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Quando si incontreranno martedì al palazzo Ducale di Venezia, Matteo Renzi e François Hollande guardandosi negli occhi dovrebbero farsi una domanda: per quali ragioni facciamo la guerra in Libia?
La risposta più ovvia – il Califfato – è quella di comodo. La guerra di Libia è partita nel 2011 con un intervento francese, britannico e americano che con la fine di Gheddafi è diventato conflitto tra le tribù, le milizie e dentro l’Islam, che però è sempre rimasto una guerra di interessi geopolitici ed economici. L’esito non è stato l’avvento della democrazia ma è sintetizzato in un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, adesso è uno stato fallito.
La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.
Qui si possono liberare alcune delle più importanti risorse dell’Africa: il 38% del petrolio del continente, l’11% dei consumi europei. È un greggio di qualità, a basso costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra. In questo momento a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare.
Per loro, anche se l’Italia ha perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve” essere così: per questo l’ambasciatore Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia, sottolinea la nostra irrilevanza.
La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica – dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi – gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.
Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. Al Sisi considera la Cirenaica una storica provincia egiziana, alla stregua di re Faruk che la reclamava nel 1943 a Churchill: «Non mi risulta», fu allora la secca risposta del premier britannico. Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.
Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica.
Ai libici, divisi e frammentati, messi insieme in un finto governo di “non unità nazionale”, il piano non piacerà perché hanno fatto la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela. E insieme ai litigi libici ci sono le trame delle potenze arabe e musulmane. Sono “i pompieri incendiari” che sponsorizzano le loro fazioni favorite: l’Egitto manovra il generale Khalifa Haftar, il Qatar seduce con dollari sonanti gli islamisti radicali a Tripoli, gli Emirati si sono comprati il precedente mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; senza contare la Turchia, che dalla Siria ha rispedito i jihadisti libici a fare la guerra santa nella Sirte.
La lotta al Califfato è solo un aspetto del conflitto, anzi l’Isis si è inserito proprio quando si infiammava la guerra per il petrolio. Ma gli interessi occidentali, mascherati da obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio quando il presidente francese Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total. È così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi.

di Alberto Negri

tratto da: (clicca qui)

Questo è l’ennesimo CRIMINE che l’Unione Europea e il Governo italiano compiono ai danni della povera gente e ad esclusivo vantaggio dei banchieri e del capitale internazionale.

 

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Il pretesto è quello del recepimento della Direttiva europea sui mutui, la 2014/17/UE A.G. n. 256.

Per favorire il recupero dei crediti inesigibili da parte delle banche, il Governo Renzi ha infatti cancellato l’art. 2744 del codice civile che vieta il cosiddetto “patto commissorio” e cioè “il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”. Il superamento di questo divieto consente quindi alle banche di entrare direttamente in possesso dell’immobile e metterlo in vendita per soddisfare il proprio credito qualora il mutuatario non abbia provveduto al pagamento di sole 7 rate di mutuo, anche non consecutive.

Per dirla con parole semplici, UE e Governo italiano hanno ancora una volta legalizzato l’usura!

Questo meccanismo criminale, l’ennesimo per la verità, è previsto espressamente dall’art. 120 quinquiesdecies, comma 3, ossia che le parti del contratto possono convenire espressamente al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all’eccedenza… come se banca e cittadino fossero sullo stesso piano nel negoziare la concessione di un mutuo e relativo contratto (Fonte: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Casa-chi-salta-sette-rate-di-mutuo-rischia-esproprio-24260b85-3329-46fe-b08d-8b70f6b31cd1.html).

In pratica la banca avrà – senza eccessive formalità di procedura ma addirittura ex lege – il diritto di espropriare la casa al cittadino che, per qualsiasi motivo, ritardi il pagamento di sole 7 rate di mutuo (anche non consecutive). Considerata la crisi economica ormai permanente, la non sicurezza del lavoro e la durata dei contratti di mutuo che non sono quasi mai inferiori a 25-30 anni, le probabilità che in tutti questi anni il cittadino ritardi il pagamento di 7 rate di mutuo è altissima!

Tuttavia, pur essendo la norma a totale vantaggio delle banche, in questo periodo qualche povero disperato – per assurdo – potrebbe addirittura avvantaggiarsi della norma medesima a causa proprio della falcidiante crisi economica, e quindi non subire l’ulteriore beffa della svalutazione dell’immobile in sede di vendita all’asta! Ma, al di là di questo piccolo vantaggio, le intenzioni del Legislatore europeo e di quello italiano sono quelle di favorire unicamente banche e capitale.

