Un post sul Wall Street Journal affronta uno dei miti più duri a morire: quello secondo cui un paese sviluppato e con una propria valuta possa essere costretto, in qualche caso, a fare default. Il default non può avvenire (se non lo si decide deliberatamente), e nemmeno i rendimenti aumentano o i titoli si svalutano: è la moneta a farlo, e con le sue normali e fisiologiche oscillazioni rimette i mercati in equilibrio senza bisogno di traumi. Se vedendo svalutarsi la moneta qualcuno correrà a vendere i titoli, qualcun altro trovandoli a buon mercato correrà a comprarli.

 

 

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di Jon Sindreu, 31 ottobre 2016

Tra i fatti che ci mettono proprio un’eternità per essere capiti, eccone uno: i paesi che si indebitano nella propria valuta non saranno mai costretti a fare default sul debito.

Nei mesi appena trascorsi abbiamo avuto un’ulteriore prova di questo fatto. Quando il Regno Unito stava per votare nel referendum sulla propria appartenenza all’Unione europea, alcuni investitori e analisti hanno messo in guardia sul fatto che gli stranieri, spaventati, avrebbero potuto sbarazzarsi dei titoli del debito pubblico britannico, facendo così impennare i costi di finanziamento per il governo.

Avevano torto. Il giorno dopo la Brexit il valore di quei titoli è aumentato del 3,5 percento.

Di recente, una svendita dei titoli ha spinto molti — di nuovo — a sostenere che gli investitori stranieri stavano fuggendo dal paese. Dato che essi detengono circa un quarto del mercato attuale, perfino il Ministero del Tesoro britannico ha affermato che sarebbe stato un serio problema.

Ma i dati pubblicati lunedì mostrano che gli investitori non-residenti nel Regno Unito a settembre detenevano un valore netto totale di 13,2 miliardi di sterline in titoli, cioè il valore massimo da quasi un anno a questa parte. Nel corso di questo mese [ottobre], il valore dei titoli, che si muove in direzione opposta rispetto al valore dei rendimenti, è sceso di oltre il 5 percento.

Nel mese successivo al referendum le vendite nette ammontavano a soli 4,4 miliardi di sterline, un valore che sta assolutamente all’interno delle tipiche oscillazioni mensili.

È vero che quelli che hanno comprato i titoli a settembre ci hanno rimesso, a causa dell’ampia svendita che è avvenuta in ottobre — cosa di cui i nuovi dati riferiti a settembre non tengono conto. Ma non c’è nessun segnale del fatto che gli investitori stranieri siano in qualche modo preoccupati per i titoli del debito pubblico britannico dopo la Brexit.

Ma dunque, come sono variati gli asset britannici dopo lo shock della Brexit? Risposta: dato che la sterlina stessa si è svalutata, non ce n’è stato bisogno. Gli asset britannici sono diventati automaticamente più convenienti da comprare per gli stranieri, fornendo così un ammortizzatore per i mercati.

I dati mostrano che non c’è stato nessun particolare deflusso dalla Gran Bretagna — piuttosto, gli stranieri si sono limitati a ridefinire il valore della sterlina. Pertanto, anche se alcuni stranieri possono sbarazzarsi dei titoli, è improbabile che questi restino svalutati a lungo.

Ciò perché la Gran Bretagna è un paese sviluppato con mercati finanziari liquidi, che può emettere debito nella propria valuta. A differenza della Grecia o della Spagna, che possono certamente esaurire gli euro, la Gran Bretagna potrà sempre emettere le proprie sterline.

Inoltre non deve affrontare gli stessi problemi di molti paesi emergenti, che spesso si indebitano in valuta straniera perché non posseggono un sistema finanziario funzionale, o perché hanno governi instabili che decidono di dichiarare default per motivi politici.

Benché l’indipendenza delle banche centrali — una scelta che sono i paesi stessi a fare — venga spesso sottolineata come contro-argomento rispetto all’idea che i paesi che emettono la propria valuta non siano obbligati a fare default, le loro operazioni nei mercati valutari avvengono tramite titoli di stato, assicurando ai titoli pubblici un mercato liquido e stabile. Di fatto il ruolo delle banche centrali è sempre stato intimamente connesso alla gestione del debito pubblico.

I programmi di quantitative easing lo hanno reso ancora più evidente: la Banca d’Inghilterra possiede oggi più o meno un terzo del mercato dei circa 1.500 miliardi di sterline di titoli.

Anche nell’eurozona la Banca centrale europea ha mostrato di avere il potere di mettere fine alle svendite di titoli. Per decenni le agenzie di rating hanno ammonito sui pericoli del sempre crescente debito pubblico giapponese, eppure la compravendita di titoli pubblici giapponesi resta sempre a livelli record.

Nelle interviste ben pochi investitori hanno detto di avere avuto in mente il rischio di credito quando hanno deciso di vendere titoli il mese scorso — la loro preoccupazione era piuttosto che la caduta della sterlina avrebbe spinto la Banca d’Inghilterra ad una reazione eccessiva.

Dato che i titoli del debito pubblico sono sicuri tanto quanto il contante — se non di più — il loro valore dipende  principalmente dalle aspettative sulle azioni della banca centrale. È ora chiaro che il valore dei titoli del Regno Unito ha per lo più seguito quello dei titoli di altri paesi del mondo sviluppato, che si sono attestati a livelli massimi a causa della diffusa aspettativa che i decisori politici avrebbero fornito meno stimolo monetario da ora in avanti.

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