2016.12.16 – Il Regno Unito non potrà mai esaurire le sterline

Posted by Presidenza on 16 Dicembre 2016
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Un post sul Wall Street Journal affronta uno dei miti più duri a morire: quello secondo cui un paese sviluppato e con una propria valuta possa essere costretto, in qualche caso, a fare default. Il default non può avvenire (se non lo si decide deliberatamente), e nemmeno i rendimenti aumentano o i titoli si svalutano: è la moneta a farlo, e con le sue normali e fisiologiche oscillazioni rimette i mercati in equilibrio senza bisogno di traumi. Se vedendo svalutarsi la moneta qualcuno correrà a vendere i titoli, qualcun altro trovandoli a buon mercato correrà a comprarli.

 

 

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di Jon Sindreu, 31 ottobre 2016

Tra i fatti che ci mettono proprio un’eternità per essere capiti, eccone uno: i paesi che si indebitano nella propria valuta non saranno mai costretti a fare default sul debito.

Nei mesi appena trascorsi abbiamo avuto un’ulteriore prova di questo fatto. Quando il Regno Unito stava per votare nel referendum sulla propria appartenenza all’Unione europea, alcuni investitori e analisti hanno messo in guardia sul fatto che gli stranieri, spaventati, avrebbero potuto sbarazzarsi dei titoli del debito pubblico britannico, facendo così impennare i costi di finanziamento per il governo.

Avevano torto. Il giorno dopo la Brexit il valore di quei titoli è aumentato del 3,5 percento.

Di recente, una svendita dei titoli ha spinto molti — di nuovo — a sostenere che gli investitori stranieri stavano fuggendo dal paese. Dato che essi detengono circa un quarto del mercato attuale, perfino il Ministero del Tesoro britannico ha affermato che sarebbe stato un serio problema.

Ma i dati pubblicati lunedì mostrano che gli investitori non-residenti nel Regno Unito a settembre detenevano un valore netto totale di 13,2 miliardi di sterline in titoli, cioè il valore massimo da quasi un anno a questa parte. Nel corso di questo mese [ottobre], il valore dei titoli, che si muove in direzione opposta rispetto al valore dei rendimenti, è sceso di oltre il 5 percento.

Nel mese successivo al referendum le vendite nette ammontavano a soli 4,4 miliardi di sterline, un valore che sta assolutamente all’interno delle tipiche oscillazioni mensili.

È vero che quelli che hanno comprato i titoli a settembre ci hanno rimesso, a causa dell’ampia svendita che è avvenuta in ottobre — cosa di cui i nuovi dati riferiti a settembre non tengono conto. Ma non c’è nessun segnale del fatto che gli investitori stranieri siano in qualche modo preoccupati per i titoli del debito pubblico britannico dopo la Brexit.

Ma dunque, come sono variati gli asset britannici dopo lo shock della Brexit? Risposta: dato che la sterlina stessa si è svalutata, non ce n’è stato bisogno. Gli asset britannici sono diventati automaticamente più convenienti da comprare per gli stranieri, fornendo così un ammortizzatore per i mercati.

I dati mostrano che non c’è stato nessun particolare deflusso dalla Gran Bretagna — piuttosto, gli stranieri si sono limitati a ridefinire il valore della sterlina. Pertanto, anche se alcuni stranieri possono sbarazzarsi dei titoli, è improbabile che questi restino svalutati a lungo.

Ciò perché la Gran Bretagna è un paese sviluppato con mercati finanziari liquidi, che può emettere debito nella propria valuta. A differenza della Grecia o della Spagna, che possono certamente esaurire gli euro, la Gran Bretagna potrà sempre emettere le proprie sterline.

Inoltre non deve affrontare gli stessi problemi di molti paesi emergenti, che spesso si indebitano in valuta straniera perché non posseggono un sistema finanziario funzionale, o perché hanno governi instabili che decidono di dichiarare default per motivi politici.

Benché l’indipendenza delle banche centrali — una scelta che sono i paesi stessi a fare — venga spesso sottolineata come contro-argomento rispetto all’idea che i paesi che emettono la propria valuta non siano obbligati a fare default, le loro operazioni nei mercati valutari avvengono tramite titoli di stato, assicurando ai titoli pubblici un mercato liquido e stabile. Di fatto il ruolo delle banche centrali è sempre stato intimamente connesso alla gestione del debito pubblico.

