Pubblicazione1Una manifestazione per l’indipendenza della Catalogna (Infophoto)

Il Parlamento catalano ha approvato la proposta di risoluzione indipendentista con cui si annuncia la volontà di “disconnessione” dalla Spagna e si “proclama solennemente” l’inizio della costruzione della repubblica catalana. E’ quanto riportano i media spagnoli, precisando che la dichiarazione ha ricevuto 72 voti favorevoli (di ‘Junts pel Si’ e la ‘Cup’) e 63 contrari (‘Ciutadans’, ‘Psc’, ‘Catalunya Si que es Pot’ e ‘Pp’).

I gruppi indipendentisti si sono quindi imposti sul fronte dell’opposizione, che ha criticato fortemente la proposta.

La risoluzione approvata oggi, esattamente un anno dopo la consultazione del 9 novembre 2014 sull’indipendenza, come ricorda ‘El Mundo’, prevede in uno dei suoi punti anche la disobbedienza alla Corte Costituzionale. Nel frattempo, il capo del governo spagnolo, Mariano Rajoy, ha parlato della questione con il leader del Psoae, Pedro Sanchez. Rajoy e Sanchez si incontreranno domani al Palazzo della Moncloa, per discutere di azioni “concertate” contro il processo secessionista catalano.

“Questo Paese ha da tempo detto, forte e chiaro, che è il momento di mettercela tutta”, ha detto prima della votazione il deputato di Junts pel Si Raul Romeva, della coalizione promossa dal capo dell’esecutivo catalano Artur Mas. L’approvazione della risoluzione è stata accolta da un applauso degli indipendentisti, Mas compreso. Nella Camera catalana sono quindi state sventolate bandiere secessioniste, ma anche alcune della Spagna da parte dei deputati del Partido Popular di Rajoy.

Rajoy ha comunque definito l’iniziativa degli indipendentisti un “atto provocatorio“, che è pronto ad impugnare di fronte alla Corte costituzionale. L’intenzione del premier spagnolo è che il tribunale sospenda la risoluzione in misura cautelare, così come avvenuto un anno fa per la consultazione sull’indipendenza.

Rajoy ha iniziato il processo per impugnare di fronte alla Corte costituzionale la dichiarazione di indipendenza. “Siamo decisi a utilizzare tutti i mezzi che lo Stato di diritto ha messo a disposizione della democrazia per difenderla”, ha annunciato il premier spagnolo poco dopo il via libera dei partiti indipendentisti catalani all’inizio formale del processo indipendentista. “Non ci sarà nessuna frattura. Siamo una nazione libera ed europea, una democrazia avanzata.

Preserveremo tutto il buono raggiunto insieme”, ha scritto Rajoy su Twitter. Il premier ha quindi chiesto “agli spagnoli di stare tranquilli e di avere fiducia nelle loro istituzioni”.

Rajoy ha quindi chiesto al Consiglio di Stato di esprimersi entro 24 ore sulla presentazione di un ricorso alla Corte costituzionale. Il Consiglio dei ministri, ha detto, dovrebbe dargli quindi il via libera domani e mercoledì verrà presentato al tribunale.

“Chiederò l’immediata sospensione di questa iniziativa e di tutti i possibili effetti”, ha affermato Rajoy, precisando che chiederà di informare al riguardo anche la presidente del Parlamento catalano, l’indipendentista Carme Forcadell, affinché sappia che la risoluzione “non ha nessun valore né conseguenze”. Il premier ha poi chiarito che preferisce non arrivare all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, sulla sospensione dell’autonomia per una regione nel caso in cui non rispetti le leggi in vigore. “Vorrei che fosse l’ultimo” passo, ha chiarito.

tratto da: (clicca qui)

 

Il TTIP allenterà le misure di sicurezza imposte alle banche statunitensi dopo la crisi, restituendo tutto il potere nelle mani dei banchieri. Allenterà la privacy: i fornitori di servizi internet potranno controllare quello che facciamo. E aumenterà pure la disoccupazione, come ha ammesso anche l’UE, perché il lavoro si sposterà negli USA dove gli standard e i diritti dei lavoratori sono più morbidi. E, come se tutto ciò non bastasse, le multinazionali potranno anche fare causa ai Governi se con le loro politiche causeranno loro una perdita di profitti.

