Il tribunale di Brescia smonta l’accusa: mancano atti e disegni violenti. E il gip di Rovigo revoca i domiciliari a sei indagati

di Filippo Tosatto

 

04 maggio 2014

VENEZIA. Focolaio terrorista? No. Carnevalata? Neppure. In effetti, la sedicente «Alleanza» dei 24 secessionisti finiti in carcere il 2 aprile, perseguiva «un fine eversivo dell’ordine democratico e costituzionale», diretto a «scalfire l’unità dello Stato in violazione dell’art. 5 della Costituzione» e a «creare un nuovo Stato (in luogo della sopprimenda Regione Veneto) a regime, almeno provvisoriamente, autoritario», fondato cioè su «istituzioni di governo autoproclamate del tutto privo di legittimazione su base democratica». Ma non vi sono prove che tale piano sia stato accompagnato da gesti violenti, neppure potenziali: le azioni ventilate nei colloqui intercettati dai carabinieri del Ros – l’occupazione di piazza San Marco a bordo del tanko, l’appostamento di tiratori sui tetti di Venezia, l’acquisto di armi leggere all’estero, la presa di luoghi simbolici quali il torrione del castello di Brescia – si sono risolte in «vere e proprie millanterie», «spavalde idee senza seguito concreto», sostanzialmente prive di pericolosità. Persino l’irriducibile Luigi Faccia, che si proclama prigioniero di guerra, predicava la «superiorità dottrinale non violenta» ai sodali venetisti.

Sono le considerazioni che hanno indotto il Tribunale del Riesame di Brescia ad accogliere, sostanzialmente, le istanze difensive, rimettendo in libertà buona parte degli indagati (in primis l’ideologo della Liga Franco Rocchetta e il capo dei “forconi” Lucio Chiavegato) e concedendo i domiciliari agli altri. L’ordinanza risale al 15 aprile, le motivazioni – 66 pagine fitte di richiami istruttori e di citazioni tratte dalla Cassazione – sono appena state depositate dal collegio presieduto dal giudice Michele Mocciola. Il documento analizza minuziosamente il teorema d’accusa della Procura e ne respinge l’imputazione più grave, quella di associazione eversiva a scopo di terrorismo. Il piano separatista del gruppo manca dell’«intenzione di aggredire, ovvero di cagionare pregiudizi personali nei confronti di soggetti terzi»; rincorre obiettivi eclatanti e punta all’improbabile sollevazione delle masse nel Nord del Paese, escludendo però ogni orizzonte di lotta armata; ciò, secondo i magistrati del Riesame, ne vanifica il profilo terrorista e la stessa natura sovversiva. Perentoria la conclusione dei togati: c’è il rischio di «reprimere idee piuttosto che fatti» e lo spessore di questi ultimi non giustifica la detenzione degli indagati.

Un’impostazione garantista contestata dalla Procura bresciana (che annuncia ricorso) ma condivisa dal tribunale Rovigo, competente a procedere in quanto il giuramento indipendentista che sancì l’Alleanza nell’ottobre 2012 avvenne a Casale di Scodosia, lembo padovano che ricade nella sua giurisdizione; qui il gip Pietro Mondaini, su parere favorevole del pm, ha attenuato gli arresti domiciliari in obbligo di firma giornaliera per sei indagati: Flavio Contin, Michele Cattaneo, Stefano Ferrari, Tiziano Lanza, Corrado Turco e Luca Vangelista; quest’ultimo è difeso dagli avvocati Stefano Marchesini e Paola Ziviani, soddisfatti per la riconosciuta «assenza di pericolosità oggettiva» dell’assistito.

Resta il tanko blindato, ricavato da una pala meccanica dotata di una culatta di cannoncino artigianale con tre sacchetti di sfere d’acciaio da 22 mm quali munizionamento: le prove di sparo potranno stabilire se si tratta di arma da guerra o di arma comune da sparo: tuttavia, conclude l’ordinanza, il carro armato fai-da-te «non era destinato all’uso comune, ma solo ad emblema e simbolo dell’indipendenza veneta».

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