«Più il soldato era estraneo e magari perfino ostile rispetto all’ambiente nel quale espletava il suo servizio, più la sua fedeltà si indirizzava esclusivamente ai suoi superiori e meglio lo si poteva usare come strumento di repressione». Un tema che torna d’attualità oggi, nell’Europa travolta dalla crisi socio-economica e sull’orlo di rivolte. Per lo storico Franco Cardini, «siamo all’anno zero; e poiché siamo governati da anonimi poteri, è ovvio che il corpo di polizia sovranazionale serva ai loro interessi». A Cardini, intervistato da Alberto Melotto per “Megachip”, non sfugge il ricorso sistematico a nuove forme di repressione: dalla valle di Susa militarizzata alla Sicilia «ferita dal Muos», fino alla nuova inquietante gendarmeria europea, Eurogendfor. «Questa euro-milizia, che andrà ad incorporare in futuro la stessa Arma dei carabinieri, dovrà gestire crisi legate all’ordine pubblico», ricorda Melotto. «Si parla di un’immunità giudiziaria per gli appartenenti a questo corpo speciale di polizia: gli ufficiali di Eurogendfor non potranno essere intercettati dalle autorità giudiziarie dei singoli Stati».

È facile supporre che un simile marchingegno verrà impiegato in situazioni dove si verifica una forte protesta sociale contro decisioni inique dei governi, argomenta Melotto, ragionando con Cardini sulla recente ripubblicazione del volume “Quell’antica festa crudele”, un viaggio – prima edizione nei primi anni ‘80 – lungo i secoli che vanno dal medioevo alla Rivoluzione Francese. Guerra e pace: «La guerra che crea nuove classi sociali, sollecita spostamenti di popolazioni affamate in cerca di ingaggi mercenari e terrorizza plebi contadine», e la pace che, dpo l’anno mille, «diffonde il proprio messaggio esigente e chiede risposte adeguate, col formarsi di movimenti che pongono seri limiti alle guerre private». Guerre private, organizzate da élite? La certezza del diritto si incrina appena viene meno la sovranità statale: «La sovranità nazionale – dice Cardini – l’Italia non ce l’ha più da quando il sistema Usa-Nato è entrato potentemente nella penisola, innervandola con le sue basi militari senza che i nostri governi abbiano mosso un dito, anzi sulla base di un’evidente loro connivenza».

Cardini, osserva Melotto, nella sua analisi storica vuole «mettere l’accento su una civiltà che possedeva una forte consapevolezza di quel che significasse l’andare in battaglia, che trovava in sé gli anticorpi che potessero salvarla da un definitivo tracollo, da un totale cedimento alla barbarie del sangue versato». Consapevolezza che, secondo Cardini, risulta assente ingiustificata ai nostri giorni. Riproporre oggi “Quell’antica festa crudele”, infatti, «è utile per marcare la distanza che separa un periodo di impegno e di scontro culturale e politico dai nostri anni inconsapevoli». Se nei secoli passati la guerra poteva essere “umanizzata”, “razionalizzata” e quindi dominata, oggi «la mancanza di una morale condivisa nell’opinione pubblica pare far da preludio al trionfo delle guerre non più legate ai voleri degli Stati-nazione. Oggi, l’istituzione di una milizia come Eurogendfor fa pensare a un fronte di guerra interno: «È la prosecuzione della costruzione di Eurolandia a favore di chi la gestisce e ne ricava i frutti».

Non era meglio la leva obbligatoria? Un esercito difensivo, una forza di protezione civile? «Un esercito che nasca con i soli scopi difensivi e di aiuto alla popolazione civile non è un esercito», dice Cardini. «Quello di cui avremmo bisogno sarebbe un vero esercito europeo, non un’organizzazione di ascari al servizio della Nato. La leva obbligatoria non è più concepibile: il processo di destrutturazione della società civile italiana è andato ormai troppo oltre». Altro segnale allarmante: il movimento pacifista si è quasi dissolto. «Siamo nella fase delle operazioni di polizia internazionali, funzionali al governo delle lobbies multinazionali che sta sempre più governando il mondo intero, con alcune zone ancora poco chiare. Per esempio, dove va la Cina? Si adatterà a questo tipo di gioco, e in che modo?». Quest’anno ricorre l’anniversario dello scoppio della Grande Guerra: quanto vi era di consapevole, nei governanti dell’epoca, nella decisione di mandare al massacro i proletari d’Europa l’un contro l’altro? «Il punto – replica Cardini – non era massacrare i proletari, ma perseguire una politica di potenza: la Russia voleva raggiungere il Mediterraneo, la Francia vendicarsi dei tedeschi e recuperare le aree ferrifere e carbonifere dell’area renano-mosellana. Certo, la guerra era un diversivo rispetto all’affrontare la questione sociale».

