C’è da crederci.

Come gli unici e autentici paladini dell’indipendenza del Veneto, dopo essersi rifatto il trucco, ecco i soliti “venetisti” o italoveneti che fino all’altro ieri si sono inutilmente candidati alle elezioni politico/amministrative italiane.

Al Popolo Veneto viene propinato il referendum di plebiscito.eu come fosse la soluzione e non per ciò che è in realtà … un sondaggio.

Se tale operazione mediatica, costosissima, pianificata ed elaborata con l’aiuto sicuramente delle istituzioni italiane (come hanno fatto ad usufruire dei dati anagrafici dei cittadini???) se, come si diceva, tale operazione fosse stata realmente proposta per il sondaggio che è, l’avremo forse sostenuta tutti.

Ma essere chiari e trasparenti è un rischio che in politica è meglio non correre ed è meglio forzare il consenso popolare spacciando l’operazione facendo credere ai votanti che il loro SI o il NO possa determinarne o meno il cambiamento proposto.

Ma questa consultazione ha lo stesso valore di un miraggio.

Pensate ad una persona stremata ed assetata nel deserto alla quale si chiede se vuole un bel bicchiere d’acqua fresca che gli si fa vedere in una foto … ovvio che direbbe di si, ma quell’immagine non lo disseterebbe.

 

Il fatto poi che questa consultazione sia limitata alla regione veneto, espressione di un ente territoriale italiano, la dice lunga sulle vere intenzioni dei promotori …  perché la regione veneto non ha nulla ha a che vedere con la Repubblica Veneta i cui territori sono molto più vasti.

E’ evidente il compromesso che si tenta di nascondere con questa operazione, potere in cambio di una sovranità del Popolo Veneto limitata ad una parte dei propri territori.

Il ripristino di sovranità del Popolo Veneto su tutte le proprie terre sarebbe l’inevitabile fallimento del sistema italia e porterebbe sicuramente al ripristino di sovranità di altri territori di Nazioni ancora oggi occupate dallo stato straniero italiano, pensiamo ai territorio di Trieste, ai territori del Trentino e dell’ Alto Adige, alla Repubblica Ligure, alla Nazione Siciliana e a quella della Sardegna, alla Napolitania … e così via.

La dice lunga inoltre l’improprio accostamento mediatico che ancora una volta viene fatto tra il MLNV e la Polisia Veneta e “stranamente” tutto questo succede sempre in prossimità di tornate elettorali.

Ancora una volta i politicanti e caregari di turno cavalcano la falsa operazione politico/giudiziaria italiana scatenata contro il MLNV per autocelebrarsi e pronti a  “sacrificare” dei patrioti il cui percorso giuridico intrapreso da molto fastidio e deve essere da loro e solo da loro portato a termine … l’ambizione del potere è più forte dei doveri nei confronti della Serenissima Patria.

Non a caso questi falsi profeti parlano di costituzione di un governo provvisorio che, diversamente da come è stato costituito dal MLNV ai sensi e per gli effetti dell’art.96.3 del Primo Protocollo di Ginevra del 1977, non può essere costituito sulla base del consenso popolare perchè il diritto all’autodeterminazone non prevede quel tipo di percorso.

Strano a dirsi, ma ancora una volta l’italia sembra proprio perpetuare un falso plebiscito già estorto nel 1866 e che nonostante l’ovvio consenso popolare per lo stato straniero occupante non avrebbe alcun valore giuridico.

Non ci si libera da una tirannia per sottomettersi ad un’altra.

WSM

Venetia, 19 marzo 2014

Sergio Bortotto, Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.