I programmi di quantitative easing lo hanno reso ancora più evidente: la Banca d’Inghilterra possiede oggi più o meno un terzo del mercato dei circa 1.500 miliardi di sterline di titoli.

Anche nell’eurozona la Banca centrale europea ha mostrato di avere il potere di mettere fine alle svendite di titoli. Per decenni le agenzie di rating hanno ammonito sui pericoli del sempre crescente debito pubblico giapponese, eppure la compravendita di titoli pubblici giapponesi resta sempre a livelli record.

Nelle interviste ben pochi investitori hanno detto di avere avuto in mente il rischio di credito quando hanno deciso di vendere titoli il mese scorso — la loro preoccupazione era piuttosto che la caduta della sterlina avrebbe spinto la Banca d’Inghilterra ad una reazione eccessiva.

Dato che i titoli del debito pubblico sono sicuri tanto quanto il contante — se non di più — il loro valore dipende  principalmente dalle aspettative sulle azioni della banca centrale. È ora chiaro che il valore dei titoli del Regno Unito ha per lo più seguito quello dei titoli di altri paesi del mondo sviluppato, che si sono attestati a livelli massimi a causa della diffusa aspettativa che i decisori politici avrebbero fornito meno stimolo monetario da ora in avanti.

tratto da: (clicca qui)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2016.12.12 – Draghi: ora vi taglio i viveri, così imparate a votare No

Posted by Presidenza on 12 Dicembre 2016
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La popolazione, sempre più povera, esprime il suo rifiuto alla globalizzazione e le èlite criminali inaspriscono il loro bieco comportamento

 

«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, pronunciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».

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Mario Draghi

 

 

Si tratta di «un vero proprio disegno politico», contenuto nei dettagli operativi illustrati da Draghi nell’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce. Un evento solo in apparenza tecnico, avverte “Micromega”, in un’analisi firmata “Raro”. Draghi ha annunciato che l’autorità monetaria proseguirà il programma di acquisto di titoli pubblici, come tutti si aspettavano, oltre la scadenza inizialmente prevista per il marzo prossimo, «ma ha aggiunto un elemento di novità in cui pochi credevano: il flusso di liquidità con cui la banca centrale sta tenendo a bada gli spread inizierà a ridimensionarsi, già a partire da aprile». Ciò significa che «la Bce prefigura, per la prima volta, un progressivo alleggerimento dello stimolo monetario garantito da ormai due anni all’Eurozona». Ed è così che, «mentre politici e governanti europei vengono impietosamente travolti dall’onda anomala del populismo antisistema, l’autorità monetaria si profila come l’unica soggettività politica capace di elaborare una qualche forma di reazione della classe dirigente d’Europa».

Dopo due anni relativamente tranquilli, scrive “Micromega”, la progressiva riduzione del sostegno ai titoli di Stato «determinerà, nei prossimi mesi, una minore liquidità del debito pubblico europeo e non potrà che portare con sé un rialzo nei tassi di interesse pagati dai governi della periferia, a discapito della stabilità finanziaria». La Bce ha poi esteso il programma sia sul fronte delle scadenze, includendo titoli a più breve termine (fino ad un anno), che sul fronte dei tassi, rendendosi disponibile all’acquisto di titoli caratterizzati da un rendimento inferiore al già negativo tasso sui depositi presso la banca centrale. «Il significato di queste rifiniture del quantitative easing appare chiaro», osserva “Micromega”: «Dal momento che la stragrande maggioranza dei titoli pubblici con rendimenti negativi è ascrivibile alla Germania, e in particolare alle sue scadenze a breve termine, le modifiche apportate al programma di acquisti perseguono l’obiettivo di assicurare a Berlino una quota consistente della liquidità residua che arriverà nei prossimi mesi. Dunque, proprio mentre procede a ridurre la portata del suo supporto alla generalità dei debiti pubblici europei, l’autorità monetaria mette in chiaro che non sarà la Germania a soffrire di questa minore copertura».