 

Pubblicazione1

 

di Claudio Messora

Il TTIP è un accordo internazionale segreto. Ultrasegreto. Punto. Dopo feroci proteste, la Commissione Europea ha dato una risposta che, se possibile, rappresenta una presa per i fondelli ancora maggiore rispetto alla segretezza totale. Volete un esempio?

Oggi ha pubblicato un “dettagliato” report di ben 22 pagine sull’undicesimo round di negoziazioni TTIP con gli USA. Lo ha pubblicato qui, con il pomposo nome di “TTIP Transparency“. Non dovete credere a me: dovete solo aprirlo e guardarci dentro. Capirete in un lampo cosa intende la UE per “trasparenza” sul TTIP.

Non ci troverete nulla, se non “le parti hanno approfondito”, “le parti hanno esplorato”, “le parti si sono confrontate”. Hanno approfondito… e cosa si sono dette? Hanno esplorato… e cosa ne hanno concluso? Si sono confrontate… e come si sono orientate? Nulla, nessun contenuto.

Sarebbe come se un telegiornale desse una notizia così: “oggi è successa una cosa a qualcuno che ha avuto alcune conseguenze su qualcos’altro“.

Questa è la trasparenza della Commissione Europea sul TTIP, mentre sappiamo esattamente cosa ci sarà dentro, perché sarà fatto così, come hanno fatto il TPP, il cui testo definitivo è stato pubblicato in questi giorni negli Stati Uniti d’America ed è peggiore del peggiore incubo. Benvenuti nel magico mondo di Orwell.

tratto da: (clicca qui)

 

Messora a La Gabbia: perché tengono segreto il TTIP

 

 

Gianluigi Paragone: Claudio Messora, tu sei stato al Parlamento europeo con i Cinque Stelle e da tempo parli di questo trattato sul tuo blog. Cos’è veramente e perché non ci fanno sapere niente?

Claudio Messora: Non ci fanno sapere niente perché altrimenti non riuscirebbero mai a farlo. Sapremo tutto alla fine, quando ormai sarà troppo tardi. Quello che succede è che gli Usa vogliono creare un nuovo blocco globale che assicurerà il dominio delle grandi corporation americane. E’ quella che Wikileaks chiama una partita per il controllo finale. Il TTIP sarà l’atto conclusivo.
Si tratta di un gigantesco accordo commerciale con la UE che abolirà le barriere commerciali. Il suo scopo è di aggirare l’Organizzazione Mondiale del Commercio, dove i Brics hanno preso troppo potere. E isolare la Cina.

Paragone: E come pensano di fare?

Messora: Semplice: stanno costruendo un grande blocco fatto da 51 paesi del mondo, cioè un miliardo e seicentomila persone, e due terzi del Pil mondiale. Contro questo progetto, tre milioni e mezzo di cittadini europei hanno firmato una petizione e il 10 ottobre a Berlino sono scese in piazza 250mila persone. Purtroppo però nessuno ne parla.

Paragone: come mai?

Messora: Ci sono almeno sei motivi importanti.

1) Privatizzerà i servizi pubblici, liberalizzando la sanità, l’istruzione e l’acqua. Come in America, se non avrete un’assicurazione privata, nessuno vi curerà.

2) Distruggerà la sicurezza alimentare e ambientale, perché avremo le stesse normative USA. Normative, come noto, assai blande basti dire che negli States il 70% dei cibi venduti nei supermercati contiene OGM, che da noi sono vietati, viene fatto un uso disinvolto di pesticidi, che da noi sono vietati, e il 90% delle mucche sono bombate di ormoni della crescita, che da noi sono vietati perché ritenuti cancerogeni.

