomma: Yanukovic – presentato come l’«uomo di Mosca» da tutti i media occidentali – non era poi quel grande amico di Putin.

Perché farlo fuori così brutalmente? Che bisogno c’era? Solo perché non aveva firmato a Vilnius il documento giugulatorio di “associazione” all’Unione Europea? Ma, fino al novembre dell’anno precedente Viktor Yanukovic aveva negoziato, lasciando sperare in un successo europeo totale. Il documento era già pronto, anche se in parte assai segreto. Bastava aspettare qualche mese e sarebbe stato imposto, con le buone o con le cattive.

No, tutti questi interrogativi non avevano risposte adeguate. Doveva esserci qualcos’altro. La fretta con cui Washington aveva premuto, e Varsavia aveva agito ai suoi ordini, indicava qualche altra impellente necessità.

A me fu subito chiaro che il golpe – non a caso un golpe con le stigmate naziste così visibili –  era diretto non contro Yanukovic, pedina di nessun peso, ma contro la Russia.

I neocon, tramite la esecutrice Victoria Nuland, volevano una crisi di valenza internazionale, se non addirittura mondiale. Ma perché la fretta? Perché accelerare lo scontro e portare la NATO praticamente sul portone del Cremlino? Era, in fondo, uno scenario che io stesso avevo previsto sarebbe accaduto. Ma assistevo a un’improvvisa e drammatica accelerazione.  Doveva esserci qualcos’altro a spiegare la fretta. E le dimensioni della rottura che si stava creando. Non si trattava di una crisi regionale, non un episodio passeggero. Le potenziali ripercussioni erano evidenti: uno scontro di portata non minore di quello della crisi dei missili a Cuba del 1962.

Bisognava spiegare il senso e le ragioni dell’accelerazione. Io non sono un economista (lo ripeto sempre per non eccitare le rimostranze degli scopritori dell’aria calda). Non sono neanche un esperto dei sotterfugi della finanza mondiale. Credo poco o nulla ai numeri che arrivano da quella parte, convinto ormai da tempo che sono in gran parte falsi o comunque molto manipolati. Ma tutto il nervosismo che da tempo leggo nei commenti di coloro che dicono d’intendersene (anche perché su quei trucchi ci hanno vissuto e ci vivono), mi ha fatto pensare che qualcosa non funzionava nei ragionamenti sopra esposti. Così mi sono trovato, con qualche sorpresa, in buona compagnia a parlare di “inizio della Terza Guerra Mondiale”.

Devo prima di tutto esprimere i miei ringraziamenti a Roberto Savio, ideatore di quel fondamentale bollettino che si chiama “Other News“, con sottotitolo esplicativo: “L’informazione che i mercati eliminano”. Il primo di agosto “Other News” ha pubblicato una rassegna, che riprende numerosi spunti dal Washington’s Blog, così intitolata: «Un gruppo di esperti finanziari ai massimi livelli afferma che la Terza GuerraMondiale è in arrivo, a meno che non la fermiamo». Saccheggerò questa rassegna, che mi pare estremamente istruttiva. In primo luogo i nomi sono effettivamente grossi calibri, a giudicare dalla frequenza con cui i mercati li citano.

Prendiamo per esempio Nouriel Rubini che a gennaio di quest’anno twittava da Davos: «Molti oratori qui paragonano il 2014 con il 1914, quando la Prima Guerra Mondiale esplose e nessuno se l’aspettava. Siamo di fronte a un cigno nero nella forma di una guerra tra Cina e Giappone?» Fuochino. Ma gli fa eco Kile Bass, multimiliardario manager di hedge funds, che prima cita un «influente analista cinese» e poi lo stesso premier giapponese Abe, che «non escludono un confronto militare tra Cina e Giappone». Aggiungendo previsioni molto ben descritte, che, in bocca a un gestore finanziario di quel calibro, non possono essere trascurate. «Miliardi di $ di depositi bancari saranno ristrutturati – ci informa Kile Bass – e milioni di prudenti risparmiatori finanziari perderanno grandi percentuali del loro reale potere d’acquisto esattamente nel momento sbagliato delle loro vite [sempre che ci sia un momento giusto per perdere i propri averi, ndr]. Neanche questa volta il mondo finirà, ma la struttura sociale delle nazioni affluenti sarà posta in acuta tensione e in qualche caso fatta a pezzi. (..) Noi crediamo che la guerra sia un’inevitabile conseguenza dell’attuale situazione economica globale».

Gli fa eco l’ex capo dell’Office for Management and Budget ai tempi di Reagan, David Stockman. Anche per lui lo scontro in atto tra America e Russia condurrà alla terza guerra mondiale. Un po’ più generico sulle modalità, ma convinto anche lui che si sta andando verso una “grossa guerra” (a major war) è l’ex analista tecnico di Goldman Sachs, Charles Nenner, che, ora in proprio, vanta tra i suoi clienti numerosi importanti hedge funds, banche, e un certo numero di ricchissimi investitori internazionali. Altrettanto, con qualche variazione, pensano investitori americani di primo piano come James Dines e Marc Faber. Quest’ultimo afferma apertamente che il governo americano comincerà nuove guerre in risposta alla crisi economica in atto. «La prossima cosa che il governo farà per distrarre l’attenzione della gente dalle cattive condizioni economiche – scrive Marc Faber – sarà di cominciare una qualche guerra da qualche parte».