La regione veneto non è occupata, è un ente amministrativo italiano.
Ancora non l’avete capito vero?
Che tutto serve per legittimare la regione, e quindi far passare l’idea che i Veneti non sono un Popolo, ma i residenti della regione veneto… non vi entra in testa, è un trucco palese che nessuno vede e che sarebbe una vittoria schiacciante per l’italia, perché riconoscere un suo ente amministrativo, nonché conferirgli una rappresentatività, farebbe finire tutto sotto giurisdizione italiana, e come ben sapete, la legge italiana non ammette, e questa volta la ragione sarebbe dalla sua parte, la secessione (quindi non la liberazione, applicabile solo al Popolo Veneto) di una sua porzione.
Esattamente come non lo farà la Spagna con la Catalogna, finché non cambieranno registro anche loro.
“I Veneti, a volte indicati anche come Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti per distinguerli dagli odierni abitanti del Veneto, erano una popolazione indoeuropea che si stanziò nell’Italia nord-orientale dopo la metà del II millennio a.C. e sviluppò una propria originale civiltà nel corso del millennio successivo.”
Lo spiega anche Wikipedia, ma per molti è un concetto inarrivabile…

Davide Giaretta, Vice Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio

Ecco l’articolo tratto da (CLICCA QUI):


Venezia lascia l’Italia la bolla (e balla) che sta contagiando i media stranieri

Bbc senza filtri, l’analisi del Daily Express, il Sunday morning ma nemmeno una riga sui giornali italiani

«Il Veneto vota per dividersi da Roma» ci informa la Bbc, la più autorevole tra le televisioni europee.
Il Daily Express, un secolo e spicci di storia del giornalismo britannico, nel titolo ci mette anche un tentativo di analisi politica: «Come il voto di Venezia può cambiare faccia all’Italia», sottotitolo guarda te «cosa succede al gioiello che per un millennio ha brillato nell’Adriatico come centro globale del commercio e incrocio di culture».
Il Sunday morning, in stile anglosassone tradizionale, resta sulla notizia: «Venice wants to leave Italy», Venezia vuole lasciare l’Italia.
Punto.
E i grandi giornali italiani?
A lunedì nemmeno una riga, scelta sottolineata dai venetisti come evidente tentativo di boicottaggio.
Colpa (anche) nostra, colpa di vent’anni di comunicati arrivati nelle redazioni e firmati da fantomatici ministri degli esteri, presidenti del consiglio, diplomatici di ogni ordine e grado che ci hanno relazionato su decreti e manovre di un Veneto indipendente che è sempre esistito.
Non in area parlamentare, ma nelle teste di movimenti locali che hanno preso zero virgola alle elezioni, separandosi e scontrandosi tra loro, fino ad arrivare alla polverizzazione e in qualche caso alla scissione dell’atomo.
Insomma, un po’ facevano sorridere e un po’ preoccupare quando un Jack Frusciante qualsiasi usciva improvvisamente dal gruppo e combinava guai: tipo fondare una «polisia veneta» con le armi, attualmente fascicolo d’inchiesta con otto rinvii a giudizio; tipo sparare a un direttore di banca per poi dichiararsi prigioniero politico.
Eventi che ci riportano ancor più indietro nel tempo, se non ai primi attentati ai tralicci degli indipendentisti, almeno all’assalto al campanile di San Marco dei Serenissimi.
Ma non sono questi i veri venetisti di oggi, sono piuttosto un agglomerato di movimenti pacifici.
Gli atomi si stano ricomponendo.
Attorno a questo referendum che di istituzionale non ha nulla si stanno addensando anche cellule e persino pezzi di tessuto.
Perché al di là del misunderstanding anglosassone – la balla-bolla mediatica pare si debba alla coincidenza del referendum in Crimea e a una serie di interviste che Lega e venetisti hanno concesso alla tivù russa quasi che il referendum digitale fosse davvero determinante – è anche vero che a forza di parlarne qualcosa potrebbe cambiare. Quelli che per vent’anni sono stati considerati deliri sono già argomento di dibattito politico in Consiglio regionale.
Con la Lega, il partito guida in Regione, che, mentre da un lato offre una copertura culturale ai movimenti e chiede il referendum, dall’altro si distingue asserendo di volerci arrivare nel rispetto delle leggi.
Le parole sono pietre scriveva Carlo Levi più di mezzo secolo fa, lasciano il segno.
Per ora hanno fatto un cumulo che si vede a distanza.
E a quanto pare qualcuno lo scambia già per montagna.

18 marzo 2014

Alessandro Baschieri


Altro articolo tratto da (CLICCA QUI) … e non mancano i pregiudizi sulla volontà del Popolo Veneto da parte degli italiani.

