Irene Piccolo, esperta di diritto internazionale, non cela la sua perplessità nei confronti del corso politico Russo e Siriano, e tuttavia, dopo una scrupolosa rassegna delle norme internazionali, giunge ad una conclusione senza appello: L’intervento russo in Siria è legittimo. Al contrario i paesi occidentali e la Turchia non solo non hanno ottenuto alcuna licenza che possa legittimare il loro uso della forza, ma nemmeno ci hanno provato: ennesima conferma di un sentimento di eccezionalità che ormai si è trasformato in vero e proprio abito mentale per le classi dirigenti dei paesi NATO.
di Irene Piccolo
Putin e Obama, avventura in Siria: tra i due litiganti… il diritto gode solo a metà
Abbiamo iniziato la settimana con i raid francesi in Siria, la stiamo chiudendo con quelli russi. Senza andare troppo per il sottile: chi lo sta facendo legittimamente (dal punto di vista giuridico) e chi no?
In questa situazione entrano in gioco alcuni dei principi basilari del diritto internazionale, ma principi semplicissimi, che in confronto le tabelline che impariamo alle scuole elementari potrebbero sembrare questioni astrofisiche:
1. Il divieto di uso della forza;
2. Il divieto di ingerenza negli affari interni di un altro Stato.
La battaglia di Solferino del 1859 aveva portato alla creazione della Croce Rossa Internazionale e aveva indotto gli Stati a ripensare le metodologie della guerra, di modo che nei conflitti a venire si rispettasse in un certo qual modo la dignità umana, evitando di infliggere sofferenze inutili ai combattenti. Così piano piano si arrivò alle normative, tuttora in vigore, sul diritto di guerra (Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907) e su come si conducono le ostilità.Tuttavia gli eventi della I guerra mondiale dimostrarono che esse non erano sufficienti e, con la nascita della Società delle Nazioni, si istituì un primo divieto di ricorso alla forza armata. Esso, ovviamente, non era un divieto assoluto, ma prevedeva che – nel momento in cui uno “sgarbo” tra Stati rischiava di portare al conflitto – questi non ricorressero subito all’ arme ma cercassero una soluzione alternativa per almeno tre mesi (si parlava di procedura di cooling off, cioè “raffreddamento” delle tensioni). Il passo successivo fu fatto nel 1928, con un patto bilaterale tra Francia e USA, il Patto Briand – Kellogg, in cui il divieto divenne un po’ più forte. Ciò tuttavia non impedì la guerra italiana in Etiopia o l’invasione giapponese della Manciuria, né tantomeno lo scoppio della II guerra mondiale.
Arriviamo così al primo vero divieto assoluto (o quasi) a livello globale dell’uso della forza (intesa solo come forza armata): l’art. 2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite(1945), secondo cui “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’ uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.
24 ottobre 1945: 49 paesi firmano la Carta delle Nazioni Unite che regolamenta e limita l’uso della forza nelle relazioni internazionali
Unica eccezione (per questo motivo ho detto “quasi assoluto”) – N.B. unica eccezione al di fuori delle azioni portate avanti sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta, di cui vi parlerò più giù – è la legittima difesa prevista all’art. 51 della stessa Carta, il quale recita:
“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.
Ne consegue che in tutti i casi in cui si faccia ricorso all’ uso della forza armata, e non ci siano questioni di legittima difesa, siamo in presenza di un illecito internazionale.