Questo è l’ennesimo CRIMINE che l’Unione Europea e il Governo italiano compiono ai danni della povera gente e ad esclusivo vantaggio dei banchieri e del capitale internazionale.

La legge nazionale di recepimento della Direttiva europea non è ancora stata approvata. Ma “abbiate fede”… lo sarà! CE LO CHIEDE L’€UROPA!

Ma non è finita qui. Ascoltate questo VIDEO e Vi renderete conto a chi serve, nell’immediato, la misura di cui sopra. Si tratta di persona molto vicina al nostro Presidente del Consiglio:

 

Adesso tutto è molto più chiaro.

A buon intenditor, poche parole!

di Giuseppe Palma

tratto da: (clicca qui)

Questo sta succedendo all’Italia, un Paese morto, finito! Vogliamo che succeda anche a noi o la smettiamo una volta per tutte di cercare di liberarci inseguendo chimere elettorali in ambito italiano ? La vogliamo capire o no che per liberarci non possiamo sperare di fare la frittata senza rompere le uova ? Dobbiamo essere uniti e determinati, imporre il nostro volere ed autogovernarci creando i nostri servizi ed emarginare quelli italiani correndo anche dei rischi, rischi che si ridurrebbero a quasi zero se a questo stato di cose partecipasse la massa.

Il popolo diviso è una facile preda dell’aguzzino ma se siamo uniti non ci ferma più nessuno !

 

Questo signore di cui vedete l’immagine in bacheca ha un nome che non dice niente alla stragrande maggioranza dei lettori. Si chiama Ren Jianxin. Entro pochi mesi finirà per diventare il padrone dell’intera agricoltura italiana, che ci piaccia o meno. E’ una delle persone più potenti al mondo. La disposizione liquida monetaria di cui dispone si aggira intorno ai 500 miliardi di euro, pari al Pil di Grecia, Portogallo, Slovenia, Croazia e Macedonia tutte insieme; nazioni, queste, la cui agricoltura è già nelle sue mani da questa mattina. Ma lui punta decisamente all’Italia (in Spagna gli è andata male e si è ritirato, è per questo che ha dirottato su di noi). E’ una persona garbata, molto gentile, simpatica, solare, dicono molto intelligente. E’ il volto autentico (in carne e ossa) di quello che in Italia i social networks amano definire con una locuzione ridicola e infantile: i poteri forti. I poteri forti, oggi, hanno quest’immagine. E’ il presidente della più importante azienda chimico-farmaceutica del pianeta, la ChemChi, che sta per China National Chemical Corporation, la cui sede centrale si trova nel centro finanziario di Pechino.

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Ren Jianxin

 

E’ anche l’amministratore delegato e il supervisore del direttore finanziario. E’ membro permanente del comitato centrale del Partito Comunista Cinese, dato che lo stato possiede il 96% delle azioni di questo colosso. Questa mattina ha firmato un contratto di acquisizione considerato il più alto mai registrato in Cina in tutta la sua storia: 43 miliardi di dollari pagati in contanti sull’unghia. Ha comprato la Syngenta, la più importante azienda europea produttrice di sementi e pesticidi. La società è svizzera e ha la sede legale a Ginevra. L’acquisto era iniziato in sordina, “chinese style”, circa un anno e mezzo fa, attraverso la mediazione di due piccole società finanziarie legate alla Pirelli di Milano, avvalendosi della normativa che rientra all’interno degli accordi bilaterali italo-svizzeri, concessi dalla Ue a Italia, Francia, Austria e Germania, suoi paesi confinanti. Il fatto è che, nel frattempo, il signor Ren Jianxin, era arrivato otto mesi fa a Milano e si era comprato il 100% delle azioni della Pirelli, che dal 1° gennaio 2016 è diventata parte del gruppo della ChinaChem.
La finanza americana ha accusato il colpo, capendo che per la Monsanto la festa è finita perché non è in grado di competere e contrastare lo strapotere del signor Ren, il quale – nel frattempo – si è praticamente comprato Poste Italiane e altre 345 aziende italiane. Così almeno gli americani danno l’annuncio, spiegando le ragioni per le quali il colosso statunitense abbandonerà in questo 2016 il territorio italiano. Tradotto, vuol dire che dal 2017 gli agricoltori italiani – senza che venga detto loro niente, senza che vengano fornite informazioni geo-politiche globali, e quindi a loro insaputa – saranno costretti a produrre ciò che il governo cinese stabilisce corrisponda ai loro interessi. Detto in sintesi, nella maniera più elementare possibile, significa che i pomodori e le zucchine italiane se le mangeranno i cinesi e per la stragrande maggioranza delle aziende agricole italiane ci sarà una riconversione (peraltro già annunciata) e dovranno produrre – pena il fallimento – soia, girasoli e derivati, perchè questa è la politica agricola europea della Cina che si piazza nel cuore dell’Europa.

