2016.01.06 – Bankitalia: non abbiamo MAI avuto una banca

Posted by Presidenza on 6 Gennaio 2016
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Giusto per ricordarlo:

“La Banca d’Italia, benché sia un Istituto di diritto pubblico, non è affatto pubblica. Ma la cosa sconcertante è che veramente in pochi sanno che in realtà non lo è mai stata.”

 

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BANKITALIA, UNA STORIA DI ORDINARIA MASSONERIA

 

di Francesco Filini

 

Antonio Patuelli, Presidente dell’ABI (Associazione delle Banche Italiane) ha chiesto di rivedere la legge 262 del 2005 voluta dall’allora Ministro dell’economia Giulio Tremonti che nel paragrafo 19, comma 10, riformula l’assetto proprietario della Banca d’Italia, disciplinando che entro i tre anni successivi dall’approvazione della legge (ovvero entro il 2008) doveva avvenire il trasferimento delle quote di partecipazione dei privati verso lo Stato. In poche parole la legge Tremonti aveva disposto che la proprietà della Banca d’Italia divenisse pubblica (come la logica vorrebbe) e non privata. Questa legge, che doveva diventare esecutiva ben 5 anni fa, non è stata minimamente presa in considerazione dagli istituti che ancora oggi detengono la maggioranza delle azioni. E’ sufficiente una piccola verifica per vedere come banche commerciali, assicurazioni e istituti di credito privati ancora oggi detengano il 94,5% della proprietà dell’Istituto di emissione italiano.

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Antonio Patuelli

 

 

Purtroppo il mondo della politica, sempre più distratto e sempre più asservito a determinate logiche, non ha reagito degnamente e in maniera compatta (come il buonsenso vorrebbe) alle dichiarazioni del Presidente Patuelli, se si mettono a parte gli interventi delle mosche bianche come Guido Crosetto e Fabio Rampelli. Nel nostro Paese infatti, un banchiere come Pautelli può arrivare pure a dichiarare inammissibile e incostituzionale una legge che vuole rendere pubblica la Banca Centrale Italiana, l’organismo che emette e presta la moneta. Che eresia!
Molti non sanno – e non immaginano – che la Banca d’Italia, benché sia un Istituto di diritto pubblico, non è affatto pubblica. Ma la cosa sconcertante è che veramente in pochi sanno che in realtà non lo è mai stata. Proviamo a fare un po’ d’ordine.

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Guido Crosetto

 

 

La Banca d’Italia viene fondata nel 1893 con la legge n. 443 del 10 Agosto, con la fusione tra la Banca Nazionale del Regno, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito, e dalla liquidazione in seguito alla scandalo della Banca Romana. Fu il Presidente del Consiglio dell’epoca, Giovanni Giolitti, a dirigere in prima persona tutte le operazioni, garantendo “autonomia” dal potere politico e ricalcando il modello societario proprio delle banche, evitando addirittura che la nomina a Governatore fosse appannaggio della Banca stessa con il Parlamento delegato a ruolo di mero ratificatore delle decisioni prese in seno alla loggia bancaria. Come ricorda egregiamente il giurista Bruno Tarquini, nella sua illuminante opera La banca la moneta e l’usura la Banca d’Italia fin dall’origine assunse la forma di società anonima, tenuto conto che di questa ricalcava essenzialmente l’organizzazione interna, come ad esempio la nomina degli organi amministrativi e di controllo, spettante all’assemblea della società.

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Il 28 Aprile del 1910 viene emanato il Regio Decreto n. 204 con il quale lo Stato Italiano disciplinò l’emissione della carta-moneta, stabilendo che gli istituti autorizzati ad emettere biglietti di banca erano la Banca d’Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.
Con il decreto legge n. 812 del 6 Maggio 1926 alla Banca d’Italia viene riconosciuto il monopolio dell’emissione dei biglietti.
Con il Regio Decreto n. 1067 del 1936, viene ribadita l’autonomia della Banca d’Italia che mantenne la stessa struttura societaria e le fu riconosciuta la qualifica di “Istituto di diritto pubblico”.
Nell’era Repubblicana la Banca d’Italia continua il suo percorso d’autonomia nei confronti del potere politico assumendo sempre più le redini dell’economia, svuotando il ministero del Tesoro da qualsiasi responsabilità: nel 1981 il sottosegretario democristiano Andreatta firmò il decreto che sancì la separazione tra il Tesoro e Bankitalia (è dovuta soprattutto a questo fatto l’impennata del debito pubblico, se lo si aggiunge alle politiche scellerate del Ministro Paolo Cirino Pomicino che in quegli anni aveva preso come superconsulente un giovane Mario Monti…), il 7 Febbraio del 1992 il banchiere Guido Carli, già Governatore della Stessa Banca d’Italia, divenuto Ministro del Tesoro emanò il decreto che diede totale autonomia all’Istituto di via Nazionale nello stabilire il tasso di sconto (il costo del denaro).

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Giulio Tremonti

 

 

Come si è brevemente visto, sin dalla sua nascita l’Istituto di Palazzo Koch è sempre stato di proprietà di privati e nel corso del tempo, indipendentemente dai governi e dalla forma di Stato, ha preso sempre più autonomia e poteri. Nessuno ha mai conosciuto i proprietari della Banca Centrale Italiana, soltanto nel 2005, dopo oltre un secolo, sono stati resi noti. Per questo il Ministro Tremonti ne chiese la “nazionalizzazione”: è impensabile che un’Istituzione così importante e fondamentale per la vita del Paese debba essere di proprietà di alcuni gruppi finanziari. Un meccanismo di emissione, di controllo e di garanzia deve avere sì la sua autonomia, ma non tanto dalle istituzioni politiche quanto dalle lobby bancarie che la Banca d’Italia dovrebbe controllare. Un mega conflitto d’interessi che va sanato, soprattutto alla luce del periodo storico che viviamo dove le imprese chiudono e i dividendi dei banchieri crescono.

tratto da: (clicca qui)

Questa è una delle prime buffonate del 2016:

<<Nel documento inviato al Bundestag, il ministro delle finanze propone che l’Eurozona anticipi la regolamentazione internazionale nel riconoscere la specifica rischiosità dei titoli di debito sovrano. In pratica, lo Stato sarebbe definitivamente privato di sovranità e costretto a comportarsi come un’azienda>>

In realtà ben 194 “presunti Stati” al mondo, operanti sotto parvenza di governi di popolo, SONO SEMPRE STATI DELLE AZIENDE, delle vere e proprie Corporations registrate al S.E.C. (Securities and Exchange Commission)

 

Un piano tedesco per riformare l’Eurozona con un meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani. Obiettivo, impedire qualsiasi forma di condivisione dei rischi tra i paesi dell’Eurozona, confinando i costi dell’instabilità finanziaria e fiscale il più possibile all’interno dei paesi più deboli. Autore del piano, il “venerabile” Wolfgang Schäuble, super-massone e cervello del governo Merkel. Berlino «sembra aver perso fiducia verso qualsiasi forma di governance centralizzata», scrive Carlo Bastasin sul “Sole 24 Ore”, e ora penserebbe solo a tutelare i tedeschi. Il piano è descritto in una lettera inviata a fine novembre dal ministro delle finanze al capo della Commissione Finanza e Bilancio del Parlamento tedesco. La lettera, non pubblicata, prescrive un meccanismo automatico di ristrutturazione del debito pubblico per qualsiasi paese europeo che richieda assistenza finanziaria. Una volta chiesto “l’aiuto” del Mes, o Esm, «i tempi di scadenza dei titoli pubblici saranno automaticamente prolungati, riducendo il valore di mercato di questi titoli e provocando gravi perdite a chi li detiene».