Ora, così come nel diritto penale interno, anche nel diritto internazionale sono previste le c.d. cause di giustificazione: vale a dire quelle condizioni in presenza delle quali anche se viene commesso un illecito, viene tuttavia esclusa la responsabilità dell’autore di quell’ illecito. Per l’esattezza, abbiamo sei cause che escludono la commissione di un illecito internazionale tra Stati:
1. Consenso dello Stato leso, che si basa sul detto latino volenti non fit iniuria (non c’è danno nei confronti di chi vuole/accetta la commissione di quello specifico atto). Purché il consenso:
• sia validamente prestato (no pressione politica, militare, economica, corruzione, ecc.);
• sia chiaramente accertato (cioè, non è che io immagino che Assad ha detto che le forze russe possono intervenire. No, Assad deve in qualche modo farcelo sapere… un’intervista, una dichiarazione, un atto scritto, quel che gli pare);
• sia prestato dall’organo competente per quello Stato ad impegnarsi internazionalmente (chi più di Assad che è il Presidente?!);
• deve essere prestato prima che il fatto sia commesso, e non a fatto compiuto, stile condono.
Inoltre, ci sono altri due requisiti:
• se il consenso ha dei limiti, la responsabilità dello stato che compie l’illecito viene meno solo entro quei limiti. Non appena li supera, c’è illecito. Faccio l’esempio concreto: se Assad dice a Putin “manda le forze russe a bombardare solo la provincia dell’Anbar”, per i bombardamenti russi all’ interno di tale provincia la Russia è liberata da qualunque responsabilità. Se, per esempio, finisce nel Kurdistan.. beh, allora lì si starebbe violando il divieto di uso della forza armata.
• L’illecito non può riguardare uno Stato terzo: io Siria non posso chiedere a te Russia di andare a bombardare l’Iraq. E se tu Russia lo fai, stai commettendo un illecito.
2. Legittima difesa: di cui vi ho parlato su, e che sostanzialmente si concretizza nell’ utilizzo della forza per respingere un attacco armato;
3. Contromisure: sono come la legittima difesa, ma si riferiscono ad illeciti diversi dall’ attacco armato (ad esempio, tu Stato X violi una disposizione di un accordo commerciale che hai fatto con me, allora io faccio altrettanto con te finché non ritorni sui tuoi passi. Secondo il principio inadimplenti non est adimplendum: non ho l’obbligo di adempiere [ai miei obblighi] nei confronti di chi non li adempie a sua volta);
4. Forza maggiore: verificarsi di una forza irresistibile o di un evento imprevisto, al di fuori del controllo dello Stato, che rende materialmente impossibile nelle circostanze del caso adempiere all’obbligo giuridico.
Es. un’alluvione fortissima e imprevedibile colpisce una fabbrica di composti chimici, al confine con un altro Stato, il che causa sversamenti nocivi sul terreno di quest’altro Stato. Ora, lo Stato sul cui suolo si trova la fabbrica non sarebbe responsabile per violazione di obblighi ambientali previsti dalle normative internazionali, a meno che non fosse provata una sua responsabilità (ad es. politiche nazionali di sicurezza degli impianti non adeguate, o inesistenti). Ho preso un esempio un po’ complicato, perché poi per la normativa ambientale ci sono diversi livelli di responsabilità e regole più stringenti. Ma era solo per farvi capire il concetto.
In pratica, la causa di giustificazione vale solo se la situazione di forza maggiore non è stata causata dallo Stato o lo Stato non si è preso il rischio che si verificasse.
5. Estremo pericolo: quando l’autore dell’illecito non ha altro modo ragionevole, in una situazione di estremo pericolo, di salvare la propria vita o quella delle persone affidate alle sue cure. Vale solo a difesa della vita, non anche della sola integrità fisica!
Ovviamente in questo caso ad agire è per forza un individuo e non uno Stato, inteso come apparato, ma è comunque un individuo che agisce per conto dello Stato (ad esempio un soldato). Anche qui non si deve aver causato in qualche modo tale pericolo e, allo stesso tempo, la violazione che si compie non deve causare un danno superiore a quello che si cerca di evitare (es. per salvare la vita di una persona ne ammazzo cinquanta)
6. Stato di necessità: la necessità induce lo Stato a commettere un atto teoricamente illecito perché è il solo mezzo per proteggere l’interesse nazionale contro un pericolo grave ed imminente e purché tale atto non leda a sua volta un interesse essenziale dello Stato nei cui confronti si aveva l’obbligo o nei confronti della comunità internazionale tutta. Tuttavia, anche qui, se lo Stato ha contribuito al realizzarsi della situazione di necessità, non c’è giustificazione.