La sinistra italiana, incarnata allora nel Partito Socialista – ricorda Melotto – fu l’unica in Europa a non chinare il capo alle intimidazioni del nazionalismo, diversamente da quanto fecero i socialisti francesi, che votarono i crediti di guerra dopo l’assassinio del loro dirigente Jean Jaurés. Non fu uno dei momenti più alti della storia del movimento operaio italiano? «Sì, e anche del mondo cattolico che in genere era nemico del conflitto», concorda Cardini. «Ma c’erano ormai larghe aree d’inquinamento nazionalista, tra i socialisti e tra i cattolici. Quanto all’interventismo rivoluzionario, che nasceva su altre basi, alla prova si rivelò un cavallo di Troia del nazionalismo». Oggi, la riflessione storica rischia di essere intorbidita: i «fanatici», decisi a «minimizzare le responsabilità dei nazisti» negando la tragedia della Shoah, finiscono col danneggiare anche «i ricercatori seri», che rivendicano il diritto di rivedere la storia, correggendo errori e mistificazioni. Cè poco da stare allegri: «Ci vorrebbe una Costituzione europea e una raggiunta maturità di coscienza appunto federale o confederale da parte dei popoli, che non c’è». C’è invece il dominio egemonico della Troika. «Chi lo ha voluto? Quali sono i suoi poteri? Chi li ha determinati? Una decisione di questo tipo non può esser presa nel totale silenzio dei governati».

tratto da: (clicca qui)

 

 

 

Questo è esattamente quello che succederebbe anche in Sardegna.

Lo stato straniero occupante italiano non prevede nemmeno costituzionalmente la possibilità che si possa ottenere l’indipendenza attraverso un percorso referendario. In ogni caso il successo di un referendum per l’indipendenza sarebbe subordinato alla decisione degli altri Stati Sovrani.

 Non si può sperare di ottenere la libertà del nostro popolo dalla colonizzazione straniera seguendo un percorso italiano, sia che questo sia referendario sia che segua una via elettorale nell’ambito delle istituzioni italiane.

L’INDIPENDENZA NON LA SI CHIEDE A NESSUNO….LA SI PRETENDE E LA SI ESERCITA !!!

Sergio PES (Presidente MLNS e GSP)

di SALVATORE ANTONACI

Non che ci sorprenda la cosa, ma ora il concetto è ribadito ufficialmente.  Il referendum sull’indipendenza della Catalogna e’ “illegale”.

Con queste parole il premier spagnolo, Mariano Rajoy, ha bocciato il ricorso alle urne deciso autonomamente dal governo catalano per il prossimo 9 novembre.

“Non avra’ luogo”, ha tuonato Rajoy nel suo discorso sullo stato della nazione in Parlamento, poiche’ “nessuno puo’ unilateralmente privare l’intero popolo spagnolo del diritto a decidere del proprio futuro”. L’iniziativa del mini-governo di Barcellona e’ stata annunciata lo scorso novembre e ha condotto a un braccio di ferro con Madrid.

Il braccio di ferro continua… si attende la replica da Barcellona.

tratto da: (clicca qui)

 

2014.02.25 – Preparativi di colpo di stato in Brasile

Posted by Presidenza on 25 Febbraio 2014
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Brasile, proteste a San Paolo contro Mondiali

Scontri tra manifestanti e polizia: cinque agenti feriti, due arresti e 230 fermi

Violenze, saccheggi, cinque poliziotti feriti; due arresti e 230 fermi. Una giornata di guerriglia urbana sabato a San Paolo, in Brasile, nell’ennesima protesta contro i Mondiali di calcio al via a giugno nel paese sudamericano.

Circa mille persone si erano radunate in serata nel centro città, per manifestare contro le spese, giudicate troppo alte, per i lavori agli impianti sportivi e la scarsa qualità dei servizi pubblici essenziali. Gli scontri sono cominciati quando la polizia ha cercato di disperdere la folla con lacrimogeni e bombe assordanti, e sono andati avanti per tutta la sera. Risultato: vetrine infrante e cassonetti bruciati.

I manifestanti accusano la polizia di essere intervenuta con durezza; la stampa brasiliana protesta perché tra i fermati ci sono diversi giornalisti, che però erano facilmente identificabili. Alla testa del corteo sono rispuntati i Black Bloc, vestiti di nero e a volto coperto.

