Siamo di fronte a patrioti veneti, a persone che formano un Comitato di Liberazione Nazionale Veneto invocando norme internazionali, che affermano che l’Italia è uno Stato occupante
Il Tanko “Marcantonio Bragadin” usato dai Serenissimi nel 1997, alla festa dei Veneti a Cittadella nel 2007 (foto di Semolo75, pubblico dominio)
24 Dicembre 2020
Processo di Vicenza contro gli indipendentisti veneti del Clnv, il Comitato di Liberazione Nazionale Veneto. L’udienza finale è stata rinviata al 29 gennaio 2021, per l’attesissima arringa dell’avvocato Renzo Fogliata, difensore di Patrizia Badii, la “leonessa” degli indipendentisti veneti, ed egli stesso Presidente dell’Assemblea Nazionale Veneta e stimatissimo studioso di storia della Serenissima. Ma già l’udienza di lunedì 21 dicembre è destinata ad essere ricordata come una pietra miliare nei processi contro l’indipendentismo veneto, che ormai cominciano ad essere molti, e troppo “monumentali”, in questa Italia sedicente democratica.
Le richieste dell’accusa: 60 anni di galera
In questo processo di Vicenza, il pubblico ministero ha chiesto ben 60 anni di galera per 23 dei 26 imputati accusati di associazione per delinquere a fini di istigazione a non pagare le tasse. Un reato, questo, l’incitamento all’obiezione fiscale, che non dovrebbe neppure esistere in un paese normale (come del resto il vilipendio al Tricolore ed altri reati consimili contro la presunta sacralità dello Stato), dopo che la Cassazione sin dal 1989 ha escluso che l’istigazione alla disobbedienza fiscale sia di per sè riconducibile alla generale disobbedienza alle norme di ordine pubblico, prevista e punita dal codice penale.
Infatti la pubblica accusa processa i due tronconi del Cln veneto, quello veronese capitanato da Patrizia Badii, e quello vicentino guidato da Ruggero Peretti, in base a un decreto – mai abrogato – che risale addirittura a prima che la Costituzione repubblicana esistesse: fu emanato infatti il 7 novembre 1947, oltre un mese prima che la Costituzione fosse approvata dall’Assemblea Costituente e poi promulgata dal Capo provvisorio dello Stato.
L’avvocato Tapparo in aula: “E’ un processo alle idee”
“Questo è un processo alle idee – ha detto in aula a Vicenza l’avvocato Cesare Tapparo, difensore di vari imputati -. Non hanno commesso reati: si sono comportati come un Comitato di Liberazione, ideologico, come un ente di diritto internazionale, come l’Olp di Arafat, in base al principio di autoderminazione dei popoli riconosciuto dall’Onu e dall’Italia”. La difesa del Cln Veneto non punta soltanto a negare responsabilità penali, ma chiede di discutere nel processo la piena legittimità delle azioni indipendentiste, alla luce del diritto internazionale.
I fatti, come è sempre accaduto nei processi agli indipendentisti veneti, sono non soltanto ammessi, ma rivendicati con orgoglio. Gli aderenti al Comitato di Liberazione Nazionale sottoscrivono un atto formale, nel quale, esercitando il loro diritto di autodeterminazione, dichiarano di essere cittadini della Veneta Repubblica, e di rifiutare obbedienza alle norme dello Stato Italiano, che illegittimamente occupa i territori veneti.
In questa veste, gli aderenti al Cln veneto rifiutano ovviamente anche di pagare le tasse allo Stato occupante, e attraverso i famosi “Gruppi di intervento rapido” guidati da Patrizia Badii, organizzano manifestazioni di solidarietà e resistenza fiscale, in soccorso di cittadini sottoposti a procedimenti esattivi, a sfratti o altri procedimenti simili da parte dello Stato italiano, dopo il loro rifiuto di pagare le tasse all’Italia. Nel corso di questi “soccorsi fiscali”, a parte qualche parola volata non si sa da chi, nessun episodio di violenza è mai stato contestato agli indipendentisti.
Le ragioni del Comitato di Liberazione Nazionale Veneto
Il Comitato di Liberazione Nazionale afferma di avere il pieno diritto di agire così, e allega documenti giuridicamente rilevanti: si comincia dal famoso Regio decreto numero 3300, del 4 novembre 1866, quello in base al quale, a seguito del plebiscito truffa, il Regno d’Italia si è annesso il Veneto. Quel decreto, e le norme successive, sono state abrogate nel 2010, con la celebre “legge Calderoli” che ripulì migliaia di norme obsolete. Creando così, secondo il Cln veneto, un vuoto normativo evidente. Il Cln ricorda poi la storica “sentenza Arafat” della Cassazione, che nel 1985 riconobbe al movimento di liberazione dei palestinesi la stessa dignità giuridica di uno Stato.