Dicembre 1941: truppe giapponesi in Thailandia. Il Giappone sostenne di avere legittimamente occupato il paese essendo stati i nipponici invitati dal Presidente Phibun (in realtà l’invito giunse alcune ore dopo l’attacco giapponese)
In più, ci sono degli obblighi che non possono essere violati neppure in caso di stato di necessità (ad es. quelli di diritto internazionale umanitario, vale a dire quelle norme che proteggono combattenti e non combattenti, ovviamente con modalità diverse, nel corso di conflitti armati).
Esempio pratico: lo stato di necessità fu invocato da Israele per la costruzione del muro nei Territori palestinesi, dal momento che affermavano che la costruzione era motivata dal continuo attacco, attraverso lancio di granate e altro, da parte dei palestinesi. La Corte Internazionale di Giustizia, in un parere, disse che in quel caso non si poteva invocare lo stato di necessità perché il muro avrebbe impedito l’applicazione del diritto internazionale umanitario.
Queste che vi ho elencato sono le uniche e sole cause di giustificazione esistenti nel diritto internazionale generale.
Torniamo ora alla Siria.
Nel settembre 2014 sono iniziati i bombardamenti in Siria da parte degli Occidentali (nel tempo si sono succeduti e alternati raid americani, australiani, britannici e – più di recente – quelli francesi). Una delle motivazioni che sembra aver mosso gli occidentali, oltre ovviamente alla lotta allo Stato islamico, è la preoccupazione che i foreign fighters (combattenti stranieri) provenienti dai loro territori e andati a combattere in Iraq e Siria potessero rientrare sui rispettivi territori nazionali e compiere attentati (motivazione particolarmente valida per l’Australia, da cui non partono solo i combattenti ma anche moltissime donne che decidono di andare a sposare i combattenti, conosciuti attraverso i social network. In particolare attraverso un’applicazione telefonica per incontri che si chiama “Jihad Matchmaker”).
Questi raid hanno avuto luogo un mese dopo l’adozione, il 15 agosto 2014, all’unanimità, da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, di una risoluzione in cui si classificavano ISIS, Al-Nusra e tutti gli altri individui collegati ad Al-Qaeda come gruppi terroristici: la risoluzione 2170. A questo link trovate sia il testo della risoluzione (in basso), sia le dichiarazioni dei cinque “Grandi” (USA, Francia, Regno Unito, Cina, Russia) sul perché del loro voto favorevole al testo. Quindi se le dichiarazioni di Putin fossero state “bombarderemo i terroristi”, nel caso in cui colpissero anche Al-Nusra, nessuno gli potrebbe dire alcunché.
Un AV 8B Harrier Australiano – L’aviazione australiana compie missioni su obiettivi del Califfato in Siria dal Settembre 2015
Volutamente tralascio qui la trattazione, e il probabile dibattito che ne seguirebbe, sia delle vere motivazioni americane sia di quelle russe ad andare in Siria (se vorrete, ne parleremo in un futuro post. Fatemi sapere se può interessarvi). Qui voglio parlare solo e unicamente di ragioni giuridiche.
La situazione che ora ci ritroviamo di fronte è questa:
1) Raid occidentali su Siria e Iraq (l’ISIS occupa parti di territorio di entrambi gli Stati; infatti, nato in Iraq, si è poi allargato in Siria), fuori dal mandato ONU:
– il governo centrale iracheno ha dato il consenso a intervenire sul suo territorio (vedi causa di giustificazione n.1);
– il governo centrale siriano no. In realtà, per quel che ne so, tale consenso non gli è proprio stato chiesto, dal momento che uno dei punti saldi della posizione occidentale era (in questi giorni qualcuno la sta rivedendo) che Assad non era più da considerarsi rappresentante legittimo dello stato siriano.