 

Questo articolo del giugno corso trova conferma in una strana protesta. Secondo la disinformazione ufficiale i brasiliani stanno protestando perchè il governo spende troppi soldi per il calcio. Certo che come motivo potevano studiarlo meglio questi strateghi di disinformazione ed esperti di golpe.

I disordini della CIA in Brasile

22 giugno 2013

Arnold Schwarzenegger vuole i “disordini” della CIA in Brasile?

Beyonce vuole i “disordini” della CIA in Brasile?

Quanti milioni potrebbe aver speso la CIA per questa propaganda, con persone dall’accento statunitense?

Joe Biden era in Brasile alla fine di maggio 2013, preparava la strada ai disordini della CIA?

Cina e Stati Uniti sono in concorrenza sul Brasile: “La Cina e gli Stati Uniti si muovono verso l’America Latina nella speranza di guadagnare maggiore influenza geopolitica in una regione in forte espansione...”

Militari statunitensi in Brasile

L’economia del Brasile è la sesta più grande del mondo grazie al governo attuale. La povertà è stata notevolmente ridotta dal governo attuale. Nell’ultima elezione presidenziale, la candidata del Partito dei Lavoratori Dilma Rousseff, sostenuta da Lula, ha sconfitto quello del Partito socialdemocratico brasiliano José Serra. José Serra è filo-USA ed è fortemente anti-Iran, anti-Venezuela ed anti-Bolivia. Serra avrebbe ridotto la spesa per i programmi di istruzione, salute e lotta alla povertà. Nel caso dei massicci giacimenti di gas e petrolio del Brasile, Serra avrebbe aumentato il ruolo delle imprese private petrolifere straniere.
(Prof. James Petras, Global Research, 20 agosto 2010, Brazil and Venezuela: Two Turning Point Elections this Fall)

La Presidentessa Dilma Rousseff, leader del Partito dei   Lavoratori, o PT

“Il complesso sistema federale del Brasile rende difficile ai manifestanti riporre le proprie preoccupazioni sui trasporti pubblici o addirittura la brutalità della polizia, quando tali materie sono  responsabilità di Stati e Comuni. In più di un decennio di governo del PT, 40 milioni di persone sono salite alla classe medio-bassa, altri milioni studiano presso istituzioni terziarie, mentre la disoccupazione è scesa ai minimi storici. Gli ex poveri rivolgono la loro attenzione oltre la mera sopravvivenza, verso la qualità della vita.” (FT.com)

La presidentessa del Brasile Dilma Rousseff rompe il silenzio su disordini…

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

tratto da: (clicca qui)

 

 

 

 

2014.02.24 – Distruggere l’Ucraina: un piano da 5 miliardi di dollari

Posted by Presidenza on 24 Febbraio 2014
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L’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari «al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori). L’Ucraina potrà avere così “il futuro che merita”. Ma quale futuro merita l’Ucraina, gli ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l’Ucraina. Nell’indescrivibile clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l’ennesimo “dittatore sanguinario” della serie, è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini.

Nessuno ne contestò l’elezione quando sconfisse Viktor Yushenko, anche se fu un boccone amaro per chi di Yushenko aveva finanziato l’ascesa. E gli aveva perfino procurato la moglie. Pochi sanno che la seconda moglie di Yushenko si chiama Katerina Chumacenko, che veniva direttamente dal Dipartimento di Stato Usa (incaricata dei “diritti umani”). Ancora meno sanno che Katerina, prima di fare carriera a Washington, era stata uno dei membri più attivi e influenti dell’organizzazione neo-nazista Oun-B della sua città natale, Chicago. Oun-B sta per Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, di Stepan Bandera. L’Oun-B, tutt’altro che defunta, ha dato vita al Partito Svoboda, il cui slogan di battaglia è “l’Ucraina agli ucraini”, lo stesso che Bandera innalzava collaborando con Hitler durante la seconda guerra mondiale.

Del resto Katerina era stata leader del Comitato del Congresso ucraino, il cui ispiratore era Jaroslav Stetsko, braccio destro di Stepan Bandera. Che è come dire che il governo americano si era sposato con i nazisti ucraini emigrati negli Usa, prima di mettere Katerina nel letto di Yushenko. Anche di questo il mainstream non parla. Ma ho fatto questa digressione per dire che, certo, gli ucraini hanno tutto il diritto di essere scontenti, molto scontenti di Yanukovic. E di avere cambiato idea. Anche noi abbiamo tutto il diritto di essere scontenti di Napolitano o del governo, ma questo non significa che pensiamo sia giusto assaltare il Quirinale a colpi di bombe molotov prima e poi di fucili mitragliatori. Essenziale sarebbe stato tenere conto di questi dati di fatto. Ma il piano, di lunga data, degli Stati Uniti era quello di assorbire l’Ucraina nell’Occidente. Se possibile tutta intera.