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Schaeuble

 

 

Il meccanismo, continua Bastasin nell’articolo, ripreso dal blog “Vox Populi”, trasformerebbe i titoli pubblici dell’Eurozona in asset finanziari rischiosi. «E questo è anche l’obiettivo di un’altra proposta del governo tedesco, che mira a eliminare l’eccezione normativa che permette alle banche di detenerli senza dover possedere riserve di capitale per coprire le eventuali perdite». Rendere più “rischiosi” i titoli sovrani incoraggerebbe banche e famiglie a evitare di sottoscriverli alla leggera. I governi avrebbero meno incentivi ad accumulare debito, e le banche eviterebbero a loro volta di investire in titoli pubblici. Dov’è il trucco? «Stabilire un meccanismo automatico per sanzionare le situazioni economiche problematiche che si vorrebbero evitare può, nei fatti, renderle ancora più probabili», spiega Bastasin. I titoli pubblici – abolita la moneta sovrana – tengono in piedi gli Stati dell’Eurozona. «Pertanto, una volta che i titoli sovrani nei paesi dell’Eurozona sono diventati più rischiosi, l’intero sistema finanziario potrebbe diventare più fragile, e questo potrebbe influenzare negativamente la crescita e la stabilità finanziaria».
Da ultimo, anziché imporre una sana disciplina ad alcuni paesi membri, il nuovo regime «potrebbe ampliare i differenziali di rendimento dei titoli di Stato e rendere impossibile la convergenza dei debiti, aumentando la probabilità di rottura dell’Eurozona». Il piano di Berlino, continua Bastasin, va in parallelo all’idea che il contenimento della crisi sia solo una questione che riguarda i paesi più colpiti. Si basa inoltre sull’assunzione che qualsiasi forma di condivisione del rischio fornisca ai governi gli incentivi sbagliati, producendo “moral hazard”. In realtà, «come la crisi ha dimostrato», la vulnerabilità finanziaria può essere «il risultato di problemi comuni», per cui «sanzionare i singoli paesi può generare un’instabilità che potrebbe degenerare in una nuova crisi».

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Carlo Bastasin

 

 

Il documento del governo tedesco dimostra una sfiducia fondamentale verso gli atteggiamenti fiscali degli altri governi. L’applicazione ripetuta delle “clausole di flessibilità” per sottrarre alcune spese con finalità specifiche dal conteggio del deficit sta facendo storcere il naso a Berlino. Secondo Bastasin, il governo tedesco «guarda con disprezzo la Commissione Europea, considerandola troppo esposta ai ricatti dei governi nazionali, con particolare preoccupazione per l’ascesa dei movimenti populisti e anti-europei». L’applicazione asimmetrica delle regole, le decisioni fuori luogo e al momento sbagliato, nonché «la tendenza ad applicare la “legge del creditore” anziché gli interessi comuni, nonché certe propensioni ideologiche», avrebbero fatto venir meno la fiducia verso le decisioni comuni. «I governi nazionali, ciascuno a suo modo, stanno passando da una timida propensione a condividere il rischio a una decisa volontà di decentralizzare qualsiasi rischio, come unica ed esclusiva modalità di gestione dell’unione monetaria».
Nel considerare la minaccia di una ristrutturazione del debito come politica efficace per imporre la disciplina, continua l’analista, Berlino chiede che i titoli di debito pubblico perdano la loro condizione di asset considerati privi di rischio. Quest’ultima “eccezione normativa” faceva in modo che le banche accumulassero titoli di debito sovrano nel loro bilancio senza la necessità di incrementare il proprio capitale. Nel documento inviato al Bundestag, il ministro delle finanze propone che l’Eurozona anticipi la regolamentazione internazionale nel riconoscere la specifica rischiosità dei titoli di debito sovrano. In pratica, lo Stato sarebbe definitivamente privato di sovranità e costretto a comportarsi come un’azienda, con i conti in attivo o almeno in pareggio, come vuole il dogma neoliberista che negli ultimi 40 anni ha lavorato incessantemente per demolire la finanza pubblica, lasciando i governi alla mercé dei “mercati”, senza più un soldo da impegnare in investimenti per famiglie, aziende e lavoro, sotto forma di spesa pubblica (deficit positivo, fondamentale per sostenere l’economia reale).

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Juncker

 

 

«Una volta che sia stato stabilito che i titoli pubblici sono a rischio come tutti gli altri», conclude Bastasin, «le banche saranno incoraggiate a ridurre l’ammontare di titoli di Stato che detengono, rompendo il circolo vizioso che ha caratterizzato la crisi, col finanziamento del debito pubblico che minacciava la stabilità bancaria e viceversa». Secondo il documento di Berlino, i paesi dell’Eurozona dovrebbero anche ridurre in modo permanente i loro livelli di debito pubblico sul Pil. «Per poterlo fare, Berlino vuole impedire che ciascun paese invochi clausole di flessibilità. In particolare, la richiesta italiana di flessibilità ha ottenuto un certo cedimento da parte della Commissione Europea durante i negoziati. La Francia non si pone nemmeno il problema di ottenere l’autorizzazione per le sue generose politiche fiscali. Nelle trattative coi primi ministri dell’Eurozona, il presidente della Commissione Europea Juncker è stato costretto a scegliere tra autorizzare i governi in carica ad ampliare i loro deficit per ogni sorta di ragioni oppure fomentare i movimenti populisti anti-europei che vogliono mandare all’aria l’intera unione monetaria».

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Renzi e Hollande

 

 

Questa specifica “debolezza” nel coordinamento delle politiche fiscali a livello centralizzato «ha convinto le autorità tedesche a chiedere la decentralizzazione dei rischi e un controllo depoliticizzato». Il ruolo di sorveglianza della Commissione, dice il documento sottoscritto da Schäuble, «non deve limitarsi a degli obiettivi politici». Per rendere il giudizio di Bruxelles “indipendente dalle convenienze politiche”, Berlino mira a separare la funzione di supervisione svolta dalla Commissione dal suo ruolo nell’orientare le scelte politiche. In alternativa, il controllo delle politiche fiscali potrebbe essere consegnato a una nuova istituzione tecnica e indipendente. «Se questi meccanismi dovessero ancora fallire nel tenere a freno il debito pubblico, allora la minaccia di un semplice meccanismo automatico di ristrutturazione del debito farà il trucco: i mercati diventeranno subito estremamente sensibili alla mancanza di disciplina fiscale, e puniranno ciò che i politici perdonano». E avremo dunque ancora più rigore e ancora più austerity: più tasse, meno lavoro (ma i conti in ordine, come vuole il “venerabile” Schäuble).

tratto da: (clicca qui)

Sembra che la vera matrice del problema non siano mai state le banche che fanno cattivi investimenti, o piani pensionistici ipofinanziati, ma piuttosto la pretesa del correntista/obbligazionista che gli vengano restituiti i propri denari.