 

«Indipendenza, 700 mila voti»
Scontro sul referendum digitale
Pd, Forza Italia e Radicali: «Non è una cosa seria».

Finanziatori ignoti, a controllare misteriosi «osservatori internazionali»

 

VENEZIA
Il Veneto come la Catalogna, come la Scozia, come le Fiandre.
Come la Crimea.
Uno Stato indipendente e sovrano.
Serenissima Repubblica nel Terzo Millenio.
Una suggestione che mette radici nel protoleghismo degli anni Ottanta e, complici le dispute recenti tra Russia e Ucraina sulle rive del Mar Nero, arriva a far capolino sulle pagine del Los Angeles Time e del Guardian, del Daily Mail e del Sunday Express, perfino sugli schermi della Bbc.
Non è un caso che i membri di Plebiscito.eu facciano sfoggio della benedizione di Franco Rocchetta, il padre della Liga «madre di tutte le leghe»: il cordone ombelicale da lì parte, per arrivare sino all’oggi.
Sono loro ad aver allestito il primo referendum indipendentista della storia del Veneto, quello che si sta celebrando in queste ore (è iniziato domenica, terminerà venerdì sera) tra tastiere, cornette e seggi improvvisati.
Dicono di aver superato i 700 mila voti.
Un’enormità, se è vero.
E d’altronde la congiunzione astrale è irripetibile per gli irriducibili del leone di San Marco: il dibattito sul diritto all’autodeterminazione (animato nientemeno che dallo «zar» Vladimir Putin), l’imminenza del voto catalano (sarà il 25 novembre), i rinnovati aneliti secessionisti della Lega Nord in affanno elettorale, le spinte autonomiste cavalcate da Beppe Grillo (ricordate la mappetta sul blog con i granducati?).
E’ arrivato perfino l’appoggio (pro referendum, non pro indipendenza) di 185 Comuni… Il refrain sui «21 miliardi lasciati ogni anno dal Veneto a Roma», ai tempi della crisi nera, rischia di rivelarsi una tentazione irresistibile di fronte alla scheda virtuale costruita da Plebiscito. eu: «Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica federale indipendente e sovrana?».
Vinceranno i sì oppure i no?
E’ facile immaginarlo mentre è difficile crederci.
Certo è che Gianluca Busato, leader di Plebiscito.eu dopo essere passato per una moltitudine di movimenti venetisti (la litigiosità di questo pezzo di mondo è proverbiale e ne ha limitato ogni ambizione elettorale), ieri sembrava ad un passo dal colpaccio: «Stiamo andando benissimo.
La volontà del popolo veneto è inequivocabile, non potrà essere snobbata o sottovalutata».
Dal governatore Luca Zaia, innanzitutto: il principale rappresentante istituzionale del Veneto sta flirtando da settimane con gli indipendentisti (si dice stia allestendo una lista a tema in vista della sua ricandidatura nel 2015), forse convinto anche dalle spinte del segretario federale del Carroccio Matteo Salvini che sull’argomento sta costruendo tutta la campagna elettorale delle Europee (forse non è un caso che proprio nelle ex roccaforti padane di Vicenza e Treviso il referendum stia andando per la maggiore). «Appoggio qualunque iniziativa in tal senso – ha detto – ma non firmo nulla perché per me conta solo ciò di cui si discute in consiglio regionale.
Non illudo i veneti, parlo per atti formali».
Con ciò lasciando intendere di non aver votato online, mentre molti leghisti ieri facevano a gara ad esibire su Facebook l’immagine della schermata che conferma l’avvenuta partecipazione.
Ma a che punto sta «l’atto formale» di cui parla Zaia?
In realtà si tratta di due proposte di legge insabbiate da tempo in commissione Affari istituzionali.
La prima è l’ormai celeberrima legge presentata da Stefano Valdegamberi di Futuro Popolare, che se approvata dà automaticamente avvio all’iter di convocazione del referendum secessionista.
