La Commissione Europea non fa mistero del fatto che riceve istruzioni dalle lobby dell’industria come “BusinessEurope e European Services Forum”. Non sorprende che i negoziati TTIP sono impostati per servire gli interessi corporativi, e non i bisogni pubblici.

 

Pubblicazione1Cecilia Malmström

L’Independent riporta le inquietanti parole del Commissario Europeo (C. Malmström) che decide il nostro destino in materia di trattati commerciali. La Malmström ammette tranquillamente che il popolo europeo non vuole la firma del TTIP, ma questo non importa perché lei (come tutti gli altri membri della Commissione) non deve rispondere delle sue azioni al popolo. Pertanto il Commissario proseguirà nella firma del trattato, perché così le viene richiesto dai suoi veri mandanti, ossia le élite, i lobbisti delle grandi multinazionali che impongono al popolo di fare ciò che ritengono sia giusto. Il buon vecchio metodo paternalistico europeo, già da tempo denunciato da Bagnai, viene ormai ammesso apertamente senza che l’informazione mainstream dia il giusto risalto alla sua gravità.

 

di John Hilary , 13 ottobre 2015

 

Recentemente ho potuto gettare uno sguardo dietro la facciata ufficiale dell’Unione Europea, avendo incontrato il Commissario per il commercio nel suo ufficio di Bruxelles. Ci sono stato per discutere l’accordo transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), il controverso trattato attualmente in fase di negoziazione tra l’UE e gli USA.

Come Commissario al commercio, Cecilia Malmström occupa una posizione importante nell’apparato dell’Unione Europea. Lei è a capo della direzione del commercio della Commissione Europea, essendo succeduta a Peter Mandelson, da quando egli fu costretto ad abbandonare la politica di prima linea nel Regno Unito. Questo fa di lei la responsabile della politica commerciale e di investimento per tutti i 28 Stati membri dell’UE, e sono i suoi funzionari che stanno attualmente cercando di finalizzare l’accordo TTIP con gli Stati Uniti.

In questo nostro incontro, ho interrogato la Malmström riguardo l’enorme opposizione al TTIP in tutta Europa. Nell’ultimo anno, il numero record di tre milioni e 250 mila cittadini europei hanno firmato la petizione contro di esso. Ci sono state centinaia di riunioni e proteste in tutti i 28 Stati membri dell’UE, inclusa una spettacolare dimostrazione di 250.000 persone a Berlino in questo fine settimana.

Interrogata a riguardo, la Malmström ha riconosciuto che nessun accordo commerciale ha mai suscitato un’opposizione così appassionata e diffusa. Ma quando le ho chiesto come avrebbe potuto continuare il suo continuo appoggio all’accordo, di fronte a tale massiccia opposizione pubblica, la sua risposta mi ha gelato: “Il mio mandato non viene dal popolo europeo.”

Allora da dove prende il suo mandato Cecilia Malmström?

Ufficialmente, i commissari dell’UE sono tenuti a riportare ai governi eletti dell’Europa. Ma la Commissione europea sta portando avanti i negoziati TTIP a porte chiuse senza un adeguato coinvolgimento dei governi europei, figuriamoci quindi quello dei parlamentari o membri del pubblico. I funzionari britannici hanno ammesso di essere stati tenuti all’oscuro durante i colloqui del TTIP, e che ciò rende impossibile il loro lavoro.

In realtà, come ha appena rivelato un nuovo rapporto di War on Want, la Malmström riceve gli ordini direttamente dai lobbisti delle aziende multinazionali che pullulano intorno a Bruxelles. La Commissione Europea non fa mistero del fatto che riceve istruzioni dalle lobby dell’industria come BusinessEurope e European Services Forum, proprio come una segretaria scrive sotto dettatura. Non sorprende che i negoziati TTIP sono impostati per servire gli interessi corporativi, e non i bisogni pubblici.

Entro i prossimi due anni, il popolo britannico dovrà decidere se uscire o rimanere nell’Unione Europea. Sono fiero di essere europeo e non ho legami con l’allarmismo xenofobo di quei piccoli “nativi inglesi” che vorrebbero chiudere i nostri confini. Io credo in un’Europa dei cittadini, un’Europa sociale dove possiamo collaborare con gli altri nel nostro continente – e al di fuori di esso – per costruire un futuro comune di là degli interessi commerciali di una piccola élite.

Ma la domanda a cui dovremo rispondere al referendum non è se vogliamo rimanere europei, come se una domanda del genere potesse avere un significato. Piuttosto, ci verrà chiesto se desideriamo restare soggetti alle istituzioni dell’Unione Europea, tra cui la Commissione non eletta. Come ha imparato il popolo greco attraverso l’amara esperienza, quelle istituzioni non accetteranno alcuna riforma o modifica dal loro modello di austerità permanente e dominio delle multinazionali.

Il TTIP offre uno scorcio dell’incubo che la Commissione Europea ha in serbo per ognuno di noi. Cecilia Malmström ci ha mostrato il disprezzo con cui lei e i suoi colleghi commissari vedono il popolo europeo.

Siamo stati avvertiti

tratto da: (clicca qui)

Pubblicazione1

 

di Sergio Cararo

 

L’incontro internazionale “Eurostop , popoli dell’Europa solleviamoci”, tenutosi a Barcellona sabato e domenica scorsi, è avvenuto in un clima politico che potremmo definire febbrile. L’esito delle elezioni in Catalogna e l’avvicinarsi di quelle generali fissate per il 20 dicembre, si sono interconnesse in molti aspetti con la discussione nei due intensissimi giorni del forum.

Il forum convocato dalla “Piattaforma per l’uscita dall’euro” nata tre anni da un appello sottoscritto da centinaia di attivisti ed intellettuali, intendeva mettere a fuoco una piattaforma e una strategia di azione coordinata con le forze che negli altri paesi europei –e in quelli del Sud Europa soprattutto – intendono portare nell’agenda politica l’opzione della fuoriuscita dalla gabbia della moneta unica ma anche dell’Unione Europea e della Nato. In questo senso sono andati gli interventi dei compagni della campagna italiana Eurostop.

L’affermazione delle forze indipendentiste in Catalogna, e soprattutto il risultato che ha reso la Cup (Candidatura Unitaria Popolare) decisiva per le sorti del governo catalano, condizionano la vita politica in quella che è un po’ la gallina dalle uova d’oro dello Stato Spagnolo.

Contestualmente, il venir meno dell’accordo tra Izquierda Unida e Podemos, ha rimescolato completamente le carte delle alleanze in vista delle prossime elezioni. Mentre Podemos conferma tutti i punti di ambiguità via via emersi, Izquierda Unida (e il Partito Comunista di Spagna, Pce) manifesta la necessità di ricavarsi uno spazio politico “a sinistra” per non vedere i propri consensi defluire verso Podemos. Questa virata di attenzione di Izquierda Unida/Pce verso i temi sollevati dal forum Eurostop, erano leggibili nella lettera inviata dal segretario del Pce Josè Luis Centella e dal videomessaggio di Anguita (che è stato un po’ il padre storico della piattaforma per l’uscita dall’euro).

Certo, in questi due interventi è emersa anche una apertura di credito verso il Piano B presentato a Parigi da Lafontaine, Melenchon, Varoufakis, Fassina, un passo in avanti sicuramente, ma anche il segno della preoccupazione della “socialdemocrazia di sinistra” di non poter più eludere la questione della rottura della gabbia dell’euro e dei trattati dell’Unione Europea come fatto fino ad oggi.

Per due giorni, a Barcellona, si è discusso molto ed a fondo con decine di interventi, sia di realtà dello Stato Spagnolo (da Euskadi all’Estremadura) che da paesi come Italia, Grecia, Francia. Anche la Cup ha partecipato alla discussione con due interventi (un deputato e un ex deputato). Assenti, ovviamente, gli esponenti di Podemos che hanno confermato di non voler mettere in discussione né l’euro né l’Unione Europea.

La discussione nel forum di Barcellona, ha prodotto alcuni passi in avanti importanti come il delinearsi una piattaforma che chiede la fuoriuscita dalla gabbia dell’euro, dall’Unione Europea e dalla Nato come pacchetto complessivo di una alternativa all’apparato edificato dalle classi dominanti in Europa. La sola richiesta di uscita dall’euro, infatti, portava con sé i limiti dell’economicismo e il rischio che si perdesse di vita la dimensione politica e strategica dell’Unione Europea così come è stata costruita e imposta in questi ultimi venti anni (dal Trattato di Maastricht in poi). Non solo. Esiste anche il rischio di ragionare su fotografie superate dalla realtà quando si parla di una Unione Europea perennemente in crisi o subalterna agli Usa. In tal senso la lotta per l’uscita dalla Nato è tornata ad essere punto di attualità e di piattaforma.

La realtà ci dice cose molto diverse, inclusa una capacità di egemonia dell’imperialismo europeo che non mostra solo il suo volto arrogante come in Grecia ma anche quello di “frontiera della speranza” come avvenuto nel caso dei profughi siriani.

Una parte della discussione, soprattutto nella giornata di domenica, ha ruotato anche intorno ai temi della sovranità con accezioni molto diverse tra loro. L’importanza e la sensibilità sulla questione nazionale nello Stato Spagnolo infatti non è riproducibile automaticamente nelle altre realtà, mentre si confonde spesso l’idea della necessità dell’alleanza dei Pigs – cioè i paesi debitori dell’Europa del Sud – come un ostacolo alla rottura in un singolo paese.

E’ il segno che la discussione sulle alternative e la “rottura della Ue e con l’euro” è cominciata e non è affatto conclusa, ma rispetto a solo un anno fa, oggi è entrata di forza nell’agenda politica in Italia, Grecia, Stato Spagnolo ed anche in Francia e Portogallo. Merito sicuramente della realtà e di quanto avvenuto in Grecia negli ultimi nove mesi, una realtà che ha spazzato via molte illusioni della sinistra europeista sulla riformabilità dell’Unione Europea.

Molto importante, in tal senso, sono stati anche gli incontri bilaterali che la delegazione italiana ha avuto con i compagni della Cup della Catalogna, i quali hanno assunto in pieno i temi della campagna Eurostop contro Euro, Unione Europea e Nato e li hanno portati anche dentro la campagna elettorale…. vedendosi premiati per questo.