2) Raid russi sulla Siria, anch’essi fuori dal mandato ONU. C’è il consenso di Assad (e oltre a questo, vi è un Trattato di cooperazione e amicizia, tra Siria e Russia, del 1980 [ndr. Sì, allora era Unione Sovietica, ma l’ONU ha pacificamente accettato e riconosciuto che la Russia succedesse all’URSS in tutti i trattati da questa precedentemente siglati, quindi il problema non si pone], in cui si prevede anche la cooperazione militare tra i due Stati. E qualora la Siria dovesse chiedere l’aiuto russo, quest’ultimo non potrebbe essere negato). Ancora non mi sembra che la Russia sia intervenuta anche sulla parte irachena del Califfato ISIS ma, qualora ciò avvenisse, l’Iraq ha già fatto sapere che darebbe il proprio consenso.
Quindi, il punteggio quanto alla legalità, in questo momento è: Russia 2 – Occidente 1.
L’incontro Putin Obama a New York, a latere dell’Assemblea ONU. Anche se Obama ha criticato l’intervento russo in Siria sono le sue truppe, non quelle russe, a violare il diritto internazionale bombardando il territorio siriano.
Mi si potrebbe obiettare che la Russia vince facile visto che Assad è amico suo. All’apparenza è così. Ma permettetemi di raccontarvi quest’altra cosa.
Dunque, l’ONU può autorizzare, tramite votazione del Consiglio di Sicurezza, un intervento armato ai sensi del Capitolo VII della Carta dell’ONU (intitolato “Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione”), composto dagli articoli che vanno dal 39 al 51 (quello che vi ho citato prima sulla legittima difesa).
L’articolo 39 è fondamentale perché prevede che
“il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.”
Questo significa che per poter procedere, prima devono essere d’accordo sul fatto che la situazione sotto esame sia una minaccia alla pace O una violazione della pace O un atto di aggressione. Solo dopo si può passare ad adottare le misure previste all’art. 41 (non implicanti l’uso della forza armata. Es. sanzioni economiche) o quelle dell’art.42, il quale recita
“Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’ articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite”.
Ovviamente per fare ciò non ci deve essere il veto di nessuno dei cinque Grandi di cui sopra.
Si dirà: Putin è amico di Assad e ha votato contro. Non c’è niente da fare.
Domanda: durante la guerra fredda USA e URSS andavano sempre d’accordo? Non vi sono stati interventi armati di sorta da parte dell’ONU? di quelli pienamente legittimi s’intende…
Dunque, nel 1950, quindi in piena guerra fredda, scoppia la c.d. Guerra di Corea. Corea del Nord appoggiata dall’URSS, Corea del Sud dagli Stati Uniti. Il Consiglio di Sicurezza era quindi in pieno stallo, non si procedeva.
Allora si trovò una soluzione (perché quando si vuole le soluzioni si trovano). L’Assemblea Generale (dove sono rappresentati tutti gli Stati membri dell’ONU) votò una risoluzione, chiamata Uniting for Peace (Uniti per la pace), la numero 377 del 1950. In essa si stabiliva che (Capo A)
“se il Consiglio di sicurezza, in mancanza di unanimità dei membri permanenti, non dovesse adempiere al suo compito primario di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, qualora si profilasse una qualsiasi minaccia per la pace, violazione della pace o atto di aggressione, l’Assemblea generale dovrà occuparsi immediatamente della questione e indirizzare le opportune raccomandazioni ai Membri per deliberare misure collettive da adottare, incluso, se necessario, nel caso di una violazione della pace o di atti di aggressione, l’uso di forze armate, per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionali”.
