Adolf Hitler scrisse nel suo Mein Kampf che i bambini sono il bene più prezioso di un popolo:
“Primo perché la gioventù, appunto in virtù della sua ignoranza, rappresenta quasi sempre il soggetto che meno oppone resistenza e secondo, i bambini di oggi saranno gli adulti di domani e chi li ha veramente conquistati può credersi signore del futuro.”
Suonano doppiamente sinistre queste parole: per il tragico esito del programma educativo nazionalsocialista e per l’eco con cui risuonano nelle aule scolastiche in questi giorni di riapertura delle scuole.
È tristemente noto come le scuole, da quando esistono, siano state usate da ogni regime statuale come principale strumento di propaganda, con lo scopo essenziale di formare individui ad esso conformi e funzionali. E questo è accaduto in forme simili nelle dittature come, seppur con altri contenuti, nelle cosiddette democrazie.
Da sempre la scuola è stato lo strumento con cui il potere di turno ha cercato di costruire una nuova umanità a sua immagine e somiglianza. Nell’Argentina di Videla nelle scuole si veniva addestrati alla delazione verso i propri famigliari; nella Cambogia di Pol Pot i membri delle nuove generazioni, opportunamente indottrinati anche a spezzare i propri legami famigliari, vennero trasformati in spietati agenti della repressione.
Anche questo regime dittatoriale tecno-medico di nuova fattura non manca di vedere nella scuola una delle infrastrutture portanti nell’edificazione della sua nuova umanità.
Il motto Credere-Obbedire-Mascherarsi-Tracciarsi-Distanziarsi-Tamponarsi-Vaccinarsi ha bisogno di un luogo idoneo in cui mutarsi in ideologia interiorizzata.
E quale luogo può fungere a tale scopo meglio della scuola, detenendo essa il monopolio radicale non solo dell’apprendimento e della conoscenza, ma anche e soprattutto del tempo stesso di vita attiva delle nuove generazioni?
Ecco dunque l’istituzione scolastica tramutarsi in campo di addestramento per il nuovo regime di biosicurezza.
Come potranno ora i suoi democratici apologeti continuare a difenderla?
Di quale socializzazione si farà promotrice e di quale società si farà matrice una scuola fondata sul distanziamento?
Che tipo di umanità andrà formando una scuola che fonda la sua nuova pedagogia sulla paura del corpo dell’altro, ridotto simbolicamente ad arma biologica di massa?
Le file di bambini mascherati davanti alle scuole con le braccia tese a misurare la “distanza di sicurezza” dai compagni sono uno spettacolo osceno, degno del peggior regime totalitario.
Come ci ha ricordato Hitler “i bambini di oggi saranno gli adulti di domani e chi li ha veramente conquistati può credersi signore del futuro.”
Nella scuola fondata sul distanziamento si sta costruendo la società del futuro e quella che ad alcuni continua a sembrare un’eccezione sarà la normalità. A ben guardare lo è già. E non si può far finta di non vedere o volgere lo sguardo da un’altra parte. Dopo la segregazione forzata dei mesi scorsi continuano i crimini contro l’infanzia.
La propagandata riapertura delle scuole sta mostrando in questi giorni, oltre alla sua funzione di lungo periodo, anche una funzione di breve termine: quello di tenere viva un’emergenza che non c’è attraverso la giostra dei tamponi e delle quarantene.
Per questo è necessario disertare quell’infrequentabile campo di addestramento cui è stato ridotto la scuola e ricominciare a nominare quello che sembra essere diventato in questi tempi di “emergenza” un tabù: la disobbedienza civile.
È il momento di dire, (e ci sono persone, insegnanti e famiglie, che lo stanno facendo), come Bartleby, lo scrivano di Melville: avrei preferenza di no.
Se il corpo docente, in questi giorni posto davanti a una grande prova di adesione al nuovo regime, (essendo peraltro chiamato a svolgere mansioni non previste da secondini di una sorta di ospedale giudiziario), non riuscirà ad organizzare uno sciopero ad oltranza per ripristinare le già discutibili condizioni lavorative precedenti la dichiarazione dello stato di emergenza, è auspicabile che famiglie e studenti riusciranno a sottrarsi alla cattura totalitaria della nuova scuola.
In questo paese la frequenza scolastica non è obbligatoria per legge. L’istruzione lo è. Ed essa può avvenire legalmente fuori dalla scuola statale, in famiglia o in altri contesti extrascolastici.
“La scuola è morta” scriveva Everett Reimer ai tempi in cui insieme ad Ivan Illich parlava di descolarizzare la società. O forse è solo giunto il tempo di portare la scuola fuori dalla scuola, ovvero al suo significato originario di scholé: ozio, tempo libero da dedicare al piacere dello studio indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico. E chissà che così facendo non si rimuovano finalmente quegli ostacoli che impediscono un cambiamento radicale della società.
Intanto, per dare inizio a questo cambiamento, sottrarre i bambini e le bambine al duro addestramento di biosicurezza che li attende nelle scuole equivale a cercare di impedire ai “signori” del presente di divenire i “signori” incontrastati del futuro.
Bianca Bonavita
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