L’intensa due giorni di discussione del forum Eurostop a Barcellona, ha prodotto anche un documento finale in via di approvazione definitiva e che verrà reso disponibile nei prossimi giorni. Il prossimo appuntamento sarà a Roma in occasione dell’assemblea nazionale di novembre – per costruire un movimento contro l’euro, l’Unione Europea e la Nato – che verrà definita nei prossimi giorni.

tratto da: (clicca qui)

2015.10.12 – La Grande Truffa – 13° parte

Posted by Presidenza on 12 Ottobre 2015
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A grande richiesta proponiamo, a puntate, il libro “La Grande Truffa” di Paolo Maleddu, uno di noi, un grande uomo che per il suo coraggio, la sua lealtà e la sua voglia di verità si trova oggi sotto l’attacco duro e sleale dello Stato italiano, uno Stato burattino delle lobbies bancarie internazionali

 

 

 

 

 

 

Paolo MALEDDU: “Ho scritto questo libro per una incontenibile necessità di condividere con quante più persone possibile un insieme di informazioni nelle quali mi sono imbattuto, e che hanno gradualmente aperto davanti ai miei occhi una visione del tutto nuova della realtà del mondo nel quale viviamo.
Una realtà insospettata, spaventosa, nella quale siamo immersi ma che non riusciamo a vedere, perché confusa dietro una barriera di notizie ed immagini sapientemente filtrate, falsate o anche solamente ignorate.
Le notizie che non vengono divulgate sono le più importanti.
C’è un mondo reale nel quale gli eventi scorrono così come avvengono, lieti o dolorosi che siano, in un flusso continuo. E uno parallelo, virtuale, creato dalla rappresentazione che i media danno di questa successione di eventi.
Noi viviamo nel mondo virtuale che ogni giorno radio, giornali, televisioni e cinema costruiscono per noi. “Educati” sin dai primi anni di scuola ad essere prigionieri di verità ufficiali, ci è poi difficile accettare versioni diverse, scomode, che non rientrano nei nostri orizzonti.”
“Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che si insegna “ad usum Delphini”, e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa.”

 

La Grande Truffa – dalla 1° alla 10°parte                          La Grande Truffa – 11°parte

La Grande Truffa – 12°parte

 

 

 

L’emissione monetaria

LA GRANDE TRUFFA

Come gli usurai internazionali si impossessano
di tutta la ricchezza prodotta dalla popolazione mondiale

13° parte

 

 

……………….

È stato usato per ingannarci, non è necessario come mezzo di scambio, qualsiasi materiale può essere usato per svolgere tale funzione.
Un volgare pezzo di plastica può comprare oggi molto oro.

La moneta trova vita nella mente umana, è una nostra invenzione.

È una fattispecie giuridica, come ci ha insegnato Giacinto Auriti: l’insieme delle circostanze che caratterizzano un rapporto giuridico.
La nostra accettazione, la previsione che altri la accetteranno, il corso forzoso e l’essere dichiarata valuta legale del paese sono le circostanze che concorrono a farne una fattispecie giuridica.

Quando i banchieri potevano dire, ingannandoci : ”L’oro è mio e lo presto a chi voglio”, potevano prestarlo ad interesse sottoforma di cartamoneta di valore creditizio.
Ma oggi che non c’è nessuna riserva d’oro, che è palese che la moneta ha valore perché noi così abbiamo deciso accettandola, perché continua ad essere emessa sotto forma di prestito dalla privatissima Banca d’Italia, come se le appartenesse?

Se la ricchezza è racchiusa nei beni e la moneta è solo un mezzo di scambio prodotta a costo zero, come è possibile che nella società ci sia penuria di mezzi di scambio?
Tornando ad Ezra Pound, perché continuano a farci credere che non si possono fare strade per mancanza di chilometri?

E noi, perché continuiamo a crederci?

Perché permettiamo che una parte sempre più consistente della popolazione mondiale continui a non avere accesso al cibo, a soffrire e morire di fame?
Non manca il cibo per sfamare il mondo, ma il nostro cervello è totalmente offuscato da una grande menzogna mediatica che ci fa credere che ci sia penuria di un biglietto di carta che gli Usurai internazionali di proposito mettono in circolazione in numero insufficiente.

Tornando al nostro Milan – Juve, la partita si gioca ma, di nuovo, lo spettacolo è per pochi: ai più viene negato l’accesso perché non sono stati distribuiti biglietti d’ingresso a sufficienza.

 

Capitolo VII

LA BANCA D’INGHILTERRA

 

La fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694 rappresenta la legalizzazione della frode della creazione di denaro dal nulla, il momento forse più importante nella formazione dell’attuale sistema monetario internazionale.

Il denaro emesso non era coperto da una riserva aurea e non proveniva da una attività lavorativa, veniva prodotto con il solo costo di carta ed inchiostro.

Alla fine del XVII secolo Guglielmo d’Orange, re d’Inghilterra, avendo continuamente bisogno di denaro per portare avanti le sue guerre, per ottenere prestiti si vide costretto ad accettare le condizioni dei finanzieri internazionali: contestualmente ai prestiti rilasciati al Regno di Inghilterra per accrescere, mantenere e consolidare il proprio impero, essi pretendevano l’autorizzazione a stampare una quantità equivalente di moneta di carta da immettere in circolazione prestandola ai privati ad interesse.

Se cioè la Banca d’Inghilterra avesse prestato alla Corona 100 chili d’oro in monete, avrebbe potuto stampare e prestare ad interesse banconote per lo stesso valore ai propri clienti.

In altre parole si legalizzava la procedura truffaldina portata avanti dagli orefici quando emettevano illegalmente ed a proprio rischio ricevute in eccesso.

Gli orefici erano dei falsari, in quanto emettevano biglietti falsi.

I nuovi banchieri facevano esattamente la stessa cosa, questa volta legalmente, per l’autorizzazione ricevuta dall’autorità massima, il re d’Inghilterra.

Da quel momento in poi tutte le banche centrali presero a modello la Banca d’Inghilterra, e la più grande truffa della storia dell’umanità si consolidava e si perpetuava diventando la base del moderno sistema bancario, con l’appoggio e la complicità di case regnanti e stati costituzionali.

Il re prendeva in prestito dell’oro per finanziare una guerra, autorizzando la banca a trasformare carta in denaro per un valore equivalente e prestarlo alla clientela ad interesse.
I banchieri si intascavano quindi gli interessi sul prestito alla casa regnante, ma l’intero valore del debito, capitale più interessi, contratto dai clienti privati.

Chi restituiva alla banca il denaro preso in prestito dal re maggiorato dell’importo degli interessi?

Il popolo, attraverso il prelievo fiscale imposto dal monarca allora e da tutti i moderni stati costituzionali al giorno d’oggi.

Banchieri, monarchi, dittatori e, nei moderni stati costituzionali “democratici”, la casta dei politici ai vertici del potere, vivono tutti di rendita sulla ricchezza prodotta dal popolo.

Trascrivo da “Euroschiavi” di Marco Della Luna ed Antonio Miclavez, libro del quale consiglio vivamente la lettura:

“Già in epoca tardo-rinascimentale gli Stati (regni di Spagna, Francia, Inghilterra), per le loro spese di guerra, opere pubbliche, etc., emettevano troppo denaro, troppi biglietti di Stato, in rapporto alle riserve auree che possedevano e ai loro introiti; perciò essi fecero ripetutamente bancarotta, ossia insolvenza (parziale o totale, temporanea o definitiva, sul capitale, sugli interessi o su entrambi) nei confronti dei loro creditori (banchieri toscani, genovesi, poi anche tedeschi e olandesi). Successe allora, dalla fine del XVII secolo in poi, una vera rivoluzione del sistema di potere e della struttura dello Stato, la quale configura lo Stato come oggi noi lo troviamo. Successe, in sostanza, che le aristocrazie regnanti nei vari paesi europei si allearono con i banchieri creditori di quei paesi, fondarono banche private in società con loro e trasferirono in queste banche il potere sovrano di emettere denaro – potere che prima veniva esercitato dallo Stato, dal Re”.

Cambiamento determinante: il potere di emettere moneta passa da un’autorità ben identificabile agli occhi del popolo, il Re, a dei privati mimetizzati, assieme allo stesso monarca, all’interno di società anonime.

Nel suo “La Moneta Libera da inflazione ed interesse”, Margrit Kennedy scrive che “Secondo fonti ufficiali, nel 1982 l’entrata giornaliera della regina d’Inghilterra, la donna più ricca al mondo, era di 700.000 sterline (circa due milioni di marchi)”.

Quale attività lavorativa poteva e può produrre quotidianamente un simile reddito?

Ancora da “Euroschiavi”:

“L’importanza di questa trasformazione è unica nella storia dell’umanità. Essa è la più grande e, soprattutto, la più stabile di tutte le rivoluzioni. La Rivoluzione Francese è poca cosa al confronto con essa. Persino l’URSS aveva una banca centrale gestita privatamente da un finanziere ebreo americano.
Basti pensare che, prima di questa trasformazione, il sovrano che spende soldi per costruirsi una reggia sfarzosa o per fare una guerra con cui allargare i propri domini indebita lo Stato, ossia se stesso, verso le banche; mentre, dopo di essa, è il sovrano stesso, assieme ai suoi soci finanzieri, a fungere da banchiere verso lo Stato, attraverso la sua Banca Centrale, e a prestare soldi allo Stato (al popolo) per fare le medesime cose nell’interesse del sovrano e dei suoi soci. Quindi, grazie a questa rivoluzione, il sovrano, quando fa una guerra per aumentare la propria potenza (e quella della classe dirigente che lo sostiene), non solo fa la guerra senza più indebitare se stesso, ma grazie ad essa va a credito di capitale ed interesse verso lo Stato ed i cittadini per le spese di guerra. Ossia, può fare i propri interessi a spese del popolo, e per giunta guadagnandoci sopra. Guadagna indipendentemente da chi vinca la guerra. Si produce una triangolazione tra oligarchia, Stato e nazione: l’oligarchia, per arricchirsi e consolidare il proprio potere, indebita lo stato verso di sé onde prelevare le tasse dal popolo col pretesto del debito pubblico. La spesa pubblica (dalla guerra all’assistenzialismo) e l’indebitamento pubblico che da essa origina, diventano un inesauribile affare per il sovrano e i suoi soci. Anche perché il debito pubblico dà il pretesto allo Stato per imporre alte tasse, quindi crea per i governanti opportunità di arricchirsi maneggiando molto denaro dei cittadini, di distribuire molto denaro per comprare consensi e clientele, nonché di alzare i tassi d’interesse e mandare in rovina per debiti molte imprese e rilevare così per poco le loro aziende e proprietà.
Questo business è l’essenza stessa della politica come praticata da allora ad oggi perlomeno in Occidente. Ovviamente, nessuno ne parla.
In questo modo la classe governante dei vari paesi si distacca dalla nazione e dissocia i propri interessi e le proprie fortune da quelli della nazione stessa, rendendoli indipendenti e perlopiù contrapposti.”