Tutto chiaro, ma allora come mai i giornali e le tv ci dicono che l’America va fortissimo?

Pochi giorni fa Martin Armstrong – un gestore di fondi d’investimenti sovrani multimiliardari – dice la stessa cosa: «Occorre distrarre la gente dall’imminente declino economico». Gli ultimi due pezzi che ha scritto li ha intitolati così: «Andremo in guerra contro la Russia» e «Prepariamoci alla terza guerra mondiale». Non è ben chiaro se tutti questi profeti stiano enunciando prognosi sincere o siano semplicemente festeggiando in anticipo i futuri successi economico-finanziari che si aspettano dalla guerra, essendo evidente, da sempre, che le guerre ingrassano prima di tutto i banchieri e poi i produttori di armi. Ma l’insistenza con cui il tema viene sollevato indica comunque che il puzzo di bruciato tutti costoro lo sentono in anticipo.

Altri, per esempio la presidentessa del Brasile, Dilma Roussef, osservano che il mondo è attraversato da una «guerra delle valute» che sta diventando globale, cioè di tutti contro tutti. Da non dimenticare che la seconda guerra mondiale arrivò dopo una serie violenta di svalutazioni competitive. Sta accadendo ora la stessa cosa, quando le nazioni svalutano per rendere più competitive le loro merci e per incentivare le esportazioni. E molti si stanno accorgendo che la nuova banca, creata dal BRICS, con capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, basata in Cina, costituisce una novità impressionante nel panorama globale, dove un numero crescente di transazioni avviene in yuan, in rubli, invece che in dollari USA. Come scrive Jim Rickards – che nel 2009 partecipò ai primi “giochi di guerra finanziari” organizzati dal Pentagono – c’è il rischio che gli Stati Uniti si trovino “trascinati” in «guerre asimmetriche» di valute, in grado di accrescere le incertezze globali. È evidente che Rickards sta dalla parte americana. Ma, se il Pentagono – e non la Federal Reserve – organizza questo tipo di “giochi” vuol dire che ci siamo già dentro fino al collo e che il loro carattere militare è fuori discussione.

Del resto (questa volta parla il multimiliardario Hugo Salinas Price) «sono molti a chiedersi quali siano state le ragioni vere che hanno portato all’eliminazione di Gheddafi. Egli stava pianificando una valuta pan-africana. La stessa cosa accadde a Saddam Hussein. Gli Stati Uniti non tollerano alcun’altra solida valuta in grado di competere con il dollaro».

Altri mettono il dito sulla crescente scarsità di risorse, soprattutto energetiche. Altri ancora guardano alla Cina come a un avversario bisbetico e sempre più incontrollabile. Forse il protagonista di quella guerra asimmetrica citata da Jim Rickards. Gerald Celente, autore di accurate previsioni finanziarie e geopolitiche da molti anni, va anche lui seccamente alla conclusione: «Una terza guerra mondiale comincerà presto».

Jim Rogers, un altro investitore internazionale miliardario, punta gli occhi sull’Europa: «Se si continua a salvare uno stato dietro l’altro si finirà in un’altra guerra mondiale». Dunque continuiamo a strozzare i popoli europei, con l’obiettivo di evitare la guerra. Un pacifismo molto sospetto, ma comunque allarmato. Ovviamente sarà utile guardarsi da certi “pacifisti”.

Ma questa rassegna è utile per capire che l’allarme è in aumento. La Cina, senza fare troppo rumore, fa provvista di risorse, energetiche e territoriali, solo che invece di mandare le proprie cannoniere (non è il tempo), quelle risorse se le compra, con i denari del debito americano.

Putin deve fronteggiare la prima offensiva e non ha tempo da perdere. Tra l’altro un tribunale olandese, senza alcuna autorità o potere, ha decretato che la Russia dovrà pagare 50 miliardi di dollari, più gl’interessi, alla Yukos, cioè a quel bandito di Mikhail Khodorkovskij che la Russia ha scarcerato qualche mese fa con un gesto di distensione verso l’Europa (si noti che il tribunale sedeva nello stesso paese che aveva avuto il più alto numero di vittime nell’abbattimento del Boeing delle linee aeree malaysiane). Sarà stato un caso?

Comunque uno dei più vicini consiglieri di Putin, di fronte alla domanda: cosa farà la Russia di fronte a quella sentenza?, ha risposto stringendosi nelle spalle: «C’è una guerra alle porte in Europa. Lei pensa realmente che una tale decisione abbia qualche importanza?».

Giuridicamente non ce l’ha, ma sarà usata dai centri di comando dell’Occidente per colpire i beni russi all’estero, per sequestrare e congelare conti bancari, proprietà azionarie. Ecco una guerra asimmetrica appena iniziata senza essere stata nemmeno dichiarata.

Un influente settimanale americano ha dedicato la sua copertina a Vladimir Putin, con questo commento: “Il Paria”. Un titolo che è, invece, una dichiarazione di guerra. Solo che non e stata pronunciata dal Dipartimento di Stato, bensì dal “ministero della propaganda”, cioè dai media occidentali. È stato Paul Craig Roberts a usare questa definizione in un articolo di qualche giorno fa. Chi è Paul Craig Roberts? È stato Assistente Segretario al Tesoro durante la presidenza Reagan, ex editore del Wall Street Journal, considerato dal “Who’s Who” americano come uno dei mille pensatori politici più influenti del mondo.  L’articolo era intitolato:”La guerra sta arrivando (War is Coming)“.

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