La seconda, dall’afflato meno rivoluzionario, è quella firmata da Costantino Toniolo, presidente della commissione in quota Ncd, che punta a chiedere ai veneti se vogliano o meno «più autonomia» da Roma. «Appena finita la sessione del bilancio – fa sapere Toniolo – si passerà alla discussione di queste proposte.
Potremmo anche scegliere di celebrare un unico referendum con due distinti quesiti sulla scheda: indipendenza o autonomia? ».
Gli indipendentisti non ci credono più di tanto (i precedenti rimasti nei cassetti di Palazzo Ferro Fini si sprecano) per cui si sono organizzati per conto loro, facendo leva sulle risorse della Rete con un escamotage suggerito dagli stessi costituzionalisti interpellati dal consiglio, che hanno già messo in guardia sul rischio scioglimento per attentanto alla Costituzione nel caso di un voto formale in aula.
Busato sa come fare: è titolare di un’impresa, Digitnut, che produce app per iPhone e iPad (anche il co-fondatore, Alessandro Giacomella, fa parte di Plebiscito.eu).
Ha messo in piedi la centrale operativa a Treviso, quella logistica a Padova ed il call center a Vedelago.
Quindi, grazie ad una capillare rete di 5 mila volontari, ha distribuito nella case di 3 milioni di veneti i codici necessari a votare online, via telefono o ai seggi allestiti grazie all’appoggio del Movimento 9 dicembre (i «forconi»).
C’è un notaio? «No, ci sono degli osservatori internazionali ».
E chi sono? «Li sveleremo insieme ai risultati, venerdì sera».
Chi paga l’iniziativa, a cominciare dai 3 milioni di lettere? «Sono 80 imprenditori. Alcuni noti (quelli che aderiscono all’associazione Veneto Business, spin off di Plebiscito.eu, ndr.) altri, i più generosi, preferiscono restare anonimi.
Temono “effetti collaterali” ».
La bontà del referendum, assicura Busato, sta nei codici e nei documenti d’identità richiesti, oltre che nelle batch notturne di verifica dati con il database delle anagrafiche elettorali. «Abbiamo già individuato 30 furbi » dice.
Tant’è, i dubbi restano molti, da destra a sinistra. «Abbiamo capito in tempi non sospetti che le primarie online non funzionano – dice il segretario del Pd, Roger De Menech – i controlli sono complicati e viene meno lo “sforzo fisico” che è la prova principale della volontà politica.
Mi pare una rappresentazione lontana dai fatti concreti chiesti dai nostri imprenditori e non vorrei che si volesse sostituire al centralismo romano un neo centralismo veneziano».
Franco Fois dei Radicali, massimi esperti in materia, stigmatizza «la moda di organizzare un referendum un giorno sì ed un altro anche» e avverte: «L’iniziativa degli indipendentisti può essere indicativa di una tendenza ma non ha alcun valore g i u r i d i c o . Ha l a s t e s s a attendibilità di un sondaggio online».
E mentre persino Flavio Tosi, segretario nathional della Lega, ammette trattarsi di «una provocazione nei confronti dello Stato centrale, un modo per smuovere il pantano a Roma ben sapendo che la Costituzione è chiara sull’indivisibilità della Repubblica », Elena Donazzan assessore regionale al Lavoro di Forza Italia, va giù piatta: «Vicende come questa sono un’affermazione di incapacità della politica, che invece di risolvere i problemi lancia proposte senza seguito.
Piuttosto mi interrogherei sul perché Trento e Bolzano, che sono quattro gatti rispetto a noi, riescono ad avere un peso politico a Roma inarrivabile per il Veneto.
Mentre noi stiamo qui a discutere di improbabili referendum, loro si fanno approvare in Finanziaria margini di autonomia sempre maggiori… ».
18 marzo 2014