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Syngenta

 

Questa sera le televisioni annunceranno il crollo delle Borse europee (soprattutto quelle italiane) sostenendo che è in corso un attacco speculativo contro di noi. Non è vero niente. E’ questo contratto che sta facendo andare a picco il mercato europeo. Quantomeno questo è ciò che sostengono diversi analisti finanziari europei, e io sono d’accordo con loro. Erano già diverse settimane che su “Wall Street Journal”, “Financial Times”, canale televisivo di “Bloomberg”, gli analisti anglo-americani raccontavano la pessima scelta strategica dell’Italia che – per salvarsi – sta vendendo tutta se stessa al Qatar, agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, ma soprattutto alla Cina. Ma in questo paese la stampa non informa la popolazione su ciò che accade, avendo scelto di trasformare tutto in gossip irrilevante (vedi scontro Ue-Renzi su futili motivazioni retoriche). Lo scontro – e questo sì davvero micidiale, una vera guerra all’ultimo sangue – si sta svolgendo, invece, nell’indifferenza generale, ad Amsterdam. Da tre giorni. In Italia nessuno ne ha parlato. Con un’unica eccezione che – quantomeno al sottoscritto – conferma il fatto, ancora una volta, che Adriana Cerretelli è senza alcun dubbio, attualmente, il miglior professionista mediatico che il nostro paese abbia prodotto negli ultimi dieci anni. Suo l’articolo apparso ieri su “Il Sole 24 ore” (immediatamente nascosto e non a caso non diffuso e non condiviso) nel quale ci raccontava che cosa sta accadendo e su che cosa si stanno letteralmente scannando in Olanda, purtroppo con pessime notizie per l’Italia perchè la Cina si è presentata con una enorme massa di liquidità a disposizione del decotto sistema bancario corrotto nazionale e – il buon senso ci consente di comprenderlo – quando si sta alla canna del gas, si accetta ogni aiutino, chiunque sia a darlo.

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Ren Jianxin con Tronchetti Provera, Pirelli

 

 

Qui di seguito vi ho postato l’articolo della Cerretelli (l’italiana in assoluto più stimata in Europa dai colleghi eruopei degli altri paesi nel campo dell’informazione mainstream, in Italia pressoché sconosciuta) perché penso possa essere utile per comprendere uno degli attuali scenari reali (molto reali) sul palcoscenico economico-politico della vita vera. Anche se si tratta di un articolo tecnico, è comprensibile a chiunque. Bisogna leggere tra le righe dell’articolo. L’Italia, purtroppo, finirà per perdere questa decisiva battaglia di Amsterdam. Quella autentica che decide il destino delle nazioni, altro che annunci! Altro che unioni civili o quote latte. Se non ci svegliamo e non capiamo che cosa sta accadendo, di questo meraviglioso nostro Bel Paese non ne rimarrà più nulla. Quantomeno, per noi italiani che lo abbiamo costruito, inventato e abbellito nelle ultime centinaia di anni.

Sergio Di Cori Modigliani

Tratto da: (clicca qui)

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tratto da: (clicca qui)

2016.02.22 – L’incubo no cash e il teorema di Pangloss

Posted by Presidenza on 22 Febbraio 2016
Posted in articoli 

Un individuo senza risparmi, o i cui risparmi siano legati al filo sottilissimo e imprevedibile di una requisizione istituzionale, è in fondo uno schiavo che sopravvive solo a condizione di un gettito reddituale sufficiente e costante.

È merce-lavoro, carne umana a disposizione di chiunque possa garantirgli qualche giorno di vita per sé e i suoi figli

 

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Delle tante pessime idee escogitate dalla civiltà occidentale per autodistruggersi l’abolizione del denaro contante è forse la più folle e pericolosa. I pretesti variano secondo l’inclinazione del gregge: in Italia si dice per fermare l’evasione e all’estero – nientemeno – per sconfiggere il terrorismo e le mafie.