 

Pubblicazione1

 

di Rosanna Spadini

 

Ci siamo … nel gioco al massacro del “capitalismo dei disastri”, deciso dall’iperuranio dell’Ue, i carnefici iniziano a mietere le loro vittime sacrificali, dove è possibile praticare sciacallaggio sociale, dove trovano governi compiacenti e collaborazionisti … e come l’infestazione degli ascaridi parassitari può aggredire l’uomo, così la rivoluzione del bail-in sta aggredendo l’Italia, ridotta al ruolo di cavia sacrificale, dopo che le alte aristocrazie finanziarie hanno deciso che occorre un vero e proprio cambio di prospettiva per risolvere i problemi dell’insostenibilità delle sofferenze finanziarie sistemiche: considerare i correntisti e gli investitori di una banca come degli “assicuratori/finanziatori”che possano sanare le sofferenze con i loro capitali.

Sembra che la vera matrice del problema non siano mai state le banche che fanno cattivi investimenti, o piani pensionistici ipofinanziati, ma piuttosto la pretesa del correntista/obbligazionista che gli vengano restituiti i propri denari. Quindi, se una grande banca, un fondo pensione o una società finanziaria rischia il fallimento, la risoluzione del problema sarà facilmente rintracciabile in una semplice operazione di bail-in, piuttosto che in un costoso salvataggio governativo (bail-out) … diversamente il fallimento metterebbe in pericolo la stabilità di tutto il sistema finanziario, e ciò è caldamente sconsigliabile.

I cambiamenti epocali del sistema sono stati sanciti al G20 del novembre 2014, che tentava di trovare nuove soluzioni finanziarie, e mentre i rating delle grandi banche sono stati modificati negli Stati Uniti e in Europa, i primi casi di applicazione di queste norme si sono già verificati, con il sistema bancario cipriota e il sistema pensionistico polacco. In più un’oscura “Nota di Discussione interna” del Fondo Monetario Internazionale del 2012 potrebbe avere dato inizio alla “rivoluzione del bail-in”, che sta modificando il valore stesso del risparmio, perché il finanziamento statale dei “SIFI” (Sistemically Important Financial Institution) potrebbe davvero mettere in crisi tutto il sistema finanziario globale.
Inoltre vi è il rischio che il fallimento di uno soltanto di questi giganti “too big to fail” possa compromettere la tenuta dei governi sovrani, quindi meglio ricorrere al metodo “indolore” per le istituzioni del bail-in: i correntisti e gli obbligazionisti si trasformano magicamente, secondo il principio di darwinismo finanziario, in “assicuratori/finanziatori” del sistema … il più forte ha sempre ragione, il pesce più grosso divora il più piccolo, il lupo mangia l’agnello, come impone la teoria evoluzionistica della sopravvivenza del sistema neoliberista globalizzato. Quindi occorre una legge che scavalchi il diritto contrattuale del singolo privato, in favore dell’agenzia (sempre privata), insomma una rapina legalizzata. Infatti le banche troppo grandi per fallire occupano posizioni chiave nell’economia statale e globale e quindi, in caso di rischio di default, devono essere sostenute contro ogni diritto, costituzionale e contrattuale, per non rischiare di aprire una grave crisi di mercato.
Così lo staff del FMI ha escogitato un audace colpo di mano, direttamente nelle tasche dei miseri polli, per far uscire il mondo da questa rischiosa impasse, e la proposta consiste nel prendere classi selezionate di investimenti, e decidere con effetto retroattivo che queste libere scelte non possono essere considerate “libere”, perché correntisti od obbligazionisti di una banca, sottoscrivendo i loro contratti, avrebbero accettato, a loro insaputa, di fornire un’assicurazione al sistema finanziario. Quindi, se si presenta una grave crisi, il sistema finanziario ricorre al semplice intervento di questi ignari “assicuratori” e la crisi è risolta. Insomma è la pietra tombale sulla proprietà privata.
I due casi da confrontare degli ultimi giorni sono quelli del salvataggio delle quattro banche italiane (Banca Marche, Etruria, CariChieti e Cassa Ferrara) e quello della portoghese Banif. In entrambi i casi si è fatto ricorso, come procedura di ultima istanza, a un fondo di risoluzione gestito dalla Banca Centrale nazionale che ha separato una good bank (già ceduta a Santander Totta nel caso di Banif, da cedere in tempi rapidi nel caso italiano) e una bad bank (quella portoghese sostenuta da garanzia pubbliche per 2,2 miliardi). In ottemperanza alla regola del “burden sharing”, definita a livello europeo, con il coinvolgimento in entrambi i casi di azionisti e obbligazionisti subordinati.
Molti sono però ancora i punti da chiarire: nel caso italiano, azionisti e possessori di obbligazioni subordinate hanno perso tutto. Nel caso portoghese, stando alle comunicazioni ufficiali della Commissione Ue, non è ancora chiaro se ai possessori di bond subordinati sarà concessa la facoltà di convertire le obbligazioni in azioni della bad bank. La differenza non è irrilevante perché, a fronte di un azzeramento immediato dei bond, potrebbe corrispondere una futura ripresa di valore nel caso di plusvalenze derivanti dalla cessione dei crediti in sofferenza. (ilsole24ore.com)
Quindi nella beautiful delle banche nostrane, la nuova “rivoluzione” del bail-in sta seminando panico tra gli italiani, tanto da provocare un possibile rischio di bank run. E mentre la “finanza creativa” del Fmi sembra relegata nel background di un confuso ambito internazionale, in realtà comincia a iniettare dissesti sociali anche tra di noi: obbligazionisti truffati, genitori smemorati che dimenticano di dichiarare proprietà patrimoniali, figlie angelicate con mastodontici conflitti d’interesse (e magari qualche flirt galeotto), premier sbruffoni che infinocchiano i cittadini a suon di leggi truffa … ecc.
Per esempio i genitori smemorati del premier, Tiziano e Laura Renzi, forti del fatto che viviamo in questo scenario così confusamente creativo, sembra che abbiano trascurato di dichiarare nuove proprietà patrimoniali nel 2015, eppure sono diventati socio e amministratrice di una società associata con Nikila Invest, ovvero quella che si è comprata (a un ottimo prezzo) il teatro comunale di Firenze, e per cui lavora anche Lorenzo Rosi, patron (cacciato da Bankitalia) di Etruria …quindinelle dichiarazioni patrimoniali pubblicate sul sito di palazzo Chigi del 2014 (relative al 2013) e confermate senza variazioni nell’agosto 2015, avrebbero giurato «sul proprio onore», simulando un alzheimer patrimoniale nella perdita di memoria, circa gli affari con il presidente di Banca Etruria prima del commissariamento, oggi nell’indagine della Procura di Arezzo.
Tutto è consentito al capitalismo casinò, che si alimenta necessariamente dei persistenti conflitti d’interessi, una Banca che operava come loggia aretina di un Giglio magico, dove agiva indisturbato un microcosmo di professionisti della truffa diversamente aguzzini, attori della commedia dell’arte contemporanea, che bivaccavano allegramente alle spalle dei soliti gonzi caduti nella rete, o per servilismo congenito o per vigliaccheria professionale o per interesse di bandiera. Giornalisti generosamente corrisposti, amici e parenti dei babbi storici Renzi e Boschi, generatori di ricchezza fiat, truffe agli anziani/pensionati risparmiatori, affari in società ratificate e condivise, un premier arlecchino servitore di tanti padroni, minacciato dalla sindrome anomala del cazzaro, una giovane colombina dagli occhi azzurri, che incanta gli animi col suo aspetto ipoteticamente verginale … e infine un amico degli amici, finanziatore disinteressato, che gestisce un fondo d’investimento con sede a Londra, e divenuto anche commendatore per grazia ricevuta da Napolitano (desaparecido all’ultima edizione della Leopolda-show).
Insomma una specie di eden finanziario, una banca progettata e realizzata dai gran visir della finanza nostrana, come bancomat del Pd e deposito di truffa e malaffare ai danni dei cittadini, inesperti e facilmente aggredibili, derubati dei risparmi di una vita e poi abbandonati al loro destino di gonzi predestinati. Tra i responsabili c’erano fratelli, cognati, dirigenti e funzionari bancari, un vero e proprio comitato d’affari dalle mani impastate in losche faccende, nucleo fondante del primo partito al governo. Proprio Davide Serra poi sembra essere stato uno dei maggiori beneficiari della trasformazione in Spa delle Banche popolari, avendo acquistato azioni di Banca Etruria a prezzo stracciato e rivendute poi a peso d’oro. Infatti il Decreto sulle banche popolari del 20 gennaio scorso, le ha trasformate in società per azioni, facendo lievitare del 60% di incremento i titoli dell’Etruria, una banca ormai in stato comatoso. Con un semplice emendamento dell’Investment compact, si è abrogato l’intero articolo 30 del Testo unico bancario, cioè è saltato il voto capitario, quel meccanismo che prevede che ogni azionista abbia un voto in assemblea, indipendentemente dal numero di titoli posseduti.
Con la riforma voluta e varata da Matteo Renzi, «Mettiamo le Banche Popolari nelle mani di speculatori, fondi esteri. Svendiamo loro il 25% dell’attività bancaria italiana», ha detto al Giornale il presidente della Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin. E tra questi c’è anche il fondo Algebris, il gruppo finanziario londinese di Serra, noto anche per una holding alle Cayman Island e per aver inneggiato all’abolizione del diritto di sciopero. Ebbene lo stesso Serra ha dichiarato da Londra, al Sole 24 Ore , che «investiamo sulle banche popolari» e in modo particolare «dal marzo 2014», aggiungendo successivamente, tramite un portavoce, che «Algebris Investments non ha fatto alcun acquisto di banche popolari nel 2015». Corollario particolarmente necessario perché il punto è che la Consob sta indagando su alcuni ordini di acquisto partiti da Londra appena prima del 16 gennaio scorso su alcune banche popolari appunto.