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Draghi con Napolitano

 

Al contrario, come i movimenti di Borsa stanno segnalando in queste ore, si assiste già ad una contrazione del rendimento dei titoli tedeschi a fronte di un leggero rialzo di quelli italiani: «Si riaffaccia, in Europa, il fantasma dello spread, ovverosia l’ampliamento del divario tra il costo del debito pubblico dei paesi centrali e quello dei paesi periferici». Per “Micromega”, dunque, «inizia così ad emergere, dal complesso intreccio delle specifiche tecniche della manovra di politica monetaria appena varata, un dato politico». Corsi e ricorsi: fu proprio sulla scia di un repentino ampliamento degli spread che, ad Atene nel lontano 2009, «si è aperta per l’Europa la stagione dell’austerità». Una fase storica «caratterizzata dall’applicazione simultanea, nei principali paesi europei, del medesimo indirizzo politico: abbattimento dello stato sociale, contrazione dei diritti dei lavoratori e redistribuzione del reddito dai salari ai profitti». Un indirizzo politico che, «a dispetto del suo marcato carattere antipopolare», di fatto «non ha incontrato alcuna resistenza significativa per quasi cinque anni, grazie soprattutto al clima emergenziale imposto dai mercati attraverso la frusta dello spread».

Tuttavia, «gli esiti socialmente disastrosi di questa violenta accelerazione della globalizzazione hanno fatto maturare un rifiuto dell’austerità e delle sue istituzioni», che ha trovato espressione prima in Grecia, nell’estate 2015, dove l’ennesimo programma “lacrime e sangue” è stato rispedito (invano) al mittente con un referendum, poi in Gran Bretagna un anno dopo con la Brexit, e infine in Italia, con la recente bocciatura della riforma costituzionale promossa dal governo. «Dopo cinque lunghi anni di austerità – continua l’analista di “Micromega” – una borghesia impoverita e un esercito di venti milioni di disoccupati hanno iniziato ad alzare la voce: approfittando dei tre grandi referendum popolari, queste vittime del neoliberismo europeo hanno inferto tre durissimi colpi al progetto di integrazione europea». E attenzione: «È esattamente a questo punto della storia che interviene la mossa decisa da Draghi giovedì scorso: la stretta monetaria programmata per i prossimi mesi si configura come la prima, violenta risposta delle élite europee alla marea antisistema che le sta minacciando».

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Draghi e Schaeuble

 

Si tratta di una reazione che «rischia di compromettere la stabilità finanziaria dell’Europa», e proprio su questo punto «si misurerà l’intraprendenza della Bce». La stretta monetaria, infatti, «è pensata per aumentare il grado di esposizione dei governi alla disciplina dei mercati: tolta la protezione del quantitative easing, il debito pubblico dei paesi periferici tornerà ad essere pienamente vulnerabile ai venti della speculazione». Nei progetti dell’autorità monetaria, «la pressione esercitata dai mercati attraverso gli spread può riuscire laddove le regole, da Maastricht al Fiscal Compact, hanno fallito: costringere la periferia d’Europa sulla strada delle riforme e dell’austerità senza ulteriori esitazioni, e dunque senza quella prudenza che l’avanzata dei populismi sembra suggerire alla classe politica europeista». Nel promuovere l’austerità attraverso la disciplina degli spread, Draghi «si pone alla testa di quella classe politica e la trascina sul rischioso crinale dello scontro frontale con gli sconfitti della globalizzazione e le loro rivendicazioni». L’impatto, per “Micromega”, «potrebbe trascinare ancora più a fondo l’Europa».

tratto da: (clicca qui)

 

2016.12.08 – Il ParadisoTerrestre – 5° parte

Posted by Presidenza on 8 Dicembre 2016
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Foto della terra da internet

Dopo “La Grande Truffa” proponiamo un altro libro di Paolo Maleddu: IL PARADISO TERRESTRE.

In questa sua opera Paolo continua la sensibilizzazione su temi scottanti e semisconosciuti dalla popolazione:

Perché viviamo perennemente angosciati e pesantemente indebitati? E con chi ?

Ci verrà semplicemente dimostrato che viviamo vittime di pochi carnefici che con subdoli mezzi ci sottraggono il frutto di tutto il nostro lavoro e ci riducono in schiavitù.