Pesantissime le accuse lanciate dai due autori di “Euroschiavi”, Marco Della Luna e Antonio Miclavez, specialmente con l’ultima frase, alle classi dirigenti di quasi tutti i paesi del pianeta.
Possono apparire incredibili a chi solo ora si avvicina alla questione monetaria: purtroppo rispecchiano la realtà dei fatti.

Il seguente brano è tratto ancora dal video “The money masters – I signori del denaro, come i banchieri internazionali hanno preso il controllo dell’America”, prodotto da Patrick S. J. Carmack e diretto da Bill Still, rintracciabile in internet:

“Alla fine del ‘600 l’Inghilterra si trovava in un disastro finanziario. Cinquanta anni di guerre quasi ininterrotte con Francia e Olanda l’avevano sfinita. Funzionari governativi sconvolti si incontrarono con i cambiavalute ad implorare i prestiti necessari per portare avanti i propri disegni politici. Il prezzo fu elevato: una banca di proprietà privata ratificata dal governo, che poteva emettere moneta dal nulla. Si trattava della prima banca centrale di proprietà privata del mondo moderno, la Banca d’Inghilterra. Anche se fu chiamata formalmente “Banca d’Inghilterra” per far credere alla popolazione che era parte del governo, essa non lo era affatto. Come una qualsiasi società privata, la Banca d’Inghilterra vendeva delle azioni per avviare le proprie attività. Si pensava che gli investitori, i cui nomi non vennero mai rivelati, fornissero un capitale iniziale di 1.250.000 sterline in monete d’oro per acquistare le azioni della banca, ma furono incassate solamente 750.000 sterline. Ciononostante, nel 1694 la banca fu puntualmente creata per statuto e iniziò le proprie attività prestando somme di denaro di parecchie volte superiori alla quantità che apparentemente aveva nelle proprie riserve, il tutto con gli interessi.
In cambio, la nuova banca avrebbe prestato ai politici britannici tutto il denaro che volevano, fintanto che essi potevano garantire il debito con la tassazione diretta sulla popolazione.
Dunque, la legalizzazione della Banca d’Inghilterra non è stata altro che una falsificazione legittima di una valuta nazionale per un profitto privato.
Purtroppo, oggi quasi ogni nazione ha una banca centrale di proprietà privata che utilizza, come modello, la Banca d’Inghilterra.
Il potere di queste banche centrali è tale che presto avranno il controllo totale dell’economia di una nazione. Tra breve non ci sarà altro che una plutocrazia, il dominio dei ricchi. Sarebbe come mettere il controllo dell’esercito nelle mani della mafia, il pericolo di una tirannia sarebbe estremo.”

Per rimarcare ancor più l’importanza fondamentale della legalizzazione della truffa sancita dalla fondazione della Banca d’Inghilterra, voglio portare all’attenzione del lettore un’altro brano, tratto da “El enigma capitalista” di Bochaca:

“La Banca d’Inghilterra fu fondata nell’anno 1694, per una concessione rilasciata da Guglielmo II ad un giudeo di Amsterdam, Manasseh-ben-Israel. Questa concessione si basava in un’altra anteriore, rilasciata da Oliver Cromwell ad Ali-ben-Israel, pure di Amsterdam. Cromwell, che aveva ricevuto l’appoggio economico degli ebrei di Amsterdam nella sua lotta contro la Corona, pagò i favori ricevuti autorizzandoli ad installarsi in Inghilterra ed a dare un 4 e mezzo per cento di interesse a chi depositasse oro nelle loro casseforti (un interesse smisuratamente elevato) ed a loro volta a darlo in prestito al Governo ad un 8 per cento.
La causa della creazione della Banca d’Inghilterra fu un prestito di un milione e duecentomila lire sterline a Guglielmo II. I metodi della Banca non erano nuovi; non fecero altro che seguire i precedenti. Ed i precedenti erano l’usura praticata in quei tempi dagli orefici di Londra (quegli orefici erano un gruppo di ebrei lombardi, che si installarono in Inghilterra essendo stati espulsi da Milano per le loro pratiche usuraie. La strada dove si installarono, “Lombard Street”, continua ad essere occupata dai loro successori), che già attuavano, clandestinamente, prima del legalmente autorizzato Ali-ben-Israel. Quegli orefici, che erano soliti prestare con un interesse del dieci per cento, guardarono in principio con sospetto la nuova Banca, che “solamente” prestava all’8 per cento, anche se presto salì al nove, mentre gli interessi pagati ai depositanti si ridusse ad un mezzo punto per cento.
La Banca d’Inghilterra, il cui nome autentico era “The Governor and Company of the Bank of England (Il Governatore – o Amministratore – e la Compagnia della Banca d’Inghilterra)” introdusse una novità rispetto alle operazioni iniziate dalla Banca di Amsterdam. Iniziò ad emettere biglietti per la quantità che il Governo doveva alla Banca; un privilegio concesso alla Banca da un Governo grato per i servizi da essa resi in varie occasioni. Di modo che, come ringraziamento per quei servigi alla Banca fu concesso il potere di emettere denaro. Però denaro reale, e non già solo promesse di pagare denaro, così come avevano fatto i “pionieri” di Amsterdam o, già in Inghilterra, Ali-ben-Israel col consenso di Cromwell.
La Banca d’Inghilterra – ripetiamo, un’entità privata – fabbricava, letteralmente, denaro. Se la Banca aveva dieci sterline d’oro nei suoi sotterranei e ne prestava cinque al Governo, poteva fabbricare un biglietto da cinque sterline e metterlo in circolazione, ed in questo modo aumentava la quantità di dieci lire sterline ad un totale di quindici; il Governo, che usava cinque e la Banca che ne aveva dieci a disposizione, cinque nuove e cinque vecchie: e l’intera quantità poteva stare in circolazione attiva, una notevole massa di denaro, senza che si fosse ancora creata nuova ricchezza che la giustificasse, cioè, si produceva inflazione.
Però la funzione principale, la essenziale, diremmo, della Banca d’Inghilterra e delle altre banche centrali che sarebbero apparse in tutti i paesi, non era fabbricare denaro, quanto, soprattutto, perpetuare, con l’appoggio della Legge, il sistema bancario moderno; vale a dire, assicurare la perennità delle illegittime attività bancarie”.

Non credo che i brani appena letti lascino dubbi sulle non certo limpide origini dell’attuale sistema monetario e sul fatto che ancora oggi è in pratica basato sulla emissione di biglietti falsi.

Inoltre, come tutti coloro che hanno raggiunto una età matura ben sanno, c’è una conferma che legge e giustizia hanno sempre meno a che vedere l’una con l’altra.

Howard Zinn, sociologo americano della Boston University ed autore di una illuminante “Storia del popolo degli Stati Uniti”, dice, nel suo “Obbedienza e democrazia”, che le leggi sono uno scudo protettivo che i potenti si sono costruiti attorno in secoli di pazienti e continui perfezionamenti, per proteggersi dal popolo.

Come dargli torto?

Leggi e disposizioni varie vengono emanate per regolare e imbrigliare la società civile (la popolazione) in una sorta di camicia di forza per poterla più agevolmente controllare.

Tutto ciò a favore e per conto di coloro che hanno il peso finanziario e quindi politico per poterle condizionare, proprio come continua a succedere molto chiaramente proprio in questi giorni: tutte le decisioni adottate sono spudoratamente in favore del sistema bancario e contro le popolazioni.

Le banche stanno decisamente e rapidamente conducendo la società verso una dittatura dei banchieri.

 

 

Capitolo VIII

 

LA BANCA D’ITALIA

 

Vi siete mai chiesti a chi appartengono i soldi nel momento della emissione?

Non credo. A chi viene in mente una domanda del genere?

Ho fatto la prova con amici, imprenditori, medici, avvocati, per vedere se sapessero rispondere con esattezza: buio completo.
Neanche commercialisti e funzionari di banca, dai quali sarebbe lecito aspettarsi risposte esaurienti, hanno idee chiare in proposito.

Vediamo di rispondere subito in maniera netta a questa domanda fondamentale: non c’è nessuna norma o legge in Italia che attribuisca ad alcun ente, stato od associazione, la proprietà della moneta al momento dell’emissione.

La Costituzione omette clamorosamente di parlarne. Ciononostante, la Banca d’Italia, ora in collaborazione con la Banca Centrale Europea, se ne attribuisce la proprietà e la emette prestandola ad interesse.

Perchè è così importante capire a chi appartiene la moneta al momento dell’emissione?

È chiaro che chi ne ha proprietà e controllo gestisce un potere enorme.
Stiamo parlando del sangue che fa vivere l’organismo, il mezzo che fa girare l’economia, della ridistribuzione della ricchezza nazionale.
Attualmente le banconote in euro vengono fatte stampare, forse nelle Filippine o in Malesia, in Svezia e anche a Roma (come in tutto ciò che riguarda questioni monetarie, non ci sono informazioni precise, tutto è avvolto in un alone di mistero), dal Sistema Europeo delle Banche Centrali (Sebc), organizzazione istituita dal trattato di Maastricht, formata dalla Banca Centrale Europea (Bce) e dalle banche centrali dei paesi membri che aderiscono all’unione.
Ogni stato ha un unico interlocutore, la banca centrale operante nel paese: per noi Bankitalia, la banca emittente.

Il 95% circa delle quote azionarie della Banca d’Italia è in mano a istituti di credito ed assicurazioni private.

Riporto un brano tratto da “O la Banca o la Vita” di Marco Saba, membro dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata di Ginevra, nonchè attento osservatore di ciò che accade nel mondo della finanza e nel sistema monetario internazionale:

“La Banca d’Italia, come abbiamo detto, è per il 95% in mano a privati. Vediamo chi sono:

Gruppo Intesa 27,2 %
BNL 2,83 %
Gruppo San Paolo 17,23 %
Monte dei Paschi di Siena 2,50 %
Gruppo Capitalia 11,15 %
Gruppo La Fondiaria 2 %
Gruppo Unicredito 10,97 %
Gruppo Premafin 2 %
Assicurazioni Generali 6,33 %
Cassa Risparmio di Firenze 1,85 %
INPS 5 %
RAS 1,33 %
Banca Carige 3,96 %
Privati 5,65 %

Dall’analisi dei soci ci rendiamo conto che solo il 5% del capitale è dell’INPS, ovvero di una società pubblica. La Banca d’Italia è dunque per il 95% in mano a banche private, ma qui risulta evidente la seconda forte anomalia; infatti abbiamo detto che, con la legge bancaria del 1936 alla Banca d’Italia è stato demandato il compito di vigilanza sulle altre banche; ora, se le banche sono proprietarie della banca che dovrebbe su di loro vigilare e, attraverso i consigli di amministrazione, ne nominano i governatori e i direttori, ciò vuol dire, in altre parole, che i controllati controllano i controllori, e non viceversa.”