Stesso ciuffo alla Fonzie e stesso sguardo cialtrone, Davide Serra è l’amico-finanziere che oggi è immerso fino al collo nel caso Banche Popolari, per acquisti che sembrano partiti proprio da Londra e dal Lussemburgo e hanno fatto incetta con straordinario tempismo di titoli preziosi. L’amico degli amici, fenomeno della City, non ha mai nascosto il suo diritto a fare operazioni spregiudicate, come shortare sui titoli di Mps, dopo averne criticato le mosse effettuate per salvarla, ed è anche un generoso finanziatore (225mila euro) della “Fondazione Open”, la cassaforte delle fondazioni renziane, di cui segretario generale è proprio Maria Elena Boschi insieme al sottosegretario Luca lotti e al fidato Marco Carrai.
Certo … strani fenomeni paranormali.
E mentre la miseria sociale è in aumento, certe fondazioni politiche hanno bilanci sempre più milionari, come appunto la “Fondazione Open”, che ha chiuso il proprio bilancio con un incremento di fatturato del 50% rispetto all’anno precedente e con entrate pari a 1,2 milioni di euro, da parte di finanziatori ignoti.
Così dietro l’ipocrisia della privacy, il Presidente del Consiglio di uno stato che si dice democratico, e che dovrebbe rappresentare solo gli interessi del popolo, ha ottenuto complessivamente dal 2007 finanziamenti per circa 5 milioni di euro.
Intanto la Banca d’Italia sta cercando di far luce sui prestiti della Banca Etruria in conflitto di interessi, in uno sporco groviglio, che riconduce direttamente a Spa e cooperative vicine a Rosi. Alcuni nomi sono già venuti fuori, perché, come ricostruisce Valentina Errante sul Messaggero, Rosi è “amministratore anche della Egnazia Shopping Mall, controllata al 12% dalla Castelnuovese e al 31% dalla Nikila Invest, che, a sua volta, insieme a Tiziano Renzi, padre del premier Matteo, detiene il 40% della Party srl, mentre Laura Bovoli, madre del presidente del Consiglio, è l’amministratore unico della società”.
Quindi parafrasando Lenin in chiave postmoderna, il bail-in è questo … la fase suprema del capitalismo dei disastri e dei conflitti d’interesse … non è altro che la naturale evoluzione, estremizzata, del principio secondo il quale il risparmio cambia veste e identità … non più libera e sacra proprietà privata, quanto possibile investimento … volontario o facoltativo … ma comunque soggetto al prelievo forzoso.
Però il capitalismo è un sistema economico retto dal credito bancario, linfa vitale del sistema per consentirgli di funzionare e produrre, ecco perché i moderni ordinamenti costituzionali hanno adottato la tutela del risparmio quale obiettivo per garantire il corretto funzionamento del sistema economico nazionale. L’articolo 47 della Costituzione infatti “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, è fortemente protettivo nei riguardi del valore morale, politico ed economico del risparmio.
Dunque la tutela costituzionale si occupava di garantire tutto il ciclo economico della moneta, dalla formazione del risparmio fino al momento dell’investimento nelle aziende creditizie e nella loro funzione di erogazione del credito. Addirittura l’art.42 della Costituzione dava maggior peso alla tutela del risparmio che alla stabilità della moneta … invece dopo l’approvazione italiana del Trattato di Maastricht, il rapporto “costituzionale” tra tutela del risparmio e stabilità dei prezzi è mutato, innalzando la seconda a livello della prima, e trasformando senso e valore del risparmio privato, e di conseguenza della proprietà privata, ridotti a semplice tessera di sostegno del castello capitalistico.
In conclusione ciò che sorprende in questo gioco al massacro, è la metamorfosi del termine “risparmiatore” in quello di “investitore” … è il rovesciamento delle fondamentali regole che governano il funzionamento del capitalismo, infatti non si capisce come un organismo, quale l’Unione Europea, possa acconsentire che venga minato uno dei pilastri del sistema capitalistico costituito dalla sicurezza del risparmio, da sempre ritenuto un elemento imprescindibile dell’economia di mercato e rappresentato dal concetto stesso di “fiducia” nei mercati finanziari. Ma il capitalismo dei massacri sociali è appena iniziato … gestito da non-persone … che forse non hanno più nemmeno bisogno della nostra fiducia …

tratto da: (clicca qui)

2015.12.26 – La verita’ sui decreti salva Banche

Posted by Presidenza on 26 Dicembre 2015
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Negli istituti di credito la vendita alla clientela di prodotti non adeguati non è un fatto sporadico, ma la normalità. Il risparmio è stato dirottato dall’amministrato al gestito perché quest’ultimo garantisce profitti più alti alle banche, anche se comporta rischi molto maggiori per i clienti.