Ovviamente in un’ipotetica società cashless gli evasori e i criminali continuerebbero a frodare il fisco e a muovere miliardi truccando bilanci, creando società di comodo e corrompendo funzionari e politici, esattamente come fanno oggi. E i ladri troverebbero altri modi per rubare, esattamente come ne hanno già trovati. Le cose cambierebbero invece per tutti gli altri, quelli che non avendo conti in Lussemburgo e/o inclinazione al crimine non potranno più proteggere la propria ricchezza dalle crisi finanziarie e dall’arbitrio dei governi.
La massa degli idioti che invocano il monopolio del denaro elettronico sale come una marea marrone. Sicché se ne parla apertamente e chi ne parla è talmente rassicurato dalla stupidità dei tanti da mettere il carro davanti ai buoi e anticipare senza segreti i dettagli di un furto legalizzato:
• i tassi di interesse negativi, già praticati da alcuni istituti di credito in Svizzera e Germania, consentono alle banche di maturare attivi prelevando un interesse dai depositi dei correntisti oltre alle normali spese di gestione. In pratica, chi presta soldi alla banca paga gli interessi. I pretesti di questa operazione – abbassare i tassi di credito, incentivare l’investimento e i consumi ecc. – sono talmente ridicoli da non meritare commenti. La controindicazione è invece ovvia e intuibile: i correntisti preferiscono ritirare il capitale e metterlo in cassaforte per non farselo erodere dagli interessi. La soluzione? Impedirglielo ex lege. Ad esempio in Svizzera, dove il pretesto di turno (in fondo uno vale l’altro, e comunque li si scopre tutti oggi) è la necessità di deprezzare la valuta nazionale:

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• la disciplina del bail-in, in vigore in Italia dal primo gennaio 2016, prevede che il salvataggio delle banche a rischio di fallimento sia prioritariamente in carico ad azionisti, obbligazionisti e correntisti della banca (questi ultimi solo se con depositi superiori a 100.000 euro, ma beato chi ci crede). Ciò significa che i clienti devono pagare per le malversazioni e la cattiva gestione di chi amministra i loro conti pur non avendovi ovviamente alcuna corresponsabilità. Gli effetti di questa norma si sono già visti, in piccolo, nel caso dell’aretina Banca Etruria, che pur essendo un istituto periferico e avendo requisito le sole obbligazioni subordinate ha lasciato sul lastrico decine di migliaia di famiglie. Da quest’anno sarà quindi molto, molto peggio. Per difendersi dall’esproprio i correntisti potrebbero ritirare i soldi alle prime avvisaglie di crisi oppure affidare alla banca solo lo stretto necessario, visto che prevedere una crisi bancaria è praticamente impossibile. Una strategia saggia ma naturalmente negata nel magico mondo cashless, dove potremo solo incrociare le dita sperando che i nostri risparmi non siano utilizzati per ripianare gli errori altrui;
• i congelamenti dei conti correnti possono del resto avvenire per una varietà di altri motivi. Ad esempio nel 2012 furono trentamila i correntisti bloccati dalla magistratura durante il processo per bancarotta a carico di Banca Network. In altri casi può bastare un ritardo nei pagamenti o una mancata comunicazione. Negligenze (forse) deplorabili, ma non tali da essere punite con l’impossibilità di comprarsi il cibo;
• il sequestro a sopresa e al di fuori di qualsiasi confronto democratico dei depositi bancari dei cittadini da parte dei governi è stato imposto a Cipro nel marzo 2013 e può essere imposto ovunque sotto il pretesto di un’emergenza accuratamente perpetua delle finanze pubbliche dell’eurozona. Va ricordato che una delle ossessioni più ricorrenti dei banchieri internazionali – dalla Bundesbank al FMI – è che in Italia all’alto debito pubblico (cioè ai soldi che loro prestano a usura agli italiani) corrisponde un altissimo risparmio privato. E che quindi quest’ultimo deve essere messo a pegno del debito, requisibile a (loro) richiesta senza che un solo cent resti imboscato nei cassetti delle nonne;
• il denaro elettronico ha un costo peraltro sacrosanto in quanto è un servizio che implica competenze, lavoro e infrastrutture. Sicché non sappiamo che cosa passi nelle menti deteriorate di chi sogna transazioni gratuite per un mondo senza contanti. Chi mettiamo negli uffici AmEX e VISA? I boy scout? Gli elfi di Babbo Natale? I volontari della San Vincenzo? Pare ovvio che se le commissioni si azzerassero davvero le ritroveremmo occultate altrove (ad esempio negli interessi negativi di cui sopra) senza poterle né controllare né confrontare. Qualcuno apparentemente più ragionevole lancia accorati appelli affinché i costi di transazione siano almeno drasticamente ridotti. Dimenticando però che oggi sono tenuti a freno proprio dal fatto che l’utente può in molti casi optare per il contante. Se il monopolio dei pagamenti elettronici fosse imposto per legge il servizio non avrebbe più competitor e l’unico argine al sicuro aumento dei prezzi sarebbe rappresentato dalla buona volontà del regolatore, con i bei risultati già visti con assicurazioni, autostrade, energia ecc.
Ciò che è fin qui descritto è già realtà e già da solo basterebbe a fare di un’economia senza contanti uno strumento di distruzione del risparmio e di trasferimento infallibile dall’ampia platea dei poveri al vertice puntiforme dei ricchi. Non c’è invece limite alle ulteriori distopie che una schiavitù di questo tipo può produrre: da una sorveglianza di massa soffocante e feroce all’uso punitivo del negato accesso al denaro, dall’automatismo fiscale (con conseguente nullaosta a qualsiasi inasprimento e arbitrio, non essendoci rischio di renitenza) al controllo “granulare” degli acquisti (ad esempio negando determinate categorie merceologiche a determinate persone, o per perseguire determinati stili di consumo). Uno scenario orwelliano di marca ultrastalinista paradossalmente sponsorizzato dalle pecore del libero (sic) mercato.
***
Di solito a questo punto della discussione qualcuno se ne esce con la domanda: “Ma se non fai nulla di male, che cosa devi temere?”. Una domanda il cui sottinteso insinuante – sarai mica un ladro? un evasore? un furbetto? – ammutolisce e confonde, recuperando nella colpevolizzazione dell’interlocutore quell’autorità dialettica che la sua logica spregevolmente conformista le sottrae.
Consegnarsi mani e piedi legati alla discrezionalità di un governo – qualsiasi governo – tradisce una visione simbolica e per certi versi divinizzante delle istituzioni che è propria delle teocrazie e dei totalitarismi. È la visione degli Onesti dove la legge si fa valore etico in sé e i margini oppositivi dei cittadini all’arbitrio di chi comanda non sono percepiti come un’assicurazione minima di dignità e di partecipazione politica ma temuti come una minaccia da disinnescare. Cancellando così le tante e atroci lezioni della storia recente. Immaginiamo ad esempio se le decine di migliaia di ebrei scampati ai rastrellamenti degli anni ’40 non avessero potuto occultare i propri beni e la propria persona… Oggi è diverso? Io non lo credo, ma se anche lo fosse nessuno può garantire per un futuro che già si annuncia poco radioso.
Tornando al nostro tema, spaventa la smania di chi chiede di rinunciare a uno strumento di tutela del proprio patrimonio senza domandarsi chi ne farà uso e come. È in fondo una versione speculare della cessione di sovranità in ambito privatistico dove agisce lo stesso bisogno infantile di affidare le storture dei casi umani a un padrone onnipotente e severo. Anche chi per assurdo credesse che siamo retti dal migliore dei governi possibili (aka teorema di Pangloss) e che la rinuncia al risparmio contante sia un sacrificio privo di rischi, dovrebbe avere la lucidità di riconoscere che i governi cambiano come cambiano le generazioni, e che la minor libertà che accetterebbe oggi in cambio di qualche scontrino in più potrà essere usata domani per depredarlo e perseguitarlo. Tanto più che, come abbiamo visto, gli strumenti già esistono.
Può sembrare eccessivo parlare in questi termini della soppressione di banconote e monete, ma è ormai chiaro anche ai muri che qui non sono in gioco gli strumenti di pagamento – che infatti non si fila nessuno – bensì il risparmio e la sua tutela. Un tema già caro ai nostri Padri costituenti che all’art. 47 vi individuavano un fondamento dello sviluppo dell’individuo e della collettività:
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.
Non c’è bisogno di grandi esegesi per capire che un governo che mette il risparmio dei suoi cittadini a pegno del moral hazard bancario viola brutalmente i propri obblighi costituzionali. E che è perciò un dovere difendere i residui strumenti legali di opposizione a questo crimine preservandone il più diffuso e accessibile tra tutti: il denaro contante.
Un individuo senza risparmi, o i cui risparmi siano legati al filo sottilissimo e imprevedibile di una requisizione istituzionale, è in fondo uno schiavo che sopravvive solo a condizione di un gettito reddituale sufficiente e costante, tanto più improbabile in un’epoca che glorifica la precarietà. Senza quel cuscinetto di sussistenza rappresentato dai beni mobili e immobili accantonati (perché già allocati al salvataggio dei ricchi) egli è alla mercé del mercato. E qui sta finalmente il punto. È merce-lavoro, carne umana a disposizione di chiunque possa garantirgli qualche giorno di vita per sé e i suoi figli: poi poco importa se con un lavoro sottopagato a cui non può dire di no o con un reddito di cittadinanza, trattandosi in fondo della stessa identica cosa.
Allargando lo sguardo, chi toglie ai poveri la facoltà di custodire e difendere il proprio misero gruzzolo non lo fa tanto e solo per avidità, ma anche per promuovere una precarietà psicologica e materiale in cui gli individui non possono più contare sulle proprie capacità e sulla propria avvedutezza per mettersi al riparo dal bisogno. Anche i prudenti devono finire in strada, a disposizione dei pochi compratori rimasti. Si capisce allora come la guerra al denaro contante si integri in un più ampio e coerente ventaglio di misure per allentare la sicurezza sociale: dall’erosione del welfare agli attacchi al surrogato welfare genitoriale (pensioni, reversibilità, donazioni, diritti ereditari ecc.), dalla flessibilità in uscita all’ultratrassazione del risparmio immobiliare.
Un tema che ci porterebbe lontano e a cui riserveremo una trattazione dedicata, ma il cui accenno basta a comprendere e ad avvalorare il monito di Zerohedge, autorevole blog americano che da anni denuncia i pericoli di una società cashless:
In short, this is a direct return to serfdom. (Zerohedge, The War On Cash – The Central Banks’ Survival Campaign)
E non sta esagerando