Conoscere la ripartizione delle azioni di Bankitalia dovrebbe essere sufficiente a dissipare ogni dubbio sul fatto che non è “degli italiani”, e abbattere la falsa immagine virtuale costruita per farci credere che lo sia.

Essendo una società privata a scopo di lucro, la Banca d’Italia, se vuole restare nel mercato, deve obbligatoriamente fare gli interessi dei suoi soci azionisti e ricavare utili dalla popolazione italiana utilizzatrice della moneta.

I suoi interessi sono diametralmente opposti ai nostri, e non potrebbe essere altrimenti.
Il comportamento di una società con scopi di lucro non può essere etico, moralmente corretto.

Se così fosse, il governatore della banca centrale emittente ci direbbe: “Guardate che se non volete continuare ad essere ridotti in schiavitù da questo sistema monetario, è meglio che stampiate da voi la vostra moneta di stato in nome e di proprietà del popolo, senza nessun costo”.

Così facendo decreterebbe la fine dell’esistenza del sistema come perfetto strumento di esproprio di ricchezza e di controllo della popolazione.

Per quanto riguarda il fatto che alla nostra banca centrale sia concesso di autocontrollarsi, vi domando semplicemente: al momento di emanare nuove norme o nell’ipotesi di una disputa tra noi clienti e Banca Intesa – San Paolo, che da sola possiede quasi il 50% di Bankitalia, i diritti di chi pensate possa tutelare la Banca d’Italia, i nostri?

Curioso che proprio recentemente Banca Intesa-San Paolo Imi abbia cambiato immagine: in Sardegna è passata a chiamarsi Banca di Credito Sardo, per dare al pubblico la falsa impressione di essere ciò che non è, una banca locale attenta ai problemi del territorio.

La stesso inganno si ripete in tutte le altre regioni: tra qualche tempo, noi che abbiamo avuto a che fare con la vecchia Banca Commerciale e con Banca Intesa, ci scorderemo delle precedenti denominazioni, mentre i giovanissimi conosceranno solo il nuovo nome, e saranno ingannati ancora meglio.

La costruzione della grande menzogna virtuale è continua e curata nei minimi particolari.

Dall’anno della sua fondazione, 1893, Bankitalia ha facoltà di emettere carta moneta; prima in concorso con altre banche, dal 1926 e sino all’entrata in circolazione dell’euro, in assoluto monopolio.
Il conio delle monete metalliche invece è affidato alla Zecca di Stato attraverso il Ministero del Tesoro. Ma attenzione: dietro approvazione della Banca Centrale Europea per quanto riguarda il volume del conio, come disposto dall’articolo 106 del trattato di Maastricht.

Come mai noi (lo Stato) attraverso il Ministero del Tesoro coniamo le monetine ma non stampiamo le banconote?

Possiamo emettere cartamoneta di Stato?

Certo che possiamo stampare biglietti di Stato, niente e nessuno ce lo impedisce. Non sarebbero gravati da debito perché prodotti a titolo originario, come succedeva sino a pochi anni fa con i biglietti della Repubblica Italiana da cinquecento lire.

Ma i grandi Usurai non gradirebbero, non sono soliti scherzare quando qualcuno cerca di sottrarre loro la proprietà della moneta od intralcia in qualche modo il loro cammino.
Sono numerose le vittime di morti violente sospette che nel corso degli ultimi secoli avevano osato intralciare la strada degli usurai internazionali, tra di loro diversi presidenti degli Stati Uniti.

L’ultimo in ordine di tempo, John Fitzgerald Kennedy, assassinato a Dallas, Texas, nel novembre del 1963, alcuni mesi dopo aver firmato, nel Giugno dello stesso anno, il famoso ordine esecutivo numero 11110 che permetteva al governo americano di emettere a titolo originario biglietti di proprietà del popolo (United States notes) senza debito, in sostituzione di quelli presi in prestito ad interesse dalla banca centrale (Federal Reserve notes).

Per chi vuole approfondire, c’è internet.

continua…..

 

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Paolo MALEDDU

 

2015.10.09 – POSSIBILE ANCHE L’IMPOSSIBILE

Posted by Presidenza on 9 Ottobre 2015
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TESTATA  PRESIDENZA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Casteddu, 09 de Ladamini 2015

 

POSSIBILE ANCHE L’IMPOSSIBILE

 

L’indipendenza della Sardegna è possibile, l’indipendenza della Sardegna è impossibile…… tutti i santi giorni sento queste frasi e mi chiedo il perché di queste affermazioni; mi chiedo soprattutto perché tante persone credono che l’indipendenza della Sardegna sia impossibile.

Chiaramente alla base penso ci sia l’inquadramento culturale e mediatico tipico, quello che ogni Stato colonialista impone alle popolazioni conquistate, ma non credo che basti; oggi la scienza ci ha messo a disposizione i mezzi per poterci informare al di là di quello che ci raccontano la scuola e la televisione.

Perché nonostante siamo perfettamente consapevoli di essere un popolo vessato, umiliato, che tutti i giorni subisce veri e propri atti di guerra da parte dello Stato colonizzatore continuiamo a restare inermi, non ci ribelliamo uniti per raggiungere l’indipendenza ?

Eppure siamo a conoscenza del fatto che da indipendenti avremmo la possibilità di vivere una vita dignitosa e florida; la nostra terra è ricca, la nostra gente intelligente e capace, potremmo dare un’impostazione sociale e giuridica che permetterebbe alle persone di vivere serenamente…

La sconsolante risposta che mi sono dato è la seguente:
sono convinto che la stragrande maggioranza dei sardi siano fondamentalmente favorevoli all’indipendenza ma non si fidano.

Da decenni vedono mancanza di unità nelle forze indipendentiste tradizionali, quelle che agiscono nell’ambito delle istituzioni straniere italiane; sentono, dai partiti indipendentisti, solo chiacchiere che però non vengono confermate dai fatti

Quindi attualmente, e giustamente, vedrebbero l’indipendenza come una scommessa troppo rischiosa, come un salto nel vuoto.

Oggi è nata un’altra formazione, Podimus, che si è posta l’obiettivo di fungere da catalizzatore, di cercare di unire tutte le forze indipendentiste in un unico blocco che rappresenti i sardi alle elezioni straniere italiane. E’ un gruppo composto da persone serie, persone capaci e motivate, persone che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare in quando sono stato loro ospite a “sa Die de Podimus”, l’incontro pubblico che ha segnato ufficialmente la loro nascita.

Per quanto il sottoscritto, in qualità di Presidente del MLNS, non creda che si possa rendere possibile l’indipendenza seguendo un percorso nell’ ambito politico elettorale dello Stato straniero che ci opprime non posso far altro che augurarmi che riescano nel loro intento e che finalmente si possa instaurare un clima di collaborazione e di sostentamento reciproco, il fatto che anche MLNS, che segue il binario del percorso giuridico internazionale, possa contare sulla collaborazione, reciproca,dell’altro binario composto dalle forze indipendentiste che Podimus riuscirà ad unire.

Tutti insieme riusciremo a creare un disegno futuro credibile che permetterà ai sostenitori della “indipendenza impossibile” di ricredersi ed avere fiducia sul fatto che la libertà non sarà un salto nel vuoto ma un passo organizzato con coscienza, previsto, ben studiato e programmato.
MLNS ha già da qualche anno pianificato un’ Ordinamento Giuridico Provvisorio ed ha una visione abbastanza chiara di come dovrebbe essere la futura Repubblica de Sardìnnia.

Attualmente gli scettici vedono la Repubblica de Sardìnnia come un sogno impossibile mentre noi di MLNS la vediamo come una realtà possibile da raggiungere.

LA DIFFERENZA TRA VINCENTI E PERDENTI STA, MOLTO SPESSO, NEL FATTO CHE I VINCENTI CONSIDERINO POSSIBILE ANCHE L’IMPOSSIBILE !

Sergio Pes (Presidente MLNS e GSP)

2015.10.09 – POSSIBILE ANCHE L’IMPOSSIBILE

2015.10.07 – La Grande Truffa – 12° parte

Posted by Presidenza on 7 Ottobre 2015
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A grande richiesta proponiamo, a puntate, il libro “La Grande Truffa” di Paolo Maleddu, uno di noi, un grande uomo che per il suo coraggio, la sua lealtà e la sua voglia di verità si trova oggi sotto l’attacco duro e sleale dello Stato italiano, uno Stato burattino delle lobbies bancarie internazionali

 

 

 

 

 

 

Paolo MALEDDU: “Ho scritto questo libro per una incontenibile necessità di condividere con quante più persone possibile un insieme di informazioni nelle quali mi sono imbattuto, e che hanno gradualmente aperto davanti ai miei occhi una visione del tutto nuova della realtà del mondo nel quale viviamo.
Una realtà insospettata, spaventosa, nella quale siamo immersi ma che non riusciamo a vedere, perché confusa dietro una barriera di notizie ed immagini sapientemente filtrate, falsate o anche solamente ignorate.
Le notizie che non vengono divulgate sono le più importanti.
C’è un mondo reale nel quale gli eventi scorrono così come avvengono, lieti o dolorosi che siano, in un flusso continuo. E uno parallelo, virtuale, creato dalla rappresentazione che i media danno di questa successione di eventi.
Noi viviamo nel mondo virtuale che ogni giorno radio, giornali, televisioni e cinema costruiscono per noi. “Educati” sin dai primi anni di scuola ad essere prigionieri di verità ufficiali, ci è poi difficile accettare versioni diverse, scomode, che non rientrano nei nostri orizzonti.”
“Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che si insegna “ad usum Delphini”, e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa.”

 

La Grande Truffa – dalla 1° alla 10°parte                           La Grande Truffa – 11°parte

 

 

L’emissione monetaria

LA GRANDE TRUFFA

Come gli usurai internazionali si impossessano
di tutta la ricchezza prodotta dalla popolazione mondiale

12° parte

 

……………….