Grazie Paolo

 

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Il Paradiso Terrestre

5° parte

 

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La Fed ha diversi modi di controllare l’ammontare totale di riserve nel sistema.

Uno è già stato menzionato, cioè il fatto che le Banche della Federal Reserve

possono prestare riserve alle banche commerciali private. Per fare ciò, la Banca

della Federal Reserve semplicemente fa una nuova annotazione nei suoi libri

contabili, sapendo che la banca che sta prendendo in prestito ha altri dollari nei

suoi conti presso la Banca della Federal Reserve (i suoi “conti di riserva”). Dal

momento che i suoi depositi presso una Banca della Federal Reserve sono

riserve legali per le banche private, le banche private possono quindi

espandere i loro prestiti di un multiplo dell’incremento dell’ammontare nel suo

conto presso la Fed. Quando la banca privata ripaga la Fed, lo farà “pagando”

riserve alla Fed, abbassando nuovamente il proprio saldo con la Fed. A questo

punto la banca privata potrebbe dover ridurre i suoi prestiti e abbassare

l’ammontare totale degli accrediti in conto corrente.

Lo strumento che la Fed usa più spesso per controllare l’offerta monetaria è ciò

che viene chiamato “operazioni di mercato aperto”, cioè comprare e vendere

obbligazioni del Governo degli Stati Uniti.

Quando la Fed acquista Titoli di Stato, paga con un assegno proprio. Quando

un compratore versa questo assegno nella sua banca, la banca lo presenta alla

Fed e riceve credito per lo stesso ammontare nel suo conto presso la Fed (il

suo “conto riserve”). Ma, naturalmente, il conto di una banca presso la Fed

costituisce la sua riserva legale, e una volta che ha un nuovo credito presso la

Fed può espandere i propri prestiti di un multiplo di quel nuovo credito.

Quindi, quando la Fed compra Titoli di Stato, incrementa la capacità del

sistema bancario di aumentare l’offerta monetaria.

Se la Fed vende Buoni del Tesoro, le banche pagano la Fed diminuendo le loro

riserve. Sono allora obbligate a richiamare i prestiti sino a ridurre l’ammontare

totale della loro esposizione alla cifra che il più basso livello di riserve legali

può coprire.

Così è come la Federal Reserve aiuta a ridurre o aumentare l’offerta monetaria.

La Federal Reserve permette che le banche decidano che quantità delle loro

riserve tenere sottoforma di contante nei loro stessi caveaux sotterranei e che

parte tenere in scritture contabili presso la Fed. Se le banche iniziano a

chiedere più valuta contante, la Fed ne farà stampare di più. La banca paga la

valuta contante abbassando le sue riserve presso la Fed.

Comunque, il contante tenuto in banca e il conto corrente presso la Fed

fungono ugualmente come riserva legale. È con l’incremento dell’ammontare

totale delle riserve, i conti presso la Fed assieme al contante in banca, che la

Fed incrementa l’offerta monetaria. Qualitativamente, il passo più importante

per l’aumento dell’offerta monetaria è l’incremento di prestiti e giacenze in

conti correnti nelle banche private; gli aumenti in cartamoneta in confronto

sono minimi. La gente parla ancora della “Fed che mette in moto le stampanti”,

ma è solo un modo di dire in riferimento alle più complicate transazioni che in

realtà si svolgono.

Le dodici Banche della Federal Reserve non sono obbligate ad avere dei beni a

garanzia delle loro passività contabili. Sono tenute ad avere degli attivi a

copertura delle passività uguali in valore all’ammontare delle banconote in

circolazione (12 U.S.C. $12). Garanzie ammissibili includono certificati di oro,

certificati di Diritti Speciali di Prelievo, Titoli di Stato Usa e documentazione

commerciale ricevuta come garanzia su prestiti. Comunque, le banconote della

Federal Reserve non sono rimborsabili solo in monete metalliche degli Stati

Uniti o in altra valuta degli Stati Uniti.

Le banconote della Federal Reserve sono moneta a corso forzoso (31 U.S.C.