 

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Da quando è scoppiato lo scandalo del decreto “salva banche” e soprattutto dopo il suicidio del pensionato che ha perso tutti i suoi risparmi, nelle filiali è un continuo via vai di clienti che vogliono essere rassicurati rispetto ai propri investimenti.
Sono giorni che gli impiegati delle banche ripetono sempre la stessa storiella, che poi è quella suggerita dall’azienda e ripetuta dai giornali, ovvero che il problema è circoscritto, che i nostri clienti non corrono nessun rischio e che alla fine coloro che hanno perso i propri risparmi li hanno persi o perché sono degli ingenui e hanno firmato senza leggere oppure perché sono stati avidi e hanno sottoscritto prodotti rischiosi per ottenere mirabolanti rendimenti.

Questa però per l’appunto è una storiella che non rispecchia assolutamente la realtà dei fatti e pertanto, preso dalla rabbia, ho scritto le verità su come le banche gestiscono i piccoli risparmiatori che difficilmente televisioni e giornali vi racconteranno.

 
1. Le vittime dei piani di “salvataggio” sono per lo più piccoli risparmiatori. La maggior parte di questi sono pensionati con depositi fino a 100.000 euro, frutto solitamente della liquidazione e dei risparmi di una vita. Sono i soldi che speravano di dare ai figli per comprare casa e metter su famiglia oltre ad essere una garanzia per la propria vecchiaia.

 
2. I soldi dei risparmiatori non erano stati investiti in prodotti altamente speculativi come i derivati, ma in semplici obbligazioni subordinate, ovvero obbligazioni che danno un rendimento leggermente superiore alla miseria che danno i “normali” bond ma che, pochi sanno, in caso di default dell’emittente mettono chi li detiene in fondo alla lista dei creditori.
Per chi non è del mestiere l’aggettivo “subordinato” vuol dire poco e niente e se in banca non te lo spiegano correttamente sei convinto di comprare un titolo obbligazionario tradizionale.

 
3. Non è vero che i prodotti venduti dalle altre banche, in particolare le grandi, sono privi di rischi. In questi anni gli istituti di credito hanno convinto, o meglio costretto, i clienti a dirottare i propri risparmi dall’amministrato al gestito.
In pratica se prima la stragrande maggioranza dei piccoli risparmiatori aveva in portafoglio obbligazioni che garantivano a scadenza il capitale investito e rendimenti solitamente predeterminati (sistema “amministrato”), ora invece hanno quote di fondi che per definizione non danno nessuna garanzia (sistema “gestito”). Il risparmio è stato dirottato dall’amministrato al gestito perché quest’ultimo garantisce profitti più alti alle banche, anche se comporta rischi molto maggiori per i clienti.

 
4. Negli istituti di credito la vendita alla clientela di prodotti non adeguati non è un fatto sporadico, ma la normalità. Se si facesse una corretta profilatura dei clienti sulla base delle loro conoscenze in ambito finanziario non si potrebbe vender loro null’altro che titoli di stato e obbligazioni emesse dalle banche. I questionari di profilatura vengono di fatto compilati dai gestori e fatti firmare ai clienti alla cieca spesso senza consegnare loro le “copie cliente”.
Quasi nessuno si legge un contratto di servizi di investimento, un prospetto o una scheda prodotto prima di sottoscrivere un investimento. In questi anni i provvedimenti adottati in tema di trasparenza hanno solo aumentato a dismisura le “carte” da siglare rendendo ancor più difficile per il cliente leggerle prima di firmare.
Parliamo per intenderci di contratti di 50 e più pagine redatte in un carattere piccolo, quasi illeggibile e per giunta scritte in un linguaggio per addetti ai lavori. Tenete poi presente che le operazioni di investimento si chiudono mediamente in poche decine di minuti, raramente si va oltre la mezzora.

 
5. Chi entra in banca per fare un investimento trova sopra le scrivanie la scritta “Consulenza”. Quelli che stanno dall’altra parte del tavolo però non sono consulenti indipendenti ma personale pagato per vendere quei prodotti che la banca gli ordina di vendere. Quando si va a comprare una qualsiasi cosa si è pienamente coscienti che il negoziante ha tutto l’interesse a vendere la sua mercanzia a prescindere dalla qualità e dalla convenienza della merce, ma per un inspiegabile timore reverenziale in banca non è così.
I clienti, se invece dell’insegna “pescheria” trovassero scritto “consulenza ittica”, scoppierebbero a ridere, mentre quando entrano in filiale non battono ciglio e non si accorgono del colossale conflitto di interesse delle banche che affermano di fare consulenza e contemporaneamente vendono i propri prodotti. Ormai il lavoro in banca non e’ da contabile e tantomeno da consulente. Tanto per iniziare per accedere al concorso non c’era bisogno di avere un titolo di studio attinente al campo bancario.
Durante tutte le prove dei concorsi a cui si sottopongono i concorrenti non hanno mai fatto test di materie in ambito finanziario. Ma vengono testate esclusivamente le capacità dei concorrenti. Si puo’ anche non sapere cos’e’ un conto corrente o un bonifico, l’unica cosa importante per essere assunto, se si e’ capaci “di vendere ghiaccio agli eschimesi”. D’altronde il contratto di apprendistato utilizzato nel settore del credito è formalmente finalizzato alla formazione di addetti commerciali.

 
6. Nonostante tutto questo non immaginatevi i bancari come persone senza scrupoli che godono a fregare la gente. La realtà del lavoro in banca è molto diversa da quello che normalmente si immagina. Gli impiegati più giovani hanno retribuzioni sostanzialmente identiche ai loro coetanei del settore privato, ma sopratutto secondo numerosi studi i lavoratori del credito sono tra i più stressati. Sono sottoposti ad asfissianti pressioni commerciali, a un costante mobbing tanto che molti soffrono di attacchi di panico e anche i giorni di malattia spesso sono dovuti a una qualche forma di “esaurimento”.

 
Ormai tutta l’organizzazione interna alle banche è finalizzata al commerciale. Gli stessi direttori di filiale non decidono quasi più nulla e il loro ruolo è quello di controllare e pressare i dipendenti. I report sul raggiungimento degli obiettivi arrivano due volte al giorno e se non sei in trend sulla settimana, sul mese, sull’anno sono cazzi. Invece di rafforzare gli organici operativi (da sempre caratterizzati da carenze) le banche preferiscono aumentare le figure dedicate esclusivamente al monitoraggio delle vendite e ad intervenire in caso di scostamento da quelli che sono gli obiettivi prefissati.