tratto da: (clicca qui)

In Sardegna la situazione è differente. Non abbiamo nessuna necessità di ricorrere ad un referendum (oltrettutto la costituzione straniera italiana non prevede lo strumento referendario propositivo) per ripristinare la legalità ridando sovranità al nostro Popolo; l’indipendenza ce la dobbiamo riprendere emarginando, esautorando le istituzioni italiane sui nostri Territori ed autogovernandoci. Non dobbiamo più pagare un solo centesimo di tasse al nostro occupatore in quanto queste non gli sono dovute e non servono per fornirci alcun servizio, hanno il solo scopo di imporci l’utilizzo della loro valuta; non si può mettere in dubbio l’esistenza dello Stato sardo con un referendum e mettere ai voti quello che è un nostro diritto naturale.
Noi del MLNS stiamo portando avanti un progetto che prevede l’attivazione di una serie di servizi per la popolazione che tende a sostituire quelli forniti dallo Stato occupante. Questi servizi non prevedono alcuna tassazione.
Mi aspetto una costruttiva collaborazione da parte di tutti i sardi….

Sergio Pes (Presidente MLNS e GSP)

 

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Il tricolore è la sua bandiera, chiedono i conduttori de ”La Zanzara”? “No, la mia bandiera è bianca e rossa, quella tirolese. Il popolo deve scegliere se restare con l’Italia, andare con l’Austria o fare uno Stato indipendente sudtirolese. Serve un referendum”. Vediamo come campano senza privilegi e autonomia totale…

 

Da ”La Zanzara – Radio24”

 

“Il mio paese è il Tirolo, non l’Italia. Al Tirolo spetta l’autodeterminazione e l’Italia ci lasci fare un referendum. I soldi del vitalizio li metto a disposizione per questo referendum”. Lo dice a La Zanzara su Radio 24 Eva Klotz, la pasionaria del Sud Tirolo, che si difende per aver incassato 964mila euro di vitalizio dalla Regione: “L’Italia non c’entra nulla. Ogni regione decide i vitalizi in modo autonomo. Non sono soldi dell’Italia ma soldi della Regione Trentino che abbiamo versato. Non rubo nulla”.

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Eva Klotz

 

 

 

 

 

Poi parla così dell’Italia: “L’Italia per me è uno stato occupante, siamo annessi contro la nostra volontà e contro i diritti umani dell’Onu. A tutti i popoli spetta il diritto all’autodeterminazione, non con le armi ma con la matita. Il popolo deve scegliere se restare con l’Italia, andare con l’Austria o fare uno Stato indipendente sudtirolese”.
Il tricolore è la sua bandiera, chiedono i conduttori?: “No, la mia bandiera è bianca e rossa, quella tirolese”. E Mattarella è il suo presidente?: “No, Mattarella non è il mio presidente, è il presidente dell’Italia”.

tratto da: (clicca qui)