Ora, questa risoluzione non è “scaduta” né è stata tantomeno sostituita da atti successivi. Se l’Occidente avesse voluto intervenire in Siria rispettando il diritto internazionale, avrebbe semplicemente dovuto convocare gli Stati membri dell’ONU (con il Sud Sudan siamo arrivati a 193) e convincerli della bontà dell’intervento militare in Siria. Non posso metterci la mano sul fuoco, ma ad occhio e croce non credo che tutti i Paesi dell’Assemblea Generale siano amici di Putin o di Assad. O comunque sarebbe stato bello vedere che USA & Co. almeno avessero provato ad ottenere l’adozione di questa risoluzione, anziché limitarsi a dire “la Russia blocca i lavori”. Per quel che ne so, nessun tentativo è stato fatto in tal senso.
Truppe USA in Corea. Lo stallo creatosi nel consiglio di sicurezza dell’ONU sollecitò una deliberazione legittimante dell’Assemblea. Nessun passo per ottenere una simile autorizzazione è stato compiuto dagli occidentali in Siria
Così facendo, non solo USA, Regno Unito, Francia e chi con loro è intervenuto in Siria, hanno violato il divieto di uso della forza armata, ma anche violato un altro dei sei principi fondamentali del diritto internazionale (elencati nella risoluzione 2625 del 1970, adottata dall’Assemblea Generale, sulle Relazioni amichevoli tra gli Stati): il divieto di ingerenza negli affari interni di un altro Stato.
In questo principio rientra il divieto agli Stati di:
• stabilire quale organo di uno Stato straniero è competente a compiere specifiche attività o di costringere uno Stato straniero a tenere un determinato comportamento;
• intromettersi nelle questioni interne di altri Stati;
• aiutare i ribelli, quando in uno Stato scoppia un’insurrezione. Unica eccezione si ha quando i ribelli siano classificabili come movimento di liberazione nazionale, cioè stiano esercitando il diritto di autodeterminazione dei popoli. Ma qui apriremmo una parentesi infinita, che invece rinvio a future trattazioni. E in ogni caso, a mio modo di vedere, qui non ci ritroviamo davanti a un caso di autodeterminazione dei popoli [ndr. unico caso esaminabile in tal senso sarebbe quello dei curdi, ma si tratterebbe di una rivendicazione non solo nei confronti della Siria, ma anche della Turchia e dell’Iran, se andate sull’atlante a vedere qual è la regione del Kurdistan.
Davvero, usciremmo fuori dal seminato. Lo faremo in un altro articolo]
Il punto è che Assad può piacere o non piacere; a me non piace, per esempio.
Ma, se lo si vuole rispettare, il diritto internazionale è più elastico di quello che sembra. Le occasioni te le dà per “metterti in regola”.
Putin, che in patria non si fa problemi a dettare la propria linea anche quando ciò implica per esempio limitazione o soppressione della libertà di espressione del pensiero, è riuscito a essere inattaccabile dal punto di vista del diritto internazionale nella questione siriana. Com’è possibile che l’Occidente – che è il principale redattore delle norme di diritto internazionale (che è per sua natura un diritto occidentale) – non sia riuscito a conformarvisi?
Il diritto internazionale ha una “debolezza”: quello di essere fatto dagli Stati. Ma allo stesso tempo ha una forza: gli Stati si vincolano ad esso. Ed una volta che una norma si è formata, e gli Stati si sono vincolati, non basta una disapplicazione (quindi un comportamento difforme degli Stati che invocano altre priorità o interessi) perché il diritto venga meno.
Una volta che il diritto è formato, è formato. E a cambiarlo ci vuole molto tempo.
Quindi, ovvio, per via della Realpolitik, che ogni Stato tenterà di piegarlo al proprio interesse; ma il diritto non si piega. La sua non conoscenza, tuttavia, da parte dell’opinione pubblica, consente agli Stati di distorcerlo e di farne un uso e consumo discutibile.
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