392). Sono emesse dalle dodici Banche della Federal Reserve ai sensi della

sezione 16 del Federal Reserve Act del 1913 (12 U:S:C: 411). Una banca

commerciale che appartenga alla Federal Reserve System può avere banconote

della Federal Reserve dalla Banca Federal Reserve del suo distretto

ogniqualvolta lo desideri, ma deve pagarle per intero, dollaro su dollaro,

diminuendo il saldo dei suoi conti presso la Banca Federal Reserve del suo

distretto.

La Banca Federal Reserve a sua volta riceve le banconote dal Bureau of Engraving and Printing

del Ministero del Tesoro degli Stati Uniti. Paga al Bureau il costo della stampa delle banconote.

Le banconote della Federal Reserve diventano allora passività delle dodici Banche della Federal

Reserve. Dal momento che le banconote costituiscono delle passività della Federal Reserve, la

Banca emittente annota sia una passività che un attivo quando riceve le banconote dal Bureau

of Engraving and Printing, ed in tal modo non contabilizza nessun guadagno come risultato

della transazione.

Oltre ad essere passività delle Banche Federal Reserve, le banconote della

Federal Reserve sono obbligazioni del Governo degli Stati Uniti (12 U.S.C.

411). Il Congresso ha specificato che una Banca della Federal Reserve deve

avere garanzie reali (principalmente certificati d’oro e titoli di Stato degli Stati

Uniti) uguali in valore alle banconote della Federal Reserve che riceve (12

U.S.C. 412). Il proposito di questa paragrafo, inizialmente entrato in vigore nel

1913, era di fornire una copertura per l’emissione delle banconote. L’idea era

che qualora la Federal Reserve System si dovesse dissolvere, gli Stati Uniti si

farebbero carico delle banconote (passività) soddisfacendo così le prescrizioni

del paragrafo 411, ma rileverebbe pure gli attivi, che sarebbero dello stesso

ammontare. Le banconote sono una prima ipoteca su tutti i beni delle Banche

della Federal Reserve, così come sulle garanzie appositamente messe a

copertura (12 U.S.S. 412).

 

Le banconote della Federal Reserve non sono rimborsabili in oro o argento o

altre merci. Non sono rimborsabili dal 1933. Non sono rimborsabili nel senso

che le banconote della Federal Reserve non hanno goduto di nessuna copertura

sin dal 1933. Hanno valore non per sé stesse, ma per ciò che possono comprare. In altre

parole, essendo moneta legale a corso forzoso, le banconote

della Federal Reserve sono “coperte” da tutti i beni e servizi esistenti

nell’economia.

Sia i biglietti degli Stati Uniti che quelli della Federal Reserve sono parte della

nostra valuta nazionale e sono moneta legale a corso forzoso; circolano come

denaro allo stesso modo.

Però, l’autorità sotto la quale sono emessi viene da statuti differenti.

Le banconote degli Stati Uniti erano autorizzate dal Legal Tender Act del 1862,

mentre quelle della Federal Reserve sono state autorizzate dal Federal Reserve

Act del 1913. I biglietti degli Stati Uniti sono emessi direttamente dal Tesoro

degli Stati Uniti e sono obbligazioni degli Stati Uniti. I biglietti della Federal

Reserve sono emessi dalla Federal Reserve System e sono obbligazioni sia della Federal

Reserve System che del Governo degli Stati Uniti.

I biglietti degli Stati Uniti sono stati emessi in principio durante la Guerra

Civile. L’ammontare totale che può essere emesso si limita a trecento milioni di

dollari. Mentre poteva essere una cifra rilevante ai tempi della Guerra Civile,

costituisce oggi una piccola frazione del contante totale in circolazione negli

Stati Uniti. Al 31 di marzo del 1982, la valuta statunitense in circolazione era

128.853 milioni di dollari, di cui 305 milioni di dollari era in biglietti degli Stati

Uniti. La banconota degli Stati Uniti viene emessa solo al valore nominale di

100 dollari, sebbene in passato sia stata emessa in minori valori nominali.

In generale “moneta legale” vuol dire la stessa cosa che “moneta a corso

forzoso” (Black’s Law Dictionary, 4th ed. 1968, p.1032), ma 12 U.S.C. è un

eccezione.