Capitolo VI

 

BREVE STORIA DELLA MONETA DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI

 

L’origine della moneta si perde nella notte dei tempi.

Secondo Francesco Cianciarelli, docente di Storia della Moneta al Corso di Perfezionamento post Lauream dell’Università di Teramo, nel suo “Le origini storiche della Moneta”, la prima forma di cartamoneta, chiamata mamrè o memrà, circolava tra il popolo ebraico già all’epoca dell’esodo dall’Egitto.

Era in pratica il riconoscimento scritto emesso dal debitore per un prestito ricevuto.

Riportiamo le parole del professore:
“Questa moneta era formata “dalle ricevute di credito” che rilasciavano i debitori; esse circolavano senza bisogno di “girata”, ed erano chiamate mamrè; l’antenato della nostra cartamoneta.”

Sin da quando le prime comunità di uomini hanno iniziato a sentire la necessità di scambiarsi beni e quasi sino ai giorni nostri, il baratto è stato il mezzo di scambio più comune e immediato.
La moneta è nata quando l’aumento costante degli scambi commerciali ne rese sempre più evidenti i limiti. Il baratto in tutti i casi, in periodi e luoghi diversi a seconda del differente livello di organizzazione sociale di questa o quella comunità, è rimasto per tanti secoli, e sino all’età moderna, il mezzo di scambio prevalente anche dopo l’introduzione della moneta.

La moneta-merce, quantunque ancora un baratto, rappresenta un primo passo verso la realizzazione di un autentico mezzo di scambio.

Una quantità e varietà di merci differenti hanno svolto in principio la funzione di moneta-merce.
Capi di bestiame, la pecus latina, da cui pecunia, il sale (salario), gli arachidi, il cotone, i datteri, le pelli di animali, il riso, il tabacco, il tè pressato in pani, per nominarne solo alcune.
In Inghilterra per oltre seicento anni è stato usato come denaro, assieme a baratto e moneta, un bastone di legno, il tally stick. Ha svolto la sua funzione in modo egregio, tanto che permise l’acquisto di una parte consistente di azioni del capitale iniziale della Banca d’Inghilterra nel 1694.

La banca che ha legalizzato la più grande truffa di tutti i tempi fondata grazie anche ad un bastone di legno, a conferma di quanto l’essenza del valore del denaro sia sfuggente, spesso paradossale.

Le merci che di volta in volta si dimostravano più adatte venivano adoperate come mezzo di scambio.

Tra tutti i materiali, alcuni metalli riunivano quelle qualità di non deperibilità, omogeneità, durata e resistenza all’uso, frazionabilità ed alto valore concentrato in poco peso, necessarie per un mezzo di scambio affidabile.

Tra i metalli, l’oro si impose come moneta per eccellenza.
Da sempre nell’immaginario collettivo l’oro è simbolo di ricchezza.

Nel lungo cammino che ha avuto origine in Mesopotamia, con il popolo dei Sumeri, attraverso le varie civiltà egizio-babilonesi, greca e romana, sino agli orafi medioevali per giungere ai giorni nostri, l’oro è stato l’autentico protagonista, nel bene e nel male.
In principio venne usato, assieme all’argento, al rame e meno frequentemente anche al bronzo, come unità di conto per la valutazione delle merci.

Gli antichi sacerdoti-scribi, autentici contabili del tempio, luogo dove si ammassavano i raccolti e dove avvenivano gli scambi commerciali, valutavano queste merci in quantità corrispondenti di oro ed argento. I metalli però restavano all’interno del tempio, non circolavano tra la popolazione.

Erano solo una unità di conto utilizzata dai sacerdoti per tenere la contabilità del regno.
Le prime monete della nostra civiltà sviluppatasi attorno alle coste del Mediterraneo, pare siano state coniate in Lidia, Asia Minore, l’attuale Turchia, tra il VII e VI secolo avanti Cristo.
Già tre secoli prima comunque i cinesi, dall’altra parte del pianeta, avevano iniziato a produrre con il metodo della fusione delle monete metalliche di varie forme.

Con il conio, che dalla Lidia si è lentamente diffuso alle civiltà vicine, il denaro assumeva sempre più diffusamente quel ruolo di mezzo di scambio e contenitore di valore.
Bisogna tener presente che la circolazione di monete d’oro e d’argento, anche a causa della scarsa disponibilità di metalli preziosi, è sempre stata per lo più limitata alle classi agiate delle società più progredite.

Solo in tempi recenti la presenza del denaro nella vita quotidiana ha assunto la rilevanza attuale.

Le monete, nei secoli che ci hanno preceduto, erano veramente roba da ricchi.
L’economia delle famiglie popolari si è sempre basata sull’autoconsumo.
Ogni famiglia si adoperava per cercare di produrre in casa il necessario per vivere: ortaggi, frutta, farine, galline per carne ed uova, conigli, latte.
Usanza che si è tramandata sino ai giorni nostri, ed alla quale, chissà, potremmo e dovremo tornare.

Ciò che non si riusciva a produrre, si poteva barattare, rendendo praticamente superfluo il possesso di denaro per la sopravvivenza vera e propria.

È in epoca medioevale che si sono avuti dei cambiamenti determinanti con la manipolazione dell’oro da parte degli orafi.

Questi artigiani, per il quotidiano contatto con argento e metallo giallo sul banco di lavoro e la necessità di avere una cassaforte per metterli al sicuro, si tramutarono lentamente da custodi in banchieri.

Nelle loro casseforti trovava sicuro rifugio sempre più oro che le famiglie abbienti non si fidavano a tenere in casa.
L’orafo faceva pagare un modesto compenso per la custodia, e rilasciava delle “fedi di deposito” sulle quali venivano annotate le quantità del metallo prezioso di volta in volta depositate.

“Tale ricevuta – documento incensurabile sul quale si edificherà la più grande truffa dei secoli passati e che verranno, non era in realtà, che una promessa di pagamento, firmata dal proprietario di una cassaforte”.
Joacquìn Bochaca, “La finanza e il potere”

Le ricevute o note del banco, da cui banconote, iniziarono ad essere accettate nelle compravendite in sostituzione dell’oro, perché più comode da trasportare e meno soggette ad essere rubate in quanto rappresentavano un valore depositato, ma non erano “il valore”.
Notando che i possessori sempre più frequentemente preferivano tenere le ricevute piuttosto che riconvertirle in monete d’oro, gli orefici affinarono l’ingegno e la tecnica di emissione.

Dal momento che solo una persona su dieci si presentava occasionalmente a ritirare l’oro depositato, in teoria si sarebbero potute prestare note del banco per un valore corrispondente sino a dieci volte il metallo custodito senza correre grandi rischi. Iniziarono pertanto ad emettere un numero sempre maggiore di ricevute di deposito rispetto all’oro custodito, cedendole in prestito e caricandoci sopra un interesse.

Fermiamoci un attimo a riflettere.

I custodi dell’oro si stanno trasformando in falsari. Emettono valore monetario senza copertura, facendo solo credere che in cassaforte ci sia una quantità equivalente di metallo giallo. Creano denaro dal nulla.

Questo denaro non proveniente da un lavoro o un bene, non è certo il “certificato di un lavoro svolto” di Ezra Pound o il “titolo di richiesta per ottenere beni e servizi” di Gertrude Coogan a cambio di un qualcosa di già dato alla società : è una “richiesta” fasulla, creata solo con carta e penna.

Viene prestato ad interesse e ha il potere di comprare merci, proprio come il denaro vero.
L’orafo, mettendo in circolazione questa falsa ricevuta, sottrae alla società potere d’acquisto senza aver dato niente in cambio.

Ha in mano una falsa richiesta di merci, la usa per sottrarre beni agli altri membri della società.
Ruba.

Le note del banco si trasformarono pian piano da “fedi di deposito” attestanti una proprietà personale depositata e facilmente identificabile, ad un titolo più anonimo che era solamente una ricevuta al portatore convertibile in oro. Una promessa, un titolo di credito.

“Alcuni ingegnosi orafi concepirono l’idea (che fece epoca) di rilasciare note non solo a chi depositava i metalli (oro e argento), ma anche a coloro che le richiedevano in prestito, e così fondarono il moderno sistema bancario.”
Hartley Withers, “The meaning of money”

La spersonalizzazione delle ricevute faceva sì che si perdesse da parte dei portatori la percezione della quantità di moneta circolante; una cosa è che mi passino in mano troppe ricevute con il mio nome sopra, altra che siano ricevute non identificabili, rappresentative di depositi anonimi dei quali ignoro la consistenza.

È un cambio di enorme importanza.
Un passo decisivo verso il perfezionamento della grande truffa.

È paragonabile a ciò che succede con le attuali banconote in euro. Sono anonime.
Da dove vengono? A chi appartengono? Chi le ha emesse? In che quantità? Come entrano in circolazione?

Tutte domande semplici e legittime alle quali però non sappiamo rispondere, grazie al silenzio assoluto imposto sulla materia monetaria; o peggio ancora, alle mezze informazioni frammiste a menzogne e indicazioni tendenti unicamente ad ingannarci per costruire la nostra ignoranza.

Noi accettiamo e diamo denaro per consuetudine, senza porci domande, abbiamo sempre visto fare così. Non ci viene neanche in mente di mettere in discussione il sistema.
Una situazione ideale per chi trama al riparo dai nostri sguardi indiscreti.
Subiamo passivamente ogni decisione che viene dalle cosiddette istituzioni.
Sempre più lontane dal popolo.

Le decisioni in materia monetaria da dove arrivano?

Quali sono le “autorità monetarie” citate da televisioni e giornali?
Vocaboli astratti, virtuali.

Che cosa è e cosa significa “Basilea due”?

Quanti di noi conoscono l’esistenza della “Banca dei Regolamenti Internazionali”?

Gli orefici iniziarono a lucrare un interesse sul prestito di un valore che non possedevano essendo l’oro a copertura solo un decimo del prestato.

Qualora soltanto due o tre persone su dieci si fossero presentate contemporaneamente alla riscossione, l’orafo si sarebbe trovato nell’impossibilità di far fronte ai propri impegni. Una situazione che ogni tanto si verificava. Era la cosiddetta “bancarotta”, che veniva a volte resa platealmente pubblica con la rottura fisica del banco di lavoro dell’orafo disonesto da parte dell’autorità.

Non era che un piccolo incidente di percorso, che diede origine ad un accordo di collaborazione solidale tra orafi.