tratto da: (clicca qui)

Tra un paio d’anni potrebbe crollare il nostro attuale sistema democratico, se il potere supremo dovesse passare direttamente alle grandi multunazionali grazie all’approvazione del  Ttip, il Trattato Transatlantico destinato a lasciare al business l’ultima parola su lavoro, salute, sicurezza alimentare, acqua e beni comuni. Su “Le Monde Diplomatique”, Ignacio Ramonet rilancia l’allarme: quel trattato super-segreto fa paura, perché rivela la volontà degli Usa di trascinare l’Europa nello scontro geopolitico con la Cina. Il vero obiettivo dell’Accordo Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, infatti, è fermare l’inesorabile avanzata di Pechino, che sta clamorosamente ridimensionando la leadership mondiale di Washington: tra una decina d’anni, al massimo, lo yuan potrebbe definitivamente scalzare il dollaro come valuta di scambio internazionale, mettendo fine a cent’anni di egemonia statunitense.

Lo scopo del trattato che Washington e Bruxelles stanno mettendo a punto, lontano dai riflettori e con “l’assistenza” di 600 super-lobbysti, è quello di creare la maggiore zona di libero scambio commerciale del pianeta, con circa 800 milioni di consumatori. L’area formata da Usa ed Europa rappresenta quasi la metà del prodotto interno lordo mondiale e un terzo del commercio mondiale. L’Ue è la principale economia del mondo, ricorda Ramonet in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”: i suoi 500 milioni di abitanti dispongono in media, pro capite, di 25.000 euro di entrate all’anno. «Ciò significa che l’Ue è il maggior mercato mondiale e il principale importatore di manufatti e di servizi, dispone del maggiore volume di investimenti all’estero ed è il principale ricettore planetario di investimenti stranieri». L’Unione Europea è anche il primo investitore negli Usa, la seconda destinazione dell’esportazione statunitense e il maggior mercato per l’esportazione statunitense di servizi.

La bilancia commerciale dei beni destina alla Ue un attivo di 76.300 milioni di euro; e quella dei servizi, un deficit di 3.400 milioni. Gli investimenti diretti dell’Ue negli Usa, viceversa, si aggirano sui 1.200 miliardi di euro. Washington e Bruxelles vorrebbero chiudere il trattato Ttip in meno di due anni, prima che scada il mandato del presidente Barack Obama. «Perché tanta fretta? Perché, per Washington, questo accordo ha un carattere geostrategico. Costituisce un’arma decisiva di fronte all’irresistibile crescita della potenza cinese», accompagnata da quella degli altri Brics, ovvero Brasile, Russia, India e Sudafrica. «Bisogna precisare che tra il 2000 e il 2008 il commercio internazionale della Cina si è più che quadruplicato: le sue esportazioni sono aumentate del 474% e le importazioni del 403%. Conseguenze? Gli Stati Uniti hanno perso la loro leadership come prima potenza commerciale del mondo che ostentavano da un secolo». Prima della crisi finanziaria del 2008, gli Usa erano il socio commerciale più importante per 127 Stati del mondo; la Cina lo era solo per 70 paesi. Questo bilancio si è invertito: oggi, la Cina è il socio commerciale più importante per 124 Stati, mentre gli Usa solo per 76.

«Pechino, al massimo in dieci anni, potrebbe fare della sua moneta, lo yuan, l’altra grande divisa dell’interscambio internazionale e minacciare la supremazia del dollaro», spiega Ramonet. «È anche sempre più chiaro che le esportazioni cinesi non sono solo più di bassa qualità a prezzi accessibili grazie alla sua manodopera conveniente. L’obiettivo di Pechino è alzare il livello tecnologico della sua produzione e dei suoi servizi per essere leader domani anche nei settori (informatica, finanza, aereonautica, telefonia, ecologia) che gli Usa e altre potenze tecnologiche occidentali pensavano di poter preservare». Per tutte queste ragioni, ed essenzialmente per evitare che la Cina diventi la prima potenza mondiale, Washington desidera «blindare grandi zone di libero scambio dove i prodotti di Pechino avrebbero difficile accesso». Lo si sta facendo anche nel Pacifico, con un trattato gemello come la Tpp, Trans-Pacific Partnership.

Tema cruciale, ma escluso dall’agenda-news dei grandi media: i cittadini “non devono sapere”, in modo che i tecnocrati di Bruxelles possano procedere indisturbati, cioè in modo opaco e non democratico, obbedendo ai “consigli” delle più grandi multinazionali del pianeta. Obiettivo finale: abbattere tutti i vincoli che oggi in Europa tutelano i consumatori, esponendo gli Stati al rischio di pesantissime penali – inflitte da tribunali speciali formati da legali d’affari – nel caso in cui le grandi compagnie accusassero i governi di “ostacolare il business” difendendo i lavoratori, l’ambiente, la salute pubblica, la sicurezza alimentare, la sopravvivenza di servizi non privatizzati. Pia Eberhardt, della Ong “Corporate Europe Observatory”, denuncia che i negoziati si sono tenuti senza alcuna trasparenza democratica: con la Commissione Europea solo impresari e lobby, esclusi tutti gli altri: giornalisti, ambientalisti, sindacati, organizzazioni per la difesa del consumatore. Un grande pericolo, denuncia Eberhardt, viene «dagli alimenti non sicuri importati dagli Usa, che potrebbero essere transgenici, o i polli disinfettati con cloro, procedimento proibito in Europa».