Il paragrafo 151 e 152 del codice del Titolo 12 riguarda le banche nazionali

dell’oro, chiamate associazione (i) istituita per emettere monete d’oro” nel

paragrafo del codice. Per poter spiegare perché il termine “moneta legale” sia

stato usato nel paragrafo 152, è necessario esaminare brevemente la storia

delle banconote private.

Nel 1300, le banche commerciali private emettevano banconote che venivano

utilizzate come denaro. In altre parole, le banconote erano cartamoneta

emessa privatamente. Non c’era niente di illegale nel loro uso, ma d’altro canto

nessuna legge obbligava ad accettarle. Pertanto, non erano considerate

“moneta legale”. Il termine “moneta legale” era riservato al denaro che la legge obbligava la

gente ad accettare, per esempio, valuta a corso forzoso.

Le leggi nazionali che regolamentano le banche nazionali, come pure la

maggior parte delle leggi statali che regolano le banche statali, richiedevano

alle banche di essere pronte a cambiare le loro banconote con “moneta legale”.

Dopo che gli Stati Uniti incominciarono ad emettere cartamoneta, in seguito al

passaggio del Legal Tender Act del 25 Febbraio 1862, 12 Stat. 345, ciò

significava che le banche private potevano cambiare le loro banconote con

monete metalliche degli Stati Uniti o con banconote degli Stati Uniti.

Il National Bank Act di Giugno 1864, 13 Stat. 345, obbligava le banche

nazionali a cambiare le loro banconote con “moneta legale”. National Bank Act

del 3 Giugno 1864, Sezione 46, 13 Stat. 113. Le Banche Nazionali erano tenute

a conservare riserve in moneta legale in una quantità uguale al 35% del totale

dei loro depositi in conto corrente e banconote. National Bank Act del 3 Giugno

1864, Sezione 3113 Stat. 108. Gli era concesso emettere banconote in

quantità che non eccedessero il 90% dei Titoli di Stato degli Stati Uniti

registrati in loro possesso. National Bank Act del 3 Giugno 1864, Sezione 21,

13 Stat. 105. Banche Nazionali erano state fondate in gran parte del paese

dopo l’entrata in vigore del National Bank Act. Comunque, in California la

maggior parte della gente preferiva trattare in oro piuttosto che in banconote,

e nessuna banca nazionale era stata aperta là sino al 1870. Il Congresso

aveva allora emendato il National Bank Act per permettere altri tipi di banche,

che avrebbero cambiato le loro banconote solo in monete d’oro, piuttosto che

in monete e in cartamoneta. Atto del 12 Luglio 1870, 16 Stat. 251 e 252. Si

pensava che tali banconote sarebbero state ritenute più accettabili dai

Californiani. L’emendamento precisava gli speciali requisiti delle banche

dell’oro, soprattutto rimborsabilità dei biglietti in monete d’oro, obbligo di una

riserva in oro o argento uguale al 25% dell’emissione di biglietti, e un limite

sull’ammontare dell’emissione delle banconote dell’80% della quantità di

obbligazioni degli Stati Uniti registrate in possesso della banca emittente. Atto

del Luglio 1870, sezioni 3 e 4, 16 Stat. 252. L’emendamento stabiliva inoltre

che il National Bank Act regolamentasse le funzioni delle banche dell’oro, ma

che nell’applicare quell’atto alle banche dell’oro, il termine “moneta legale” e

“moneta legale degli Stati Uniti” venisse intesa e continuasse a significare

monete metalliche d’oro o argento degli Stati Uniti. Atto del 12 Luglio 1870,

Sezione 5, 16 Stat. 253. E l’ultima clausola codificata nel 12 USC 152. La

clausola dovette essere aggiunta per maggior chiarezza. Altrimenti, l’Atto del

del 12 Luglio 1870, obbligherebbe le banche dell’oro a pagare i loro biglietti in

monete d’oro o d’argento e il National Bank Act permetterebbe loro di pagare i

loro biglietti in “moneta legale” includendo cartamoneta e tenere riserve in

cartamoneta.