Si è creato così un piccolo esercito di quadri direttivi impegnati dalla mattina alla sera a pungolare e spesso ad umiliare chi secondo loro non contribuisce adeguatamente ad aumentare la redditività dell’azienda. Mentre per i normali dipendenti ormai i premi sono una chimera, a questi moderni capetti le banche, in caso di raggiungimento degli obiettivi, garantiscono incentivi che possono arrivare anche a diverse decine di migliaia di euro.

Con queste prospettive di guadagno e solo una cinquantina di persone da controllare immaginate che tipo di pressioni possono esercitare su chi è poi effettivamente a contatto con la clientela. E’ proprio per sfuggire alle pressioni, ai cazziatoni e alle umiliazioni che i bancari vendono ai clienti prodotti non adeguati.

 
Per tutelare realmente i piccoli risparmiatori sono poche le cose da fare:

Obbligare le banche a comunicare ai clienti che quella da la loro svolta non è un attività di consulenza ma un attività strettamente commerciale.

Ridurre la documentazione da sottoscrivere in caso di investimenti e mettere in rilievo le caratteristiche dei prodotti che realmente interessano i clienti ovvero il grado di rischio, la presenza o meno di garanzia del capitale e le prospettive di rendimento.

Vietare che lo stipendio dei lavoratori, dei quadri direttivi e dei dirigenti bancari sia legato anche solo in minima parte al conseguimento di obiettivi commerciali.

 
Infine la cosa più importante: le banche devono essere in mani pubbliche. Fin quando le banche dovranno distribuire utili agli azionisti e stare sul mercato i piccoli risparmiatori saranno sempre e solo vacche da mungere.

tratto da: (clicca qui)

2015.12.19 – Craig Roberts: gangster Nato e Isis, tutti uniti contro Putin

Posted by Presidenza on 19 Dicembre 2015
Posted in articoli 

Washington ha organizzato con la Turchia l’abbattimento di un cacciabombardiere russo, nonostante l’accordo tra Russia e Nato che non ci sarebbero stati scontri aria-aria nella zona delle operazioni aeree russe in Siria.

Washington non si oppone al terrorismo. Ha creato appositamente il terrorismo per molti anni. Il terrorismo è un’arma che Washington intende utilizzare per destabilizzare la Russia e la Cina esportandolo alle popolazioni musulmane in Russia e Cina.

Putin deve essere rispettato per aver riservato più valore alla vita umana di quanto non facciano Washington e i suoi vassalli europei, e per aver evitato risposte militari alle provocazioni.

 

Una delle lezioni della storia militare è che, una volta che la mobilitazione bellica abbia avuto inizio, essa assume una dinamica propria e incontrollabile. Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi, non riconosciuto. Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo. Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la sua guerra contro l’Isis. La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’Isis e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi. La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’Isis trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale gangster che governa la Turchia stessa.

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Paul Craig Roberts

 

 

Washington è stata colta di sorpresa dalla fermezza della Russia. Temendo che il rapido successo di tale decisiva azione russa avrebbe scoraggiato i vassalli Nato di Washington dal continuare a sostenere la sua guerra contro Assad e dall’usare il suo governo fantoccio a Kiev per tenere sotto pressione la Russia, Washington ha organizzato con la Turchia l’abbattimento di un cacciabombardiere russo, nonostante l’accordo tra Russia e Nato che non ci sarebbero stati scontri aria-aria nella zona delle operazioni aeree russe in Siria. Anche se nega ogni responsabilità, Washington ha usato la bassa intensità della risposta russa all’attacco, per il quale la Turchia non si è scusata, per rassicurare l’Europa che la Russia è una tigre di carta. Le “presstitute” occidentali hanno strombazzato: la Russia è una tigre di carta.
La bassa intensità nella risposta del governo russo alla provocazione è stata usata da Washington per rassicurare l’Europa che non vi è alcun rischio nel continuare la pressione sulla Russia in Medio Oriente, Ucraina, Georgia, Montenegro e altrove. L’attacco di Washington ai soldati di Assad viene utilizzato per rafforzare la convinzione che si sta inculcato nei governi europei che il comportamento responsabile della Russia per evitare la guerra è invece un segno di paura e di debolezza. Non è chiaro fino a che punto i governi russo e cinese capiscano che le loro politiche indipendenti, ribadite dai presidenti di Russia e Cina il 28 settembre, siano considerate da Washington come “minacce esistenziali” per l’egemonia statunitense. La base della politica estera degli Stati Uniti è l’impegno ad evitare il sorgere di poteri in grado di condizionare l’azione unilaterale di Washington. La capacità di Russia e Cina di fare proprio questo li rende entrambi un obbiettivo.
Washington non si oppone al terrorismo. Ha creato appositamente il terrorismo per molti anni. Il terrorismo è un’arma che Washington intende utilizzare per destabilizzare la Russia e la Cina esportandolo alle popolazioni musulmane in Russia e Cina. Washington sta usando la Siria, come una volta l’Ucraina, per dimostrare l’impotenza della Russia all’Europa – e anche alla Cina, essendo una Russia impotente un alleato meno attraente per la Cina. Per la Russia, la risposta responsabile alle provocazioni è diventata una forma di passività, perché incoraggia ulteriori provocazioni. In altre parole, Washington e la sprovvedutezza dei suoi vassalli europei hanno messo l’umanità in una situazione molto pericolosa, in quanto le uniche scelte rimaste a Russia e Cina sono quelle di accettare il vassallaggio americano o di prepararsi per la guerra.

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Putin

 

Putin deve essere rispettato per aver riservato più valore alla vita umana di quanto non facciano Washington e i suoi vassalli europei, e per aver evitato risposte militari alle provocazioni. Tuttavia, la Russia deve fare qualcosa per rendere i paesi della Nato consapevoli che ci sono gravi costi nel loro essere così accomodanti verso l’aggressione di Washington contro la Russia. Ad esempio, il governo russo potrebbe decidere che non ha senso vendere energia ai paesi europei che si trovano in uno stato di guerra di fatto contro la Russia. Con l’inverno alle porte, il governo russo potrebbe annunciare che la Russia non vende energia ai paesi membri della Nato. La Russia avrebbe perso i suoi soldi, ma è più conveniente che perdere la propria sovranità o una guerra. Per porre fine al conflitto in Ucraina, o per aumentarne l’intensità oltre la volontà dell’Europa a parteciparvi, la Russia potrebbe accettare le richieste delle province separatiste di ricongiungersi con la Russia. Per Kiev, continuare il conflitto significherebbe che l’Ucraina dovrebbe attaccare la stessa Russia.
Il governo russo ha fatto affidamento su risposte responsabili e non provocatorie. La Russia ha adottato un approccio diplomatico, confidando su governi europei realisti, capaci di rendersi conto che i loro interessi nazionali divergono da quelli di Washington e in grado di cessare di consentire la politica egemonica di Washington. La politica della Russia non ha avuto successo. Le risposte responsabili della Russia sono state utilizzate da Washington per dipingere la Russia come una tigre di carta che nessuno deve temere. Ci ritroviamo con il paradosso che la determinazione della Russia ad evitare la guerra ci sta portando direttamente in guerra. Che i media russi, il popolo russo e la totalità del governo russo lo capiscano o meno, questo deve essere evidente per i militari russi. Tutto ciò che i capi militari russi devono fare è guardare la composizione delle forze inviate dalla Nato per “combattere l’Isis”.

