La schiavitù è quel sistema sociale ed economico basato sull’imposizione del diritto di proprietà, non su di un bene ma si di una persona, la quale è considerata a tutti gli effetti un oggetto facente parte del patrimonio del suo padrone. Nel passato gli schiavi conoscevano bene lo status della propria persona e ciò consentiva loro di aspirare ad un’eventuale liberazione. Oggi invece lo stato di schiavitù può nascondersi tra le pieghe di un ordinamento giuridico complesso, diversificato e estremamente capzioso che dona l’illusione della libertà quando in sostanza convalida il suo opposto, lo schiavismo implicito generale. Non stiamo parlando dunque di casi eccezionali, come i bambini o gli immigrati sfruttati, ma della regola formale che coinvolge tutti i cittadini di uno stato, che volontariamente anche se in maniera non consapevole, si sottomettono a questa condizione.

In pratica la questione basilare è quella dell’annullamento della sovranità della persona che, attraverso procedure ingannevoli, viene drasticamente limitata nel momento stesso in cui si entra a far parte del contesto sociale. Quando nasciamo la libertà sovrana, che secondo il diritto naturale qualifica ogni individuo su questo pianeta, ci verrebbe sottratta già con la firma che i genitori appongono per ottenere il certificato di nascita del loro bambino. Quel certificato non consiste in una semplice registrazione dell’evento della nascita, ma nella sottoscrizione di un contratto che consente allo Stato la costituzione di una personalità giuridica, attraverso l’imposizione di un nome commerciale del nuovo nato. A quel punto vengono a crearsi due entità differenti, una del soggetto in carne ed ossa, con piena sovranità e libertà, l’altra fittizia che ha valore giuridico ed è quindi limitata all’interno delle regole del sistema. Il nome commerciale del bambino sarà ciò che gli consentirà quando sarà maggiorenne di entrare ufficialmente nella società per avere rapporti con le altre personalità giuridiche. Senza quel nome non potrà fare niente.

Perché c’è bisogno di disporre di una personalità giuridica per interagire con le altre personalità giuridiche? E presto detto: un soggetto sovrano ha pieni poteri su stesso ed è responsabile al 100% delle proprie azioni. Una personalità giuridica non ha pieni poteri e quindi ha una responsabilità limitata all’interno del contesto giuridico. Quindi per stabilire un qualsiasi contratto c’è bisogno che tutti siano limitati allo stesso modo. Una personalità giuridica non può condurre affari con una personalità sovrana secondo il diritto naturale perché non condividono le stesse responsabilità. E’ ciò che approfondisce Victor Varjabedian in questa conferenza parlando delle origini della schiavitù moderna.

Se ci facciamo caso il nostro nome ufficiale è scritto sempre a lettere maiuscole, mai in minuscole. Possiamo verificarlo in tutti i documenti che abbiamo, c’è sempre il nostro nome in lettere maiuscole. Questo riflette ciò che il diritto romano definisce come capitis deminutio maxima, ovvero una diminuzione radicale dei diritti dal precedente status della persona. Il concetto è lo stesso che si applica quando in tribunale la prima cosa che ci viene chiesta è il nostro nome. Nel momento in cui accettiamo di essere identificati con quel nome e cognome, limitiamo i diritti sovrani dovuti al nostro essere in carne ed ossa ed entriamo nel contesto delle limitazioni dovute alla nostra personalità giuridica. In questo caso teoricamente il giudice non può procedere con l’udienza.

Nella pratica non è così semplice, perché occorre comprendere bene qual’è l’effettiva architettura che regge il sistema giuridico e comportarsi di conseguenza. E’ ciò che sta facendo il gruppo di attivisti guidato fra le altre dalle tesi di Frank O’Collins, che ha studiato in profondità quale sia la reale dinamica che interviene durante le udienze in tribunale. Egli arriva a concludere che secondo le leggi vigenti in realtà noi non siamo neanche considerati schiavi, ma semplice merce da gestire con le norme scritte dalle leggi vigenti in materia di commercio internazionale (UCC – Uniform Commercial Code). In tal senso la prigione non ha niente a che vedere con il tentativo di rieducare i condannati, cosa di cui ce ne eravamo ormai resi conto, ma semplici luoghi di stoccaggio, in cui si immagazzina per periodi più o meno lunghi la merce in attesa di sdoganamento.

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