Oggi non esiste nessuna banca dell’oro. Sarebbe impossibile metterne una in

piedi per due ragioni. Primo, solo obbligazioni “col privilegio della circolazione”

possono essere registrate ed usate per soddisfare l’obbligo per le banche

dell’oro di possedere Titoli di Stato, e gli Stati Uniti hanno cessato di emettere

obbligazioni col privilegio della circolazione. Sec 31 USC 753c, 31 USC 752c

(d). 37 USC 757c-2 31 USC 758. Gli ultimi Titoli di Stato che potevano circolare sono maturati

nel 1935. (Questo è il motivo per il quale le banche nazionali oggi non emettono banconote.)

In secondo luogo, gli Stati Uniti non coniano più monete d’oro.

La maggior parte di coloro che scrivono di questioni riguardanti il termine

“moneta legale” sono interessati nella sua rilevanza nell’emissione della valuta

degli Stati Uniti. Il paragrafo 152 del Titolo 12 del United States Code riguarda

solo le banche dell’oro nazionali, e non ha pertanto nessuna rilevanza per

l’emissione della valuta da parte degli Stati Uniti.

Il termine “moneta legale” ha comunque una certa importanza nella storia

della valuta degli Stati Uniti. Quando i biglietti della Federal Reserve erano

inizialmente emessi secondo la Sezione 16 del Federal Reserve Act del 1913,

12 USC 411, 38 Stat.265, non erano valuta a corso forzoso. Pertanto, non

erano “moneta legale”, sebbene, come le banconote private erano

perfettamente legali, naturalmente. Nonostante le banconote della Federal

Reserve non fossero esse stesse moneta legale, erano pagabili in oro e moneta

legale (per esempio, biglietti degli Stati Uniti e monete metalliche) sino al

  1. Federal Reserve Act del 1913, sezione 16, 12 USC 411, 38 Stat. 265.

Nel 1933, i biglietti della Federal Reserve furono dichiarati valuta a corso

forzoso. Sec. 31 USC 392, che era stata adottata nel 1965 per rimpiazzare 33

USC 462, entrata in vigore nel 1933. Da quel momento i biglietti della Federal

Reserve, così come tutta l’altra valuta e monete degli Stati Uniti, sono “moneta

legale”.

Nel 1934, 32 USC 411 è stato emendato per cancellare l’obbligo che i biglietti

della Federal Reserve siano rimborsabili in oro. Gold Reserve Act del 1934,

40 Stat. 337.

Le banconote del Tesoro sono obbligazioni emesse dal Ministero del Tesoro che

maturano in un anno o meno dall’emissione. Questi biglietti non sono gravati

da interesse: vengono emessi con lo sconto sul loro valore nominale e

rimborsati dal Tesoro alla maturazione per il loro intero valore nominale.

Lei potrebbe essere interessato nell’accluso argomento sulla definizione di

“moneta”.

Spero che queste informazioni le siano utili.

Cordialmente,

Russel L. Munk

Assistant General Counse

(International Affairs)

Ancora una volta, sono gli stessi addetti ai lavori che dall’interno ci forniscono

le informazioni più preziose per squarciare questo velo di omertà che avvolge

la grande truffa dell’emissione monetaria come debito.

continua…

 

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Paolo Maleddu

 

Il Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu/Guvernu Sardu Provvisoriu, rappresentato dal suo Capo Dip. Esteri Enrico Attilio Deliperi, si unisce al cordoglio del Popolo Cubano e presso l’Ambasciata di Cuba a Roma  rende omaggio alla memoria del Comandante Fidel Castro Ruz.

Hasta siempre Comandante !

 

 

 

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2016.11.29 – Bombe a Vittorio Veneto, retata in corso tra indipendentisti

Posted by Presidenza on 29 Novembre 2016
Posted in articoli 

Piena solidarietà agli amici del CLNV a cui cercano di attribuire un atto compiuto probabilmente dai vigliacchi servizi italiani

 

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tratto da: (clicca qui)

2016.11.27 – Serve una rivoluzione: non pagare le tasse, non votare più

Posted by Presidenza on 27 Novembre 2016
Posted in articoli 

Se lo facessimo in Sardegna, cosa che predichiamo da anni, saremmo già liberi dalla colonizzazione italiana. Purtroppo ci sono ancora tanti ostinati che continuano a credere che le tasse servono per garantirci i servizi, ignorando che uno Stato sovrano, che batte moneta sovrana, non ha necessità di far pagare le tasse ai cittadini per garantire i servizi. Le tasse sono sempre state una volgarissima truffa. Per non parlare poi delle elezioni dello Stato italiano; non sono le nostre! Quindi andando a votare non facciamo altro che legittimarle accettando la sudditanza.