Per evitare il ripetersi di situazioni simili con grave danno per la reputazione di tutti, gli orafi-banchieri si impegnavano ad aiutarsi mutuamente, garantendo ciascuno con la propria riserva la copertura delle ricevute emesse in eccesso in eventuali casi di improvviso aumento di richieste di conversione. All’insaputa della clientela, accorrevano con il proprio oro in soccorso del collega in difficoltà per tranquillizzare eventuali richiedenti sospettosi, dando rassicurante mostra di solidità del “banco”.

Era l’idea iniziale dalla quale avrebbero in seguito preso forma la banca centrale e la riserva frazionaria, “miracolo” quotidiano che oggi permette alle banche, con l’approvazione della legge, la creazione dal nulla di denaro cosiddetto scritturale.
La legalizzazione della truffa.

Forti di un accordo di solidarietà che li faceva sentire ancora più sicuri, gli orafi presero ad offrire un piccolo interesse a chi avesse depositato oro ed argento nelle loro casseforti, piuttosto che chiedere un compenso.

La lucrosa attività di creatori di denaro dal nulla fece in poco tempo degli orafi-banchieri una casta estremamente ricca e potente.
Guadagnavano grandi somme con promesse di pagamento emesse su denaro inesistente, e quel dieci per cento depositato non era neanche loro!

Con un deposito di 100 monete d’oro remunerato con un 2% di interesse annuo al cliente che lo lasciava in custodia, si poteva prestare l’equivalente in note del banco di 900 monete, che ad un interesse diciamo del 10% producevano altre 90 monete.

Detraendo le due monete di interesse dovute al depositante, si poteva ricavare un profitto di 88 monete da un deposito di 100 monete appartenenti ad un cliente!

Se un investimento di 2 da un profitto di 88, rappresenta il 4.400% in percentuale!
In questi tempi che uno 0,5% di interesse sui depositi è la normalità, la percentuale del profitto sale a un incredibile 19.600% !

Il confronto con i pochi punti percentuali realizzabili oggi con una qualsiasi attività commerciale, diciamo un 10% quando sempre più raramente si chiude in attivo, da una idea di che cosa sia l’attività bancaria.

Inoltre, il miglioramento dei meccanismi dei prestiti bancari e la ricchezza patrimoniale raggiunta con gli ingenti guadagni permettevano agli orafi-banchieri di proiettare sulla clientela una immagine di professionalità, competenza, solidità finanziaria e fiducia.

Tutti requisiti fondamentali per l’attività bancaria.

Questa grande fiducia acquisita, incrementava la circolazione delle ricevute: dal momento che c’era la sicurezza di poterle convertire in monete d’oro in qualsiasi momento, nessuno lo faceva più.

La ricevuta, emessa sotto forma di cambiale con valore creditizio, in quanto rappresentativa della riserva aurea, non era altro che una promessa di pagamento.
Non rientrando in “banca” per essere riconvertita, si trasformava in promessa perenne.

Quella funzione di mezzo di scambio assunta in sostituzione dell’oro, da temporanea diventava definitiva.
In conseguenza della ormai superflua riconversione in oro, la ricevuta veniva accettata come moneta.

La ricevuta aveva acquisito lo status di denaro, era denaro.

I banchieri non lucravano più solo gli interessi, ma anche l’intero capitale .

Prestavano promesse di pagamento, che non tornando più indietro, si trasformavano in denaro vero.

Si erano impossessati del segreto della creazione del valore del denaro basato sulla fiducia.

“Fiat money”. La riserva aurea non è più necessaria.
Perchè a nessuno di noi viene mai in mente di andare in banca e cambiare in oro una banconota da 500 euro?

Perché, indipendentemente dal fatto che non si può fare da quasi un secolo e che non c’è nessun oro a garanzia del valore della nostra cartamoneta, noi da quando siamo nati abbiamo sempre visto circolare le banconote.

Per noi quei biglietti non sono la rappresentazione di una riserva aurea, sono semplicemente denaro.
Sin dalle origini nei banchi degli orafi, difficilmente le banconote sono mai state completamente coperte da oro depositato.

Da sempre, il trucco di fondere monete già in circolazione e coniarle nuovamente con lo stesso valore nominale ma con meno metallo, era prassi ricorrente. Era una vera e propria svalutazione, necessaria in momenti di scarsità del metallo per aumentare i mezzi di scambio in circolazione in termini di numero e valore complessivo.

Utilizzando la medesima quantità di oro od argento si moltiplicavano i mezzi di scambio ed il potere d’acquisto senza creare contemporaneamente una maggior offerta di beni da scambiare.
Una inflazione di moneta, la svalutazione del denaro esistente.

Durante tutto il XX secolo la copertura in oro delle banconote è sempre stata solo un’illusione da vendere al popolo.

Negli anni successivi alla grande depressione del 1929, il popolo americano fu costretto a consegnare anelli, orecchini ed oggetti in oro posseduti, per essere fusi in lingotti come misura estrema per tentare di costituire una base aurea che permettesse la stampa di nuova cartamoneta.

Chi venisse trovato illegalmente in possesso di oggetti fatti di prezioso metallo giallo, oltre ad essere marchiato dell’accusa infamante di “traditore della patria”, correva il rischio di essere condannato a 10 anni di carcere.

Nel 1933 le monete d’oro scomparvero dalla circolazione.

Con gli accordi di Bretton Woods, cittadina americana del New Hampshire dove nel luglio del 1944, tra gli alleati che si accingevano ad uscire vittoriosi dalla seconda guerra mondiale, si tennero ripetuti incontri nel corso dei quali si gettarono le basi per una riorganizzazione del sistema economico e geopolitico mondiale, fu stabilito che tra tutte le monete internazionali, solo il dollaro avrebbe continuato ad essere convertibile in oro.

Come sempre succede in occasione di grandi vertici internazionali durante i quali si prendono decisioni che riguardano la vita di tutti noi, al popolo non è permesso capire motivazioni e conseguenze dei provvedimenti adottati.

A Bretton Woods la finanza anglo-americana si è dotata degli strumenti necessari ad esercitare quel dominio e controllo militare, politico e finanziario che vengono perfezionati nei giorni nostri.

La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e la devastante Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto, World trade organisation) per il controllo economico/finanziario planetario, le Nazioni Unite per il controllo politico di tutti gli stati membri, la Nato per il dominio militare.

Sotto la guida dei centri di potere già esistenti, Wall Street e la City di Londra per la finanza, Washington per la politica e gli eserciti inglese e americano per l’egemonia militare, la distruzione delle economie nazionali e la creazione di un unico grande mercato globale offerto al saccheggio assassino di insaziabili multinazionali poteva avere inizio.
A Bretton Woods si è anche parlato per la prima volta di una moneta mondiale, ma i tempi non erano ancora maturi, fortunatamente.

Decidendo che rimanesse l’unica valuta convertibile in oro, si era di fatto trasformato il dollaro, strumento del nascente imperialismo americano, nella moneta degli scambi internazionali.

Gli Usa tenevano in cassaforte una riserva aurea a garanzia della cartamoneta emessa, mentre le banche centrali degli altri paesi, dal momento che era convertibile in oro, usavano il dollaro come riserva per le proprie valute.

Gli americani iniziarono da subito a stampare dollari in quantità ben superiore alla riserva aurea di Fort Knox, in Arkansas.

Denaro “falso”, non proveniente da un lavoro o un servizio, creato dal nulla.

Con la cartamoneta a costo zero compravano in giro per il mondo le migliori aziende, le materie prime e tutte le risorse necessarie all’espansione della loro potenza economica.

Si impossessavano della ricchezza del pianeta dando in cambio carta straccia. Esattamente ciò che fanno le banche con la popolazione mondiale: si impossessano della ricchezza prodotta dando in cambio impulsi elettronici del computer.

Gli Stati Uniti inflazionavano il mondo di dollari, rubavano potere d’acquisto agli altri paesi, sottraevano loro grandi fette di ricchezza.

Gli Stati Uniti fecero pagare i costi della loro crescita a tutta la popolazione mondiale.

Il 15 Agosto 1971, Richard Nixon, presidente americano in carica, annuncia in diretta televisiva ai suoi connazionali ed al mondo intero la fine della convertibilità del dollaro in oro.
Nuovamente, popolazioni mondiali a digiuno dei principi più elementari di economia non vengono messe in condizioni di capire ciò che succede.

Il presidente americano praticamente dichiarava la bancarotta del suo paese.

Gli Stati Uniti non avrebbero più potuto mantenere l’impegno preso a Bretton Woods di cambiare i dollari con l’ammontare corrispondente di oro ai paesi che ne avessero fatto richiesta.

Con quell’annuncio di Nixon, il denaro riprendeva la sua condizione ideale di valore monetario puramente convenzionale.

Fiat money, moneta senza nessuna riserva aurea.
La pietra filosofale, dispensatrice di ricchezza, potere ed immortalità.

I dollari in circolazione nel pianeta pare fossero otto volte il valore della riserva aurea.
Qualche autore riporta addirittura che nei primi anni settanta ci fossero in riserva negli Stati Uniti solo duecentomila tonnellate di oro a copertura di un equivalente in dollari circolanti sul pianeta di ben 75 milioni di tonnellate.

Il reale valore della banconota da un dollaro equivaleva praticamente a 3 centesimi.
Gli americani si impossessavano delle risorse del pianeta dando in cambio carta straccia.
Lo strapotere militare dell’esercito americano scoraggiava ogni protesta.
Proprio come il Gran Kan nell’impero cinese del 1300.

Si trovò subito un rimedio che impedisse il crollo della moneta statunitense conseguente alla perdita di credibilità.

Arabia Saudita e Stati Uniti conclusero un accordo secondo il quale il petrolio saudita sarebbe stato venduto solo in dollari, costringendo così tutti i più importanti paesi occidentali che volessero comprare l’oro nero, ad acquistare prima la moneta americana per avere poi accesso al petrolio.

La rinnovata richiesta mondiale, per la legge economica della domanda e dell’offerta, mantenne alto il valore del dollaro. Le banconote americane garantite dal petrolio divennero petrodollari.

Fu sufficiente agganciare il dollaro ad una merce molto utile, della quale tutti avevano bisogno, per rivalutarlo.

Ulteriore dimostrazione che la ricchezza materiale sta nelle merci, non nel mezzo di scambio.

Quale è l’aspetto che più ci interessa riguardo alla fine della convertibilità in oro della moneta?

La chiara dimostrazione che la moneta non ha nessuna necessità di avere una riserva d’oro a garanzia del proprio valore.
Il valore è un concetto della nostra mente. Noi diamo valore ad un bene a seconda dell’utilità che può avere per noi.