L’avvocato Fogliata: non sono evasori ma patrioti veneti
“Gli imputati si sono organizzati alla luce del sole in Comitato di Liberazione Nazionale Veneto, che affermano essere soggetto di diritto internazionale, in attuazione del principio di autodeterminazione dei popoli. Citano l’abrogazione del decreto di annessione del Veneto al Regno d’Italia. La pubblica accusa – osserva l’avvocato Renzo Fogliata, difensore di Patrizia Badii – sorvola tranquillamente su queste affermazioni, liquidandole come fossero baggianate indegne persino di una risposta, e limitandosi a inquadrare i fatti, le azioni concrete messe in campo dagli imputati, come se queste azioni fossero scollegate da quella cornice istituzionale, dalle idee e dagli obiettivi politici. Io penso che si debba riconoscere dignità ai loro argomenti. Il pubblico ministero avrebbe dovuto, eventualmente, contestare questi argomenti, spiegare perché non sarebbero validi. Ma non poteva semplicemente liquidarli come fossero favolette”.
“Insomma – continua l’avvocato Fogliata – qui non siamo di fronte a persone che si rifiutano di pagare le tasse. Siamo di fronte a patrioti veneti, a persone che formano un Comitato di Liberazione Nazionale Veneto invocando norme internazionali, che affermano che l’Italia è uno Stato occupante, e che quindi non vogliono pagare le tasse all’Italia, ma vogliono pagarle alla Veneta Repubblica. Perché – si chiede Fogliata – non dovremmo valutare questi argomenti nel merito? Perché non dovremmo valutarne l’importanza, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, visto che gli imputati sono certamente, profondamente convinti di agire con piena legittimità?”.
“Sproporzione tra fatti e pene, è processo politico”
“Sul decreto del 1947 in base al quale la pubblica accusa si muove – rileva Fogliata – ci sono dubbi di costituzionalità, e comunque è impossibile non vedere l’evidente sproporzione tra i fatti che si addebitano e la severità delle pene che si chiedono. Una sproporzione che si ripete costantemente in molti processi a indipendentisti veneti, ai quali per fatti obiettivamente minori vengono contestati reati enormi e invocate pene esagerate. In pratica si fa un processo politico, anche se si nega di volerlo fare”.
Impossibile non pensare al processo ai Serenissimi per l’impresa del Campanile, spettacolare certamente ma innocua per tutti e persino per i masegni della Piazza, oggetto di perizie e sopralluoghi preventivi da parte degli insorti, per essere ben certi che il Tanko non li danneggiasse. Per quell’impresa poetica e politica – se oggi possiamo liberamente parlare di indipendenza veneta, è grazie a loro – i Serenissimi vennero inizialmente accusati di terrorismo e sovversione, vennero imprigionati e uno di loro – Bepìn Segato – soffrì, fino a morirne, della detenzione avvertita come ingiusta.
Il caso della bandiera rubata da Albert Gardin
L’avvocato Fogliata ricorda un episodio: “Fu quando Albert Gardin rubò una bandiera italiana dalla Scuola Granda di San Giovanni Evangelista, a Venezia. La restituì integra, ordinatamente piegata. Per questo fatto, venne chiesta una pena di quattro anni di carcere. Come si fa a dire che questi non sono processi politici, che il giudizio sugli ideali indipendentisti che muovevano le persone non ha portato a valutare in modo sproporzionato la reale gravità dei fatti contestati?”.
E c’è un altro aspetto – osserva Fogliata – che è un classico dei processi politici. Tra le accuse i sono anche presunte offese a uomini della Finanza. Ma il bello è che la pubblica accusa non si è data il minimo daffare per provare, come avrebbe dovuto, che quegli insulti sono effettivamente stati proferiti personalmente dall’imputato al quale li si addebita. Era nel gruppo, gli insulti si sono sentiti, quindi il colpevole è lui. O lei. Eppure, nei mille processi per fatti assolutamente analoghi, svolti contro esponenti di centri sociali, si è avuta ben diversa attenzione a questo aspetto che è essenzialissimo, perché la reponsabilità penale è personale. E quindi se non è provato chi ha effettivamente insultato, l’accusa decade. Perché, quando il processo è contro indipendentisti veneti, si procede comunque?”.
Nel secolo appena trascorso, si sono celebrati processi importanti, processi che hanno fatto la storia, contro il terrorismo vero, quello che sparava e uccideva, quello delle Brigate Rosse. Eppure, in questi processi la Giustizia italiana riconobbe più volte l’attenuante del “particolare valore morale” degli ideali che muovevano la violenza dei gruppi armati. Ancor oggi, a pene scontate, esponenti di quei gruppi sono invitati a convegni e trasmissioni, persino in aule universitarie. Noi ci domandiamo questo: se quegli assassini non vennero e non sono trattati come criminali comuni, perché si pretende di trattare come “evasori comuni” gli indipendentisti veneti, come se lottare con mezzi pacifici per il diritto di autoderminazione del popolo veneto fosse meno nobile che sparare a persone innocenti in nome della rivoluzione comunista?
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