Altri critici temono le conseguenze del Ttip in materia di educazione e conoscenza scientifica, inclusi i diritti intellettuali. In questo senso, la Francia, per proteggere il suo importante settore audiovisivo, ha già imposto una “eccezione culturale”, in modo che l’industria della cultura francese sia esclusa dal trattato. «Varie organizzazioni sindacali – continua Ramonet – avvertono che, senza dubbio, l’Accordo Transatlantico sprofonderà nei tagli sociali, nella riduzione dei salari, e distruggerà l’impiego in diversi settori industriali (elettronica, comunicazione, attrezzature dei trasporti, metallurgia, carta, servizi per le imprese) e agrari (pastorizia, agrocombustibili, zucchero)». Gli ecologisti europei spiegano inoltre che il Ttip, eliminando il principio di precauzione, potrebbe facilitare l’eliminazione di normative per la difesa dell’ambiente o di sicurezza alimentare e sanitaria.

Alcune Ong ambientaliste temono che anche in Europa si incominci a introdurre il fracking, ossia l’uso di sostanze chimiche pericolose per le falde acquifere, per poter sfruttare il gas e il petrolio di scisto. Il maggior pericolo del Trattato Transatlantico resta il capitolo sulla “protezione degli investimenti”, che metterebbe fine alla residua sovranità degli Stati, costretti a piegarsi per non pagare sanzioni esorbitanti, inflitte per il “reato” di “limitazione dei profitti”. «Per il Ttip i cittadini non esistono», conclude l’analista di “Le Monde Diplomatique”: «Ci sono solo consumatori e questi appartengono alle imprese private che controllano i mercati. La sfida è immensa. La volontà civica di fermare il Ttip non deve essere da meno».

tratto da: (clicca qui)

 

 

 

Ci mancava solo quest’ennesima idiozia per distogliere l’attenzione dei sardi dall’unico vero percorso che ci porterà al ripristino della legalità sulla Nazione Sarda, quello che ci permetterà di riacquisire quella piena e totale sovranità che ci spetta per diritto.

Questo percorso si chiama “autodeterminazione” ed è quello che sta seguendo il MLNS e le Istituzioni di Governo Sardo Provvisorio, costituite sotto la sua egida, osservando fedelmente le norme del Diritto Internazionale.

Sergio PES (Presidente MLNS e GSP)

15 marzo 2014

Secondo voi l’Italia dovrebbe vendere la Sardegna alla Svizzera? Il quotidiano online Libero.it lancia una sorta di referendum sul quesito nato dal fantasioso progetto di secessione lanciato su facebook dal dentista cagliaritano Andrea Caruso che, in parole molto povere, indica nella Sardegna il possibile cantone marittimo della Svizzera. I media di mezza Europa hanno dato spazio alla notizia e da qui la moltiplicazione dei commenti sino ad arrivare al sondaggio on line.

Si sono occupati della provocazione nata a Cagliari non solo Berna e Ginevra ma anche Londra con la Bbc, Germania e Giappone.

Da evento volatile per social network, Sardegna Canton Marittimo si è trasformato in un caso dal taglio politico, sogno irrealizzabile ma proposta significativa, che a giudicare dalle adesioni e dall’entusiasmo diffuso nella rete conferma almeno come sardi e svizzeri non siano poi così lontani.

tratto da: (clicca qui)

 

14.mar 2014

Vladimir Putin viene messo a conoscenza del fatto che migliaia di operai, che non ricevevano stipendio da mesi, stanno per essere licenziati e la loro fabbrica chiusa da quegli stessi dirigenti che ne avevano tratto profitti milionari. (*le happy merchant*)

Il Presidente russo saputo della cosa va ad occuparsi personalmente della faccenda: convoca immediatamente Padroni e Oligarchi responsabili dell’ondata di licenziamenti, che con la loro avidità ed incompetenza, stavano per mandare in mezzo ad una strada migliaia di famiglie e li affronta uno per uno, facendogli un cazziatone memorabile!