Ma allora, su cosa si regge la moneta?

Sulla fiducia che noi riponiamo in essa.

La nostra accettazione in cambio di merci, in previsione che altri la accetteranno da noi.

La moneta ha un valore convenzionale, fiduciario, dato dalla consuetudine, dalla nostra accettazione. Valore confermato e rafforzato dall’essere dichiarata valuta ufficiale di un paese e dal corso forzoso imposto, che induce in essa il valore e la immette in circolazione.

Ma teniamo sempre a mente che la ricchezza vera risiede nei beni, materiali e non; la moneta è solo il mezzo di scambio per poterli raggiungere.
La fiducia nella moneta trova origine nella consapevolezza di poterla convertire, in qualsiasi momento, in beni materiali esistenti.

In presenza di una inflazione galoppante, nonostante sia la valuta legale ed abbia corso forzoso, è sempre la mente umana che decide se sia più conveniente avere denaro o beni materiali.

La reazione popolare è di tenersi beni reali e liberarsi della moneta svalutata. La casa vista come rifugio sicuro riacquista valore.

Pure l’oro sale di prezzo grazie agli “spot” televisivi che lo indicano come bene rifugio.

Mantenendo viva nell’immaginario collettivo quella plurimillenaria identificazione con la ricchezza, la “pubblicità” dei media contribuisce in modo determinante ad aumentarne richiesta e valore.

Ma è anch’esso un inganno.
Sull’isola deserta sono il cibo e un rifugio sicuro i beni indispensabili.

Tra un carico di cibo e acqua fresca o un camion di lingotti d’oro, voi cosa scegliereste?

L’oro ha valore perché, come qualsiasi altro simbolo monetario, noi abbiamo deciso di darglielo. Come per un quadro d’autore, il suo prezzo è ciò che qualcuno è disposto a dare in cambio.
Come metallo, il suo valore intrinseco non è altissimo.

continua….

 

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Paolo MALEDDU

 

Irene Piccolo, esperta di diritto internazionale, non cela la sua perplessità nei confronti del corso politico Russo e Siriano, e tuttavia, dopo una scrupolosa rassegna delle norme internazionali, giunge ad una conclusione senza appello: L’intervento russo in Siria è legittimo. Al contrario i paesi occidentali e la Turchia non solo non hanno ottenuto alcuna licenza che possa legittimare il loro uso della forza, ma nemmeno ci hanno provato: ennesima conferma di un sentimento di eccezionalità che ormai si è trasformato in vero e proprio abito mentale per le classi dirigenti dei paesi NATO.

 

 

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di Irene Piccolo

 

Putin e Obama, avventura in Siria: tra i due litiganti… il diritto gode solo a metà

Abbiamo iniziato la settimana con i raid francesi in Siria, la stiamo chiudendo con quelli russi. Senza andare troppo per il sottile: chi lo sta facendo legittimamente (dal punto di vista giuridico) e chi no?

In questa situazione entrano in gioco alcuni dei principi basilari del diritto internazionale, ma principi semplicissimi, che in confronto le tabelline che impariamo alle scuole elementari potrebbero sembrare questioni astrofisiche:

1. Il divieto di uso della forza;

2. Il divieto di ingerenza negli affari interni di un altro Stato.

La battaglia di Solferino del 1859 aveva portato alla creazione della Croce Rossa Internazionale e aveva indotto gli Stati a ripensare le metodologie della guerra, di modo che nei conflitti a venire si rispettasse in un certo qual modo la dignità umana, evitando di infliggere sofferenze inutili ai combattenti. Così piano piano si arrivò alle normative, tuttora in vigore, sul diritto di guerra (Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907) e su come si conducono le ostilità.Tuttavia gli eventi della I guerra mondiale dimostrarono che esse non erano sufficienti e, con la nascita della Società delle Nazioni, si istituì un primo divieto di ricorso alla forza armata. Esso, ovviamente, non era un divieto assoluto, ma prevedeva che – nel momento in cui uno “sgarbo” tra Stati rischiava di portare al conflitto – questi non ricorressero subito all’ arme ma cercassero una soluzione alternativa per almeno tre mesi (si parlava di procedura di cooling off, cioè “raffreddamento” delle tensioni). Il passo successivo fu fatto nel 1928, con un patto bilaterale tra Francia e USA, il Patto Briand – Kellogg, in cui il divieto divenne un po’ più forte. Ciò tuttavia non impedì la guerra italiana in Etiopia o l’invasione giapponese della Manciuria, né tantomeno lo scoppio della II guerra mondiale.

Arriviamo così al primo vero divieto assoluto (o quasi) a livello globale dell’uso della forza (intesa solo come forza armata): l’art. 2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite(1945), secondo cui “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’ uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

224 ottobre 1945: 49 paesi firmano la Carta delle Nazioni Unite che regolamenta e limita l’uso della forza nelle relazioni internazionali

Unica eccezione (per questo motivo ho detto “quasi assoluto”) – N.B. unica eccezione al di fuori delle azioni portate avanti sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta, di cui vi parlerò più giù – è la legittima difesa prevista all’art. 51 della stessa Carta, il quale recita:

“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.

Ne consegue che in tutti i casi in cui si faccia ricorso all’ uso della forza armata, e non ci siano questioni di legittima difesa, siamo in presenza di un illecito internazionale.

Ora, così come nel diritto penale interno, anche nel diritto internazionale sono previste le c.d. cause di giustificazione: vale a dire quelle condizioni in presenza delle quali anche se viene commesso un illecito, viene tuttavia esclusa la responsabilità dell’autore di quell’ illecito. Per l’esattezza, abbiamo sei cause che escludono la commissione di un illecito internazionale tra Stati:

1. Consenso dello Stato leso, che si basa sul detto latino volenti non fit iniuria (non c’è danno nei confronti di chi vuole/accetta la commissione di quello specifico atto). Purché il consenso:
• sia validamente prestato (no pressione politica, militare, economica, corruzione, ecc.);
• sia chiaramente accertato (cioè, non è che io immagino che Assad ha detto che le forze russe possono intervenire. No, Assad deve in qualche modo farcelo sapere… un’intervista, una dichiarazione, un atto scritto, quel che gli pare);
• sia prestato dall’organo competente per quello Stato ad impegnarsi internazionalmente (chi più di Assad che è il Presidente?!);
• deve essere prestato prima che il fatto sia commesso, e non a fatto compiuto, stile condono.
Inoltre, ci sono altri due requisiti:
• se il consenso ha dei limiti, la responsabilità dello stato che compie l’illecito viene meno solo entro quei limiti. Non appena li supera, c’è illecito. Faccio l’esempio concreto: se Assad dice a Putin “manda le forze russe a bombardare solo la provincia dell’Anbar”, per i bombardamenti russi all’ interno di tale provincia la Russia è liberata da qualunque responsabilità. Se, per esempio, finisce nel Kurdistan.. beh, allora lì si starebbe violando il divieto di uso della forza armata.
• L’illecito non può riguardare uno Stato terzo: io Siria non posso chiedere a te Russia di andare a bombardare l’Iraq. E se tu Russia lo fai, stai commettendo un illecito.

2. Legittima difesa: di cui vi ho parlato su, e che sostanzialmente si concretizza nell’ utilizzo della forza per respingere un attacco armato;

3. Contromisure: sono come la legittima difesa, ma si riferiscono ad illeciti diversi dall’ attacco armato (ad esempio, tu Stato X violi una disposizione di un accordo commerciale che hai fatto con me, allora io faccio altrettanto con te finché non ritorni sui tuoi passi. Secondo il principio inadimplenti non est adimplendum: non ho l’obbligo di adempiere [ai miei obblighi] nei confronti di chi non li adempie a sua volta);

4. Forza maggiore: verificarsi di una forza irresistibile o di un evento imprevisto, al di fuori del controllo dello Stato, che rende materialmente impossibile nelle circostanze del caso adempiere all’obbligo giuridico.
Es. un’alluvione fortissima e imprevedibile colpisce una fabbrica di composti chimici, al confine con un altro Stato, il che causa sversamenti nocivi sul terreno di quest’altro Stato. Ora, lo Stato sul cui suolo si trova la fabbrica non sarebbe responsabile per violazione di obblighi ambientali previsti dalle normative internazionali, a meno che non fosse provata una sua responsabilità (ad es. politiche nazionali di sicurezza degli impianti non adeguate, o inesistenti). Ho preso un esempio un po’ complicato, perché poi per la normativa ambientale ci sono diversi livelli di responsabilità e regole più stringenti. Ma era solo per farvi capire il concetto.
In pratica, la causa di giustificazione vale solo se la situazione di forza maggiore non è stata causata dallo Stato o lo Stato non si è preso il rischio che si verificasse.

5. Estremo pericolo: quando l’autore dell’illecito non ha altro modo ragionevole, in una situazione di estremo pericolo, di salvare la propria vita o quella delle persone affidate alle sue cure. Vale solo a difesa della vita, non anche della sola integrità fisica!
Ovviamente in questo caso ad agire è per forza un individuo e non uno Stato, inteso come apparato, ma è comunque un individuo che agisce per conto dello Stato (ad esempio un soldato). Anche qui non si deve aver causato in qualche modo tale pericolo e, allo stesso tempo, la violazione che si compie non deve causare un danno superiore a quello che si cerca di evitare (es. per salvare la vita di una persona ne ammazzo cinquanta)

6. Stato di necessità: la necessità induce lo Stato a commettere un atto teoricamente illecito perché è il solo mezzo per proteggere l’interesse nazionale contro un pericolo grave ed imminente e purché tale atto non leda a sua volta un interesse essenziale dello Stato nei cui confronti si aveva l’obbligo o nei confronti della comunità internazionale tutta. Tuttavia, anche qui, se lo Stato ha contribuito al realizzarsi della situazione di necessità, non c’è giustificazione.

3Dicembre 1941: truppe giapponesi in Thailandia. Il Giappone sostenne di avere legittimamente occupato il paese essendo stati i nipponici invitati dal Presidente Phibun (in realtà l’invito giunse alcune ore dopo l’attacco giapponese)

In più, ci sono degli obblighi che non possono essere violati neppure in caso di stato di necessità (ad es. quelli di diritto internazionale umanitario, vale a dire quelle norme che proteggono combattenti e non combattenti, ovviamente con modalità diverse, nel corso di conflitti armati).