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Renzi è spacciato, perché ormai è solo. E’ completamente isolato, perché nessuno si fida più di lui: «Persino tra gangster, lo sgarro è un’infrazione grave. E Renzi non ha mai mantenuto la parola data. Lo stesso Napolitano, suo garante internazionale, non se l’è sentita di fargli da garante massonico: in massoneria, Renzi non lo fanno entrare. E il suo isolamento è ormai percepito da tutti». Questo, politicamente, fa di lui un “morto che cammina”, comunque vada il referendum: «Anche se dovesse vincere, cosa improbabile, resterà solo. E se sei isolato, dove vai?». Così l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” a una settimana dal voto che rischia di rivelarsi un referendum su Renzi, anziché sul futuro dell’Italia, in ogni caso vincolata ai diktat di Bruxelles. Per Carpeoro, non cambierà niente: «L’unico modo per non accettare cosa dice l’Europa è prendere una posizione eversiva e rivoluzionaria». Ovvero: «Non pagare più le tasse per un anno, non andare più a votare in massa, mettendo questi politici nudi di fronte alle loro responsabilità».

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Gianfranco Carpeoro

 

 

Carpeoro esprime un giudizio nettissimo: il referendum è solo «lo strumento per fare fuori Renzi, anche se questo non è nemmeno onestamente dichiarato». Ma un sostituto già pronto «ancora non c’è, nemmeno il grillino Di Maio». E che c’entra, tutto questo, con l’avvenire del paese? «Nulla. Gli italiani si riempiono la bocca della Costituzione, della democrazia. Ma, se vai a vedere la sostanza, in Italia già da anni non c’è democrazia». Si dice che se vincesse il Sì saremmo costretti a subire la “dittatura” dell’Ue? «Ma perché, negli ultimi dieci anni cosa è successo, col vecchio sistema?». L’Italia bicamerale ha sottoscritto al 100% tutte le volontà dell’Unione Europea. Per questo, Carpeoro scommette che il voto del 4 dicembre non cambierà assolutamente niente: al limite, accelererà la fine politica di Renzi – irrilevante, per la comunità nazionale, vista l’assenza di vere alternative politiche. L’unico piano-B davvero democratico? Una scelta «eversiva e rivoluzionaria», di ribellione sistemica. «E le posizioni eversive e rivoluzionarie non c’entrano nulla con le leggi. Quando uno deve fare eversione e rivoluzione, non si può preoccupare di che legge elettorale ha, o di com’è fatta la Costituzione – tanto, comunque, uno Stato che fa una rivoluzione, la Costituzione poi se la cambia».

Certo, «le rivoluzioni possono essere violente o meno, delicate o dalle tinte forti – e io sono contro la violenza», sottolinea Carpeoro. Ma, aggiunge, «penso che gli italiani possano dare uno scossone forte a questo sistema solo con atti realmente rivoluzionari», come appunto il boicottaggio fiscale dimostrativo e l’astensionismo di massa dichiarato. «Io sono su questa posizione, una posizione che metta gravemente in discussione l’equilibrio, il futuro e le capacità dell’Italia. Evitiamo i pannicelli caldi, il dire “resta la vecchia Costituzione, o arriva quella nuova”: cosa vuoi che cambi?». Non è stata certo la Costituzione vigente a mettere l’Italia al riparo dal massacro sociale dell’austerity indotta dall’Ue e dall’Eurozona. Dunque, perché insistere su temi come «il bicameralismo perfetto o imperfetto, la nomina dei senatori?». Una presa di posizione estremamente esplicita: «Basta, non voglio essere coinvolto in questa pantomima che serve solo per capire chi si siede sulla sedia più bella», conclude Carpeoro. «L’Italia politica di questo tipo è finita. Poi magari la gente ne prenderà atto tra dieci anni, ma è già finita adesso».

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