Esigendo le loro dimissioni immediate e concludendo il discorso con la frase: “Il termine ultimo per il pagamento degli stipendi arretrati, È OGGI !”.

Nelle successive 4 ore vengono pagati 40 milioni di dollari di stipendi arretrati e gli unici licenziamenti sono quelli dei padroni.

tratto da: (clicca qui)

Cosa è cambiato ? Anche la UE esercita una dittatura !!!

venerdì 14 marzo 2014

La Spagna, sotto la spinta della Troika (FMI, Commissione Europea e BCE) ha implementato 3 importanti riforme del mercato del lavoro, presentate al pubblico come necessarie a ridurre il livello di disoccupazione scandalosamente alto: 25% in generale e 52% giovanile.

Ma la Spagna (e la Grecia) sono sempre in testa al campionato della disoccupazione. Fin dall’inizio della crisi, i governi, conservatori (PP) o socialisti (PSOE), hanno perseguito riforme volte a quella che chiamavano “deregolamentazione del mercato del lavoro” supponendo che il problema dell’alto tasso di disoccupazione fosse dovuto all’eccessiva rigidità del mercato di lavoro.

Hanno sostenuto che i sindacati hanno protetto troppo i lavoratori a tempo indeterminato, al punto da rendere troppo rischioso per i datori di lavoro assumere nuovi lavoratori. Di conseguenza, è stato detto da costoro, i datori di lavoro hanno paura di rimanere incastrati con i nuovi assunti senza essere in grado di licenziarli nuovamente quando il carico di lavoro diminuisce.

Questo assunto è diventato un dogma e, come tutti i dogmi, è stato sostenuto dalla fede, piuttosto che da prove scientifiche. Con un piglio chiaramente apostolico, il governo Zapatero (socialista) e il governo Rajoy (conservatore) hanno reso sempre più facile per i datori di lavoro licenziare i lavoratori. E infatti migliaia e migliaia di lavoratori sono stati licenziati. Ma i datori di lavoro non hanno assunto lavoratori allo stesso ritmo in cui licenziavano. I risultati sono chiari per tutti coloro che sono disposti a vedere la realtà per quello che è,  piuttosto che per ciò che essi credono che sia.

La disoccupazione, anziché diminuire, ha iniziato ad aumentare più rapidamente, guardacaso, rispetto a prima delle riforme. Ad esempio, dall’ultimo trimestre del 2011 al quarto trimestre del 2013, sono stati distrutti 1.049.300 posti di lavoro, con un aumento della disoccupazione di 622.700 persone. Il numero di disoccupati è ora di 6 milioni di persone, il 47% dei quali non ricevono alcuna assicurazione contro la disoccupazione (in parte a causa dei tagli a questo tipo di assicurazione che hanno accompagnato l’ultima riforma del mercato del lavoro).

Oltre alla crescita della disoccupazione, un’altra conseguenza della riforma è stato un rapido deterioramento delle condizioni di lavoro. Il lavoro precario (che i sindacati chiamano “lavoro di merda”) sta aumentando molto rapidamente. In realtà, la maggior parte dei nuovi posti di lavoro appartengono a questa categoria. Il 92% dei nuovi contratti sono lavori temporanei, con solo l’8% di contratti a tempo indeterminato. Un altro risultato delle riforme è stato l’allungamento del periodo di disoccupazione. Sei disoccupati su dieci sono stati senza lavoro per più di un anno, un’autentica tragedia. Un altro record nel campionato della disoccupazione (a pari merito con la Grecia).

Questi sono infatti i risultati prevedibili delle riforme così applaudite dalla Troika. Riforme presentate come necessarie per ridurre la disoccupazione. E, con grande cinismo, anche adesso esse sono presentate come necessarie per risolvere l’alto tasso di disoccupazione, anche se il loro fallimento è così evidente. Queste riforme hanno raggiunto l’opposto di quello che, in teoria, avrebbero dovuto ottenere.