Sentite cosa scriveva nel 1997 Zbignew Brzezinski, polacco: «Se Mosca ricupera il controllo sull’Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le grandi risorse, riprendendo il controllo sul Mar Nero, la Russia tornerà automaticamente in possesso dei mezzi necessari per ridiventare uno Stato imperiale». Ecco dunque il perché dei 5 miliardi di cui parla la Nuland. Caduto Yushenko, in questi anni decine di Ong, fondazioni, istituti di ricerca, università europee e americane, e canadesi, hanno invaso la vita politica dell’Ucraina. Qualche nome? Freedom House, National Democratic Institute, International Foundation for Electoral Systems, International Research and Exchanges Board. E, mentre si «faceva cultura», e si compravano tutte le più importanti catene televisive e radio del paese, una parte dei fondi servivano per finanziare le squadre paramilitari che vediamo in azione in piazza Maidan. Che, grazie a questi aiuti, si sono moltiplicate.

Adesso emerge il Pravij Sector (“Settore di destra” e “Spilna Prava”), ma il giornale polacco “Gazeta Wiborcza” ha parlato di squadre paramilitari polacche che agiscono a Maidan. E la piazza pullula di agenti dei servizi segreti occidentali: lo fanno in Siria, perché mai non dovrebbero farlo a Kiev? È perfino più facile: Yanukovic, dittatore sanguinario, appare più molle di Milosevic, altro strano dittatore sanguinario che si fece sconfiggere elettoralmente da Otpor (fondato e ampiamente finanziato dagli Usa). Tutto già visto. C’è solo un problema: Putin non è un pellegrino sprovveduto. È questo il popolo ucraino? Certo sono migliaia, anzi decine di migliaia, a mostrare il livello della rabbia popolare contro un regime inetto (non più inetto di quelli dei precedenti amici dell’Occidente, Kravchuk, Kuchma, Yushenko, Timoshenko), ma chi guida è chiaro perfino dalle immagini televisive. E questa è la ex Galizia, ex polacca, e la Transcarpazia. Se crolla Yanukovic e prendono il potere costoro, sarà una diaspora sanguinosa.

I primi ad andarsene saranno i russofoni dell’est e del nord, del Donbass dei minatori, che già stanno alzando le difese. E subito sarà la Crimea, che ha già detto quasi unanime che intende restare dalla parte della Russia, anche per tentare di salvarsi dalla furia antirussa di coloro che prenderanno il potere. È l’inizio delle secessioni, oggi perfino difficili da prevedere, dai contorni indefiniti, che produrranno non fronti militari ma selvagge rappresaglie all’interno di comunità che non saranno più solidali. L’Europa, fedele esecutrice dei piani di Washington, ha aperto il vaso di Pandora. Che adesso le esploderà tra le mani. I nuovi inquilini saranno di certo concordati (sempre che Putin abbia la garanzia che non sarà valicato il Rubicone dell’ingresso nella Nato), ma coloro che sono scesi in piazza armati hanno in testa un’idea di Europa molto diversa da quella che si figura Bruxelles.

E quelli in buona fede che sono andati dietro i neonazisti – e sono sicuramente tanti – si aspettano di entrare in Europa domani. E saranno tremendamente delusi quando dovranno cominciare a pagare, e non potranno comunque entrare, perché nei documenti di Vilnius questo non è previsto. L’unico tra i commentatori italiani che ha scritto alcune cose sensate è stato Romano Prodi, ma le ha scritte sull’“International New York Times”. Rivolto agli europei li ha invitati a non mettere nel mirino solo Yanukovic, bensì condannare anche i rivoltosi. E ha aggiunto: «Coinvolgere Putin», visto che tutte le parti hanno «molto da perdere e nulla da guadagnare da ulteriori violenze». Giusto ma ottimista. Chi ha preparato la cena adesso vuole mangiare e non si fermerà. E l’isteria antirussa è il miglior condimento per altre avventure.

(Giulietto Chiesa, “L’Occidente apre il vaso di Pandora”, da “Il Manifesto” del 21 febbraio 2014).

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