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Il bombardiere Su-24 abbattuto dai turchi

 

Come fa notare George Abert, gli aerei americani, francesi e britannici che sono stati dispiegati sono aerei da combattimento il cui scopo è il combattimento aereo, non l’attacco al suolo. I caccia non sono stati dispiegati per attaccare l’Isis a terra, ma per minacciare i cacciabombardieri russi che stanno attaccando i bersagli dell’Isis al suolo. Non vi è dubbio che Washington stia spingendo il mondo verso l’Armageddon e l’Europa ne sia l’attivatore. I pupazzi “acquistati-e-pagati-come-marionette” di Washington in Germania, Francia e Regno Unito sono stupidi, indifferenti o impotenti a sfuggire alla morsa di Washington. A meno che la Russia non svegli l’Europa, la guerra è inevitabile. I guerrafondai neocon totalmente malvagi e stronzi hanno insegnato a Putin che la guerra è inevitabile?

Guardate questo video, in cui Putin dice: «Cinquant’anni fa anni fa le strade di Leningrado mi hanno insegnato una lezione: se la lotta è inevitabile, colpisci per primo!».

tratto da: (clicca qui)

 

 

Perché le regole europee proibiscono quello che è normale in tutto il mondo, che si studia nei libri del triennio, che si deve sapere per laurearsi, e che nel caso che ci riguarda ha controindicazioni risibili? Perché le regole europee limitano la sovranità statuale ai due poteri residui, quello di imporre tasse e quello di dichiarare guerra?

 

 

di Alberto Bagnai

Sembra che finanziare con moneta la spesa pubblica sia qualcosa di inconcepibile, una bestemmia, una prassi non solo e non tanto deprecabile per motivi etici (in quanto svincolando i politici dai mercati sarebbe scaturigine certa di coruzzzzzzzzzione – perché il privato, si sa, moralizza, come il caso VW dimostra…), quanto inesplorata, bislacca, non contemplata dalla teoria economica e in quanto tale fonte di rischi imponderabili, qualcosa di cui non si deve nemmeno parlare; o, meglio ancora: qualcosa di cui, se proprio se ne deve parlare, se proprio non se ne può fare a meno, occorre farlo in termini altrettanto bislacchi, che veicolino l’idea di eccezionalità, di stramberia: helicopter money, unconventional policy, QE for people, e via dicendo.

Quale plastica rappresentazione di sardanapalesca, sterile e iniqua prodigalità, in queste espressioni! Gettare balle di banconote da un elicottero, così, a spaglio, a rischio che cadano nel ben recintato giardino del ricco Epulone, oppure stampare moneta così, per darla alla gente, senza che questa abbia fatto alcunché per meritarsela – incitando quindi il popolino all’ozio, allo scialacquamento, col loro sciagurato corteggio di depravazioni: la lussuria, l’etilismo, la violenza domestica…

Questa è la narraffione (le due “f” sono un errore politico, non un errore di pronuncia) del finanziamento monetario del deficit nella stampa odierna.

Molti di quelli che indulgono in queste (pretese) innovazioni lessicali lo fanno solo perché sono dei dilettanti, privi di esperienza di ricerca e di insegnamento in economia, e vogliono semplicemente fare i fighi. Capiscono che dire “stampare moneta” come un Giannino qualunque è cosa sciatta, da bar di periferia, e si danno una verniciata di professionalità ricorrendo a un lessico un po’ più à la page.

Ma così facendo, purtroppo, come tutti i volenterosi neofiti, fanno più danni del nemico.

Cerco di farvi capire perché in tre foto, delle quali non vi chiedo di capire tutto. Voi provate a leggerle. Poi ne parliamo…

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Ma………..                              Ma……………..                Ma……………….

 

“Ma no, dai, Bagnai, te lo sei scritto tu questo testo! ‘Il finanziamento con base monetaria’, che assurdità! Le scemenze dei noeuro, che cercano di convincerci che il ritorno alla sovranità monetaria avrebbe un senso, anche perché provvederebbe i governi di una forma di finanziamento aggiuntiva oltre al debito, una forma di finanziamento svincolata dal ricatto dei “mercati” perché disponibile a costi sostanzialmente irrisori. Dai, su, che è questa robaccia? Non ha peer review, per fortuna, e spero bene che non venga insegnata nelle università…”.

No, non è esattamente così.

Sono le pagine 268-270 di questo libro, che, come sapete, è stato tradotto in inglese dalla Cambridge University Press (con l’endorsement di uno de passaggio, come potete notare…), ed è quindi, con questo, uno dei due manuali di economia prodotti da autori italiani più diffusi all’estero (Acocella è stato tradotto anche in cinese). Casualmente, i due autori sono stati prima miei maestri e poi miei colleghi nel dipartimento di economia fondato da Caffè, che tanti dolori ci ha dato (da Draghi in giù, fino a Padoan…).

Quindi materiale ultraortodosso, tanto valido da essere adottato in università estere, a Atene, ma anche nella patria dell’ordoliberismo, ma anche a Londra, ecc. (per non parlare, ovviamente, di Pescara).

Capito come?

In tutto il mondo si studia, perché si deve studiare, altrimenti non si passa l’esame, che quello con base monetaria, nelle forme istituzionali storicamente e giuridicamente definite, è una delle possibili forme di finanziamento della spesa pubblica, o meglio, di copertura dello scarto fra le voci di spesa e le altre voci di entrata (raccolta fiscale, emissione di debito). Chi non lo sa semplicemente non passa l’esame, perché è materiale banale, ovvio. Non c’è nulla di non convenzionale, non si tratta di tirare a caso moneta dagli elicotteri, ma di scegliere politicamente quale parte di progetti di spesa decisi da un governo democraticamente costituito e soggetto al controllo democratico di un parlamento democraticamente eletto può essere finanziata ricorrendo al principale potere sovrano di ogni e qualsiasi stato: quello di battere moneta.

Non si tratta di chiedere al bancario centrale di dare una mancetta a tutti i cittadini perché la spendano in caramelle. Si tratta di finanziare investimenti, di assicurare l’operatività dei servizi pubblici, comprando benzina per le ambulanze e le volanti della polizia, comprando la carta igienica per i cessi delle scuole, e magari trasformando questi cessi in gabinetti; si tratta di evitare che ogni episodio di maltempo faccia un paio di morti; si tratta, se è il caso, e per tornare alla cronaca del giorno, di salvare istituzioni finanziarie. Nulla che possa essere fatto con un elicottero, o con un assegno staccato all’ordine di ogni cittadino.

Questa è la normalità, questo è quello che viene considerato convenzionale, ovvio, scontato, nei libri di testo undergraduate (cioè del triennio). È una politica assolutamente nota nelle sue implicazioni macroeconomiche, che, come sempre, sono duplici (perché non ci sono free lunch): il finanziamento monetario ha il vantaggio di portarti dal punto A al punto C della figura 11.1, quindi è più espansivo del finanziamento con debito, che ti porterebbe al punto B. Lo svantaggio è che se in B hai piena occupazione, il finanziamento monetario creerà tensioni sui prezzi. Ma ad oggi di “pieno impiego” non ne vediamo, e se ci sono “strozzature settoriali”, queste sono determinate solo dal fatto che la deindustrializzazione del nostro sistema economico sta sgretolando le filiere, e così obbliga chi una volta si riforniva dal vicino, nello stesso distretto, a rivolgersi a fornitori o a trovarsi clienti più distanti. Cosa che non sarebbe successa se fin dall’inizio della crisi si fosse intervenuti attivamente, con politiche espansive finanziate anche con moneta.

La più grande vittoria di quello che gli idioti chiamano “neoliberismo” (e che di “neo” ha ben poco, come sa e ci insegna chi invece studia e ricerca: un esempio fra tutti), è stata quella di averci fatto disapprendere quanto avevamo appreso dai nostri libri di testo (e dagli 80 milioni di morti della seconda guerra mondiale). Tutti, ormai, hanno disappreso la normalità, anche a sinistra, e così si fanno sorpassare a sinistra dagli economisti servi, che tornano alla carica cianciando di “lezioni apprese dalla crisi”, quando la crisi non ci ha insegnato nulla che non sapessimo già, che non fosse già nei nostri libri, compreso il modo per risolverla.

E uno di questi modi è, in presenza di calo di domanda e di rilevanti esposizioni debitorie, il finanziamento monetario della spesa pubblica.

Perché non lo si è fatto?

Ma è semplice, lo spiegava l’eterno secondo sul FT di due giorni fa, con riferimento al problema delle banche italiane:

“Resolving a public or private sector debt overhang through money printing is called debt monetisation — and it is strictly illegal under European law.

The central bank is allowed to buy debt instruments but only for the purpose of conducting its monetary policies — not to alleviate anyone of their burden. This opens a large grey area.

The official purpose of the ECB’s private and public sector asset purchase programmes — quantitative easing — is to achieve a higher level of inflation. If this goes on for a very long time — as I believe it will — it may end up as an ersatz debt resolution instrument.”

Non lo si fa perché le regole europee lo proibiscono.

E perché le regole europee proibiscono quello che è normale in tutto il mondo, che si studia nei libri del triennio, che si deve sapere per laurearsi, e che nel caso che ci riguarda ha controindicazioni risibili? Perché le regole europee limitano la sovranità statuale ai due poteri residui, quello di imporre tasse e quello di dichiarare guerra?

Bè, voi che siete qui lo sapete, no?

Raccontano che è perché i tedeschi, porelli, hanno tanta paura dell’inflazzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzione, ma noi abbiamo una visione più articolata del problema, sulla quale non torno. Gli ultimi arrivati faranno le loro domande (e riceveranno la risposta di prammatica: RTFM).

Nota bene: il barone di Munchausen dice che di fatto il QE è, o può diventare, appunto un surrogato del finanziamento monetario (ne parla con riferimento specifico alla risoluzione di crisi bancarie). Tecnicamente, il finanziamento monetario richiederebbe l’acquisto di titoli sul primario, e sappiamo che è vietato dal Trattato di Maastricht. Però che sia una cosa normale e che quindi di riffa o di raffa ci si debba arrivare, come vedete, lo ammettono tutti, anche sul FT. In ogni caso, al barone ancora sfugge una cosa che noi qui sappiamo bene, cioè che queste scappatoie sono inutili perché non possono alleviare il problema dell’Eurozona (non mi ripeto). Un finanziamento monetario camuffato, da parte della BCE, oltre a sollevare insormontabili problemi politici, non risolverebbe il problema degli squilibri fra paesi dell’Eurozona. Per risolvere questo problema è indispensabile che ognuno torni ad avere una valuta proporzionata alla forza della propria economia, ed è opportuno che ciò accada quanto prima, perché il passare del tempo non fa che acuire il divario fra le economie e quindi l’entità del necessario aggiustamento.

Ma il punto qui non è questo.

Il punto è che quando sentite qualcuno parlare di politiche “non convenzionali”, o di QE for people, o di helicopter money, o di quel che è, i casi sono due: avete di fronte un ingenuo, o un furbacchione. Riconoscere che il potere di emissione di moneta è un attributo essenziale e fisiologico della sovranità statuale (comunque costituita: in forma democratica, o in altre forme), significa distinguere fra un mondo nel quale lo Stato rivendica il diritto di poter agire per il bene dei propri cittadini, disciplinando i mercati, e un mondo nel quale si attribuisce ai mercati il diritto di comprimere la democrazia e il potere regolatorio dello Stato, nell’interesse dei mercati stessi. Se di helicopter money parla un liberista, va bene: è pagato per farlo. Ma se ne parla uno che vuole fare il keynesiano, allora forse dovreste tirarlo da una parte, e fargli capire una cosa che evidentemente gli sfugge: siamo in guerra, ed è una guerra di annientamento dei nostri patrimoni, della nostra civiltà, della nostra cultura. Questa guerra richiede una resistenza anche culturale. Accettare il lessico del nemico (helicopter money), entrare nel suo frame, anche se ammantato di piacevole, vellicante, rassicurante populismo (QE for people) significa aver già perso.

Quello che va capito e rivendicato è che in tutto il mondo il finanziamento monetario della spesa pubblica da parte di una banca centrale nazionale è, o è stato (e comunque tornerà ad essere), una delle modalità ammissibili di esercizio della sovranità economica dello Stato. È letteralmente roba che si studia a scuola, sono lebbasi, le fottute bbasi della politica economica. Qualsiasi artificio lessicale, qualsiasi espressione distolga da questo principio elementare, qualsiasi arzigogolo intenda offuscare quanto vedete nelle tre pagine che ho fotografato sopra per voi, va visto con estremo sospetto, e, nella misura del possibile, cauterizzato con il dovuto garbo.

Perché una cosa è, spero, evidente a tutti voi: chi è parte del problema, non può essere parte della soluzione (per quanto aspiri a candidarsi a questo ruolo).

Da questa crisi non usciremo senza monetizzazione del deficit da parte di banche centrali nazionali.

Un giorno Munchau ce lo spiegherà dal Financial Times.

Voi sarete, come al solito, preparati.

Un semplice grazie non sarà sufficiente: ci vorrà anche un contributo ad a/simmetrie, che sarete fra i pochi a potervi permettere, essendo scampati al sacro macello dei fessi che “l’euro è solo una moneta”…

Good luck (e se passa un elicottero, scansatevi: non sia mai la mancia decidono di darvela in monete da due euro…)!

Tratto da: (clicca qui)