Oggi, la Spagna ha una delle più grandi disuguaglianze nell’OCSE. Il 20% della popolazione con il più alto reddito (i super-ricchi, i ricchi, i benestanti, e le classi professionali) guadagnano sette volte di più del 20% con il reddito più basso (per lo più lavoratori non qualificati). In questo ultimo gruppo, per 2 milioni di famiglie non c’è nessuno che abbia un lavoro. E tra le persone occupate, quasi il 15% sono poveri, poiché il livello dei salari è così basso che non è sufficiente per farli uscire dalla povertà.

Ma dove il dramma appare con brutale intensità è tra i bambini. La povertà in questo gruppo (tre volte superiore alla media UE) sta aumentando rapidamente dal 2011, colpendone quasi il 30% (2.500.329 bambini vivono in famiglie in stato di povertà). Il numero totale dei bambini in Spagna è 8.362.305. La Spagna, che ha una delle spese familiari più basse nell’UE-15, ha visto una riduzione di questo parametro del 18%, in un momento in cui la necessità è estrema. Il 24% di questi bambini di famiglie povere non può mangiare frutta o verdura ogni giorno. Il 42% non può partecipare a eventi speciali fuori di casa, il 38% non può avere una dieta normale e così via.

Quello a cui stiamo assistendo in Spagna è un sogno per tutte le forze conservatrici (grandi imprese e banche) che sono state le forze dominanti dello stato spagnolo. Esse stanno realizzando quello che hanno sempre voluto: una riduzione dei salari, una forza lavoro molto spaventata, sindacati deboli e lo smantellamento dello stato sociale. E lo stanno facendo con la scusa che non c’è alternativa. Dicono perfino che a loro non piace fare le riforme, ma devono farle perché le autorità europee li costringono a farlo. Non stupisce perciò che la popolarità dell’Europa sta diminuendo rapidamente. L’82% degli spagnoli dice che questa Europa non gli piace. L’Europa, che per molti anni (specialmente durante la dittatura) è stata visto come un sogno (cioè un modello di democrazia e di benessere), ora è diventata un incubo.

Articolo scritto da Vicente Navarro (economista e docente universitario presso la Johns Hopkins University negli Stati Uniti e la Pompeu Fabra University di Barcellona, già consulente della Casa Bianca nel 1993) e tradotto da Voci dall’Estero – che ringraziamo.

Nota biografica.

Vicente Navarro, a political scientist and economist, is Professor of Public Policy at Pompeu Fabra University in Barcelona, Spain and also of Public Policy at Johns Hopkins University, Baltimore, Maryland, US. He has written extensively about the Spanish economy and its welfare state and about the current economic crisis. One of his books in Spanish, ‘Insufficient Welfare, Incomplete Democracy’, was awarded the Anagrama prize, equivalent to the Pulitzer Prize in Spain. His books have been translated into many different languages and he has been an advisor to many socialist governments in Europe and was a member of the White House task force on health care reform in 1993.

tratto da: (clicca qui)

mercoledì 12 marzo 2014

MOSCA – La Banca centrale russa ha ritirato gran parte dei suoi averi dalle banche americane. Miliardi di dollari sono stati trasferiti nelle banche europee.

Settimana scorsa la Banca centrale di Russia ha ritirato – ma la notizia è filtrata solo oggi – gran parte delle sue riserve depositate nelle banche americane per trasferirle in istituti finanziari europei. L’importo esatto della somma trasferita non è noto ma si tratterebbe di decine di miliardi di dollari. (fonti qualificate citano uan somma oscillante tra gli 80 e 150 miliardi di USD).

Questo movimento mostra che nel suo conflitto con il nuovo potere in Ucraina il presidente russo Vladimir Putin considera tutti gli scenari, incluso quello che vedrebbe il governo americano congelare gli averi russi depositati nelle banche negli Stati Uniti. 

Il segnale, comunque, è tutt’altro che tranquillizzante e dà l’idea che si stia preparado uno scontro tra Stati Uniti e Russia che non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda. 

tratto da: (clicca qui)