Esempio pratico: lo stato di necessità fu invocato da Israele per la costruzione del muro nei Territori palestinesi, dal momento che affermavano che la costruzione era motivata dal continuo attacco, attraverso lancio di granate e altro, da parte dei palestinesi. La Corte Internazionale di Giustizia, in un parere, disse che in quel caso non si poteva invocare lo stato di necessità perché il muro avrebbe impedito l’applicazione del diritto internazionale umanitario.

Queste che vi ho elencato sono le uniche e sole cause di giustificazione esistenti nel diritto internazionale generale.

Torniamo ora alla Siria.
Nel settembre 2014 sono iniziati i bombardamenti in Siria da parte degli Occidentali (nel tempo si sono succeduti e alternati raid americani, australiani, britannici e – più di recente – quelli francesi). Una delle motivazioni che sembra aver mosso gli occidentali, oltre ovviamente alla lotta allo Stato islamico, è la preoccupazione che i foreign fighters (combattenti stranieri) provenienti dai loro territori e andati a combattere in Iraq e Siria potessero rientrare sui rispettivi territori nazionali e compiere attentati (motivazione particolarmente valida per l’Australia, da cui non partono solo i combattenti ma anche moltissime donne che decidono di andare a sposare i combattenti, conosciuti attraverso i social network. In particolare attraverso un’applicazione telefonica per incontri che si chiama “Jihad Matchmaker”).

Questi raid hanno avuto luogo un mese dopo l’adozione, il 15 agosto 2014, all’unanimità, da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, di una risoluzione in cui si classificavano ISIS, Al-Nusra e tutti gli altri individui collegati ad Al-Qaeda come gruppi terroristici: la risoluzione 2170. A questo link trovate sia il testo della risoluzione (in basso), sia le dichiarazioni dei cinque “Grandi” (USA, Francia, Regno Unito, Cina, Russia) sul perché del loro voto favorevole al testo. Quindi se le dichiarazioni di Putin fossero state “bombarderemo i terroristi”, nel caso in cui colpissero anche Al-Nusra, nessuno gli potrebbe dire alcunché.

4Un AV 8B Harrier Australiano – L’aviazione australiana compie missioni su obiettivi del Califfato in Siria dal Settembre 2015

Volutamente tralascio qui la trattazione, e il probabile dibattito che ne seguirebbe, sia delle vere motivazioni americane sia di quelle russe ad andare in Siria (se vorrete, ne parleremo in un futuro post. Fatemi sapere se può interessarvi). Qui voglio parlare solo e unicamente di ragioni giuridiche.

La situazione che ora ci ritroviamo di fronte è questa:

1) Raid occidentali su Siria e Iraq (l’ISIS occupa parti di territorio di entrambi gli Stati; infatti, nato in Iraq, si è poi allargato in Siria), fuori dal mandato ONU:
– il governo centrale iracheno ha dato il consenso a intervenire sul suo territorio (vedi causa di giustificazione n.1);
– il governo centrale siriano no. In realtà, per quel che ne so, tale consenso non gli è proprio stato chiesto, dal momento che uno dei punti saldi della posizione occidentale era (in questi giorni qualcuno la sta rivedendo) che Assad non era più da considerarsi rappresentante legittimo dello stato siriano.

2) Raid russi sulla Siria, anch’essi fuori dal mandato ONU. C’è il consenso di Assad (e oltre a questo, vi è un Trattato di cooperazione e amicizia, tra Siria e Russia, del 1980 [ndr. Sì, allora era Unione Sovietica, ma l’ONU ha pacificamente accettato e riconosciuto che la Russia succedesse all’URSS in tutti i trattati da questa precedentemente siglati, quindi il problema non si pone], in cui si prevede anche la cooperazione militare tra i due Stati. E qualora la Siria dovesse chiedere l’aiuto russo, quest’ultimo non potrebbe essere negato). Ancora non mi sembra che la Russia sia intervenuta anche sulla parte irachena del Califfato ISIS ma, qualora ciò avvenisse, l’Iraq ha già fatto sapere che darebbe il proprio consenso.

Quindi, il punteggio quanto alla legalità, in questo momento è: Russia 2 – Occidente 1.

5L’incontro Putin Obama a New York, a latere dell’Assemblea ONU. Anche se Obama ha criticato l’intervento russo in Siria sono le sue truppe, non quelle russe, a violare il diritto internazionale bombardando il territorio siriano.

Mi si potrebbe obiettare che la Russia vince facile visto che Assad è amico suo. All’apparenza è così. Ma permettetemi di raccontarvi quest’altra cosa.

Dunque, l’ONU può autorizzare, tramite votazione del Consiglio di Sicurezza, un intervento armato ai sensi del Capitolo VII della Carta dell’ONU (intitolato “Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione”), composto dagli articoli che vanno dal 39 al 51 (quello che vi ho citato prima sulla legittima difesa).

L’articolo 39 è fondamentale perché prevede che

“il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.”

Questo significa che per poter procedere, prima devono essere d’accordo sul fatto che la situazione sotto esame sia una minaccia alla pace O una violazione della pace O un atto di aggressione. Solo dopo si può passare ad adottare le misure previste all’art. 41 (non implicanti l’uso della forza armata. Es. sanzioni economiche) o quelle dell’art.42, il quale recita

“Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’ articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite”.

Ovviamente per fare ciò non ci deve essere il veto di nessuno dei cinque Grandi di cui sopra.

Si dirà: Putin è amico di Assad e ha votato contro. Non c’è niente da fare.

Domanda: durante la guerra fredda USA e URSS andavano sempre d’accordo? Non vi sono stati interventi armati di sorta da parte dell’ONU? di quelli pienamente legittimi s’intende…
Dunque, nel 1950, quindi in piena guerra fredda, scoppia la c.d. Guerra di Corea. Corea del Nord appoggiata dall’URSS, Corea del Sud dagli Stati Uniti. Il Consiglio di Sicurezza era quindi in pieno stallo, non si procedeva.

Allora si trovò una soluzione (perché quando si vuole le soluzioni si trovano). L’Assemblea Generale (dove sono rappresentati tutti gli Stati membri dell’ONU) votò una risoluzione, chiamata Uniting for Peace (Uniti per la pace), la numero 377 del 1950. In essa si stabiliva che (Capo A)

“se il Consiglio di sicurezza, in mancanza di unanimità dei membri permanenti, non dovesse adempiere al suo compito primario di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, qualora si profilasse una qualsiasi minaccia per la pace, violazione della pace o atto di aggressione, l’Assemblea generale dovrà occuparsi immediatamente della questione e indirizzare le opportune raccomandazioni ai Membri per deliberare misure collettive da adottare, incluso, se necessario, nel caso di una violazione della pace o di atti di aggressione, l’uso di forze armate, per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionali”.

Ora, questa risoluzione non è “scaduta” né è stata tantomeno sostituita da atti successivi. Se l’Occidente avesse voluto intervenire in Siria rispettando il diritto internazionale, avrebbe semplicemente dovuto convocare gli Stati membri dell’ONU (con il Sud Sudan siamo arrivati a 193) e convincerli della bontà dell’intervento militare in Siria. Non posso metterci la mano sul fuoco, ma ad occhio e croce non credo che tutti i Paesi dell’Assemblea Generale siano amici di Putin o di Assad. O comunque sarebbe stato bello vedere che USA & Co. almeno avessero provato ad ottenere l’adozione di questa risoluzione, anziché limitarsi a dire “la Russia blocca i lavori”. Per quel che ne so, nessun tentativo è stato fatto in tal senso.

6Truppe USA in Corea. Lo stallo creatosi nel consiglio di sicurezza dell’ONU sollecitò una deliberazione legittimante dell’Assemblea. Nessun passo per ottenere una simile autorizzazione è stato compiuto dagli occidentali in Siria

Così facendo, non solo USA, Regno Unito, Francia e chi con loro è intervenuto in Siria, hanno violato il divieto di uso della forza armata, ma anche violato un altro dei sei principi fondamentali del diritto internazionale (elencati nella risoluzione 2625 del 1970, adottata dall’Assemblea Generale, sulle Relazioni amichevoli tra gli Stati): il divieto di ingerenza negli affari interni di un altro Stato.

In questo principio rientra il divieto agli Stati di:

• stabilire quale organo di uno Stato straniero è competente a compiere specifiche attività o di costringere uno Stato straniero a tenere un determinato comportamento;

• intromettersi nelle questioni interne di altri Stati;

• aiutare i ribelli, quando in uno Stato scoppia un’insurrezione. Unica eccezione si ha quando i ribelli siano classificabili come movimento di liberazione nazionale, cioè stiano esercitando il diritto di autodeterminazione dei popoli. Ma qui apriremmo una parentesi infinita, che invece rinvio a future trattazioni. E in ogni caso, a mio modo di vedere, qui non ci ritroviamo davanti a un caso di autodeterminazione dei popoli [ndr. unico caso esaminabile in tal senso sarebbe quello dei curdi, ma si tratterebbe di una rivendicazione non solo nei confronti della Siria, ma anche della Turchia e dell’Iran, se andate sull’atlante a vedere qual è la regione del Kurdistan.

Davvero, usciremmo fuori dal seminato. Lo faremo in un altro articolo]

Il punto è che Assad può piacere o non piacere; a me non piace, per esempio.

Ma, se lo si vuole rispettare, il diritto internazionale è più elastico di quello che sembra. Le occasioni te le dà per “metterti in regola”.

Putin, che in patria non si fa problemi a dettare la propria linea anche quando ciò implica per esempio limitazione o soppressione della libertà di espressione del pensiero, è riuscito a essere inattaccabile dal punto di vista del diritto internazionale nella questione siriana. Com’è possibile che l’Occidente – che è il principale redattore delle norme di diritto internazionale (che è per sua natura un diritto occidentale) – non sia riuscito a conformarvisi?

Il diritto internazionale ha una “debolezza”: quello di essere fatto dagli Stati. Ma allo stesso tempo ha una forza: gli Stati si vincolano ad esso. Ed una volta che una norma si è formata, e gli Stati si sono vincolati, non basta una disapplicazione (quindi un comportamento difforme degli Stati che invocano altre priorità o interessi) perché il diritto venga meno.

Una volta che il diritto è formato, è formato. E a cambiarlo ci vuole molto tempo.

Quindi, ovvio, per via della Realpolitik, che ogni Stato tenterà di piegarlo al proprio interesse; ma il diritto non si piega. La sua non conoscenza, tuttavia, da parte dell’opinione pubblica, consente agli Stati di distorcerlo e di farne un uso e consumo discutibile.

tratto da: (clicca qui)