Paragone: Questo l’abbiamo spiegato anche noi con i nostri servizi.

Messora: Ma non è finita qui. Il Ttip, infatti, allenterà le misure di sicurezza imposte alle banche statunitensi dopo la crisi, restituendo tutto il potere nelle mani dei banchieri. Allenterà la privacy: i fornitori di servizi internet potranno controllare quello che facciamo. E aumenterà pure la disoccupazione, come ha ammesso anche l’UE, perché il lavoro si sposterà negli USA dove gli standard e i diritti dei lavoratori sono più morbidi. E, come se tutto ciò non bastasse, le multinazionali potranno anche fare causa ai Governi se con le loro politiche causeranno loro una perdita di profitti.
E’ già successo: in Germania, una società di energia svedese ha fatto causa allo stato per 3,7 miliardi di dollari, perché ha deciso di diminuire l’utilizzo del nucleare, dopo Fukushima.
In Australia, la British American Tobacco ha fatto causa allo stato per avere approvato una legge che limita la pubblicità delle sigarette.
E l’intero Egitto è stato portato in tribunale da un’azienda francese per aver alzato il minimo salariale.

Paragone: Sei riuscito a capire chi sta conducendo il negoziato per questo trattato?

Messora: Dovrei risponderti: le lobby. E quindi ti dico: la Commissione Europea. In particolare Cecilia Malmström, il Commissario per il commercio. Quella che ha detto che il suo mandato non deriva dai cittadini, e quindi delle nostre proteste se ne frega. Più chiara di così…

tratto da: (clicca qui)

2015.11.05 – La Grande Truffa – 16° parte

Posted by Presidenza on 5 Novembre 2015
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A grande richiesta proponiamo, a puntate, il libro “La Grande Truffa” di Paolo Maleddu, uno di noi, un grande uomo che per il suo coraggio, la sua lealtà e la sua voglia di verità si trova oggi sotto l’attacco duro e sleale dello Stato italiano, uno Stato burattino delle lobbies bancarie internazionali

 

 

 

 

 

 

 

Paolo MALEDDU: “Ho scritto questo libro per una incontenibile necessità di condividere con quante più persone possibile un insieme di informazioni nelle quali mi sono imbattuto, e che hanno gradualmente aperto davanti ai miei occhi una visione del tutto nuova della realtà del mondo nel quale viviamo.
Una realtà insospettata, spaventosa, nella quale siamo immersi ma che non riusciamo a vedere, perché confusa dietro una barriera di notizie ed immagini sapientemente filtrate, falsate o anche solamente ignorate.
Le notizie che non vengono divulgate sono le più importanti.
C’è un mondo reale nel quale gli eventi scorrono così come avvengono, lieti o dolorosi che siano, in un flusso continuo. E uno parallelo, virtuale, creato dalla rappresentazione che i media danno di questa successione di eventi.
Noi viviamo nel mondo virtuale che ogni giorno radio, giornali, televisioni e cinema costruiscono per noi. “Educati” sin dai primi anni di scuola ad essere prigionieri di verità ufficiali, ci è poi difficile accettare versioni diverse, scomode, che non rientrano nei nostri orizzonti.”
“Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che si insegna “ad usum Delphini”, e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa.”

 

La Grande Truffa – dalla 1° alla 10°parte                       La Grande Truffa – 11°parte

La Grande Truffa – 12°parte                                        La Grande Truffa – 13°parte

La Grande Truffa – 14°parte                                        La Grande Truffa – 15°parte

 

 

 

 

L’emissione monetaria

LA GRANDE TRUFFA

Come gli usurai internazionali si impossessano
di tutta la ricchezza prodotta dalla popolazione mondiale

16° parte

 

 

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Capitolo X

 

FEDERAL RESERVE SYSTEM E STATI UNITI D’AMERICA

 

La storia degli Stati Uniti d’America è inscindibile da quella della lotta per il controllo dell’emissione monetaria. I coloni si ribellarono decisamente alla madrepatria inglese, iniziarono una guerra di indipendenza per conquistare una autonomia politica ed avere quella monetaria che però, già da cittadini americani, non riuscirono a conservare contro il ben più temibile nemico rappresentato dagli Usurai internazionali.

La Grande Usura ha trovato in nordamerica più resistenza che in Europa da parte della popolazione. Diversi grandi uomini di stato sono riusciti a contrastare ed a strappare in ripetute occasioni, ai banchieri ed ai loro complici politici, la proprietà della moneta.
Spesso a costo della loro stessa vita.

Nel 1700, mentre l’Impero Britannico era pesantemente indebitato con la banca centrale inglese a causa delle continue guerre necessarie alla costruzione e al mantenimento dell’impero, le colonie americane godevano di un relativo benessere.

Così Benjamin Franklin, scrittore, filosofo, uomo di stato americano protagonista del suo tempo, rispondeva agli interessati dirigenti della Banca d’Inghilterra che chiedevano quali fossero i motivi di tale prosperità :

“È semplice. Nelle colonie stampiamo la nostra moneta, chiamata certificato provvisorio coloniale. La emettiamo in quantità appropriate rispetto alla domanda del commercio e dell’industria per far sì che i prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore. In questo modo, creando noi stessi la nostra cartamoneta, ne controlliamo il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno”.

Le colonie conoscevano il segreto del denaro a corso forzoso senza riserva, ed i banchieri di Londra non erano per niente contenti. Nel giro di pochissimo tempo fecero proibire dal parlamento inglese l’emissione della cartamoneta nelle colonie, e secondo ciò che scrisse Benjamin Franklin nella sua biografia, questo fu il principale motivo della Rivoluzione Americana contro la madrepatria.

Naturalmente non c’è traccia di tutto ciò nella storia menzognera propinata ai giovani americani ed al resto del mondo con l’istruzione pubblica.

La rivoluzione contro la madrepatria si concluse vittoriosamente per i coloni americani, ma la battaglia per il controllo della moneta era appena iniziata. L’emissione del denaro passò da mani pubbliche a private e viceversa, lasciando numerose morti eccellenti nel cammino.

È una battaglia che fa onore agli abitanti delle colonie americane, che avevano ben chiaro che non c’è libertà ed indipendenza senza la proprietà popolare del denaro, tanto che nell’art. 1 della loro Costituzione attribuirono al Congresso il potere di battere moneta in nome del popolo.

Quattro presidenti, Thomas Jefferson, James Madison, Andrew Jackson e Abraham Lincoln si distinsero particolarmente nella guerra contro le banche.
Per quanto riguarda l’altro lato dei contendenti, c’è da mettere in evidenza il ruolo da protagonista di primo piano giocato dalla dinastia Rothschild.

Dal momento in cui Amschel Mayer Rothschild, autore della celebre frase “Datemi il controllo della moneta di un paese e non mi dovrò preoccupare di chi ne fa le leggi”, con una mossa da grande stratega divise i suoi cinque figli tra Francoforte, Londra, Parigi, Napoli e Vienna, inizia l’ascesa inarrestabile della dinastia.

Secondo Patrick Carmack e Bill Still, autori del video documentario “The money masters” (I signori del denaro), “Grazie alla collaborazione all’interno della famiglia, i Rothschild ben presto divennero incredibilmente ricchi e, alla metà dell’800, dominavano tutto il sistema bancario europeo ed erano indubbiamente la famiglia più facoltosa del mondo…..Non vi è alcun indizio che il ruolo predominante sulla finanza europea o mondiale dei Rothschild sia mutato”.
(…)
“Infatti, la seconda metà del XIX secolo fu nota con il nome di “Era dei Rothschild”. Nonostante le enormi ricchezze, la famiglia in genere ha coltivato un alone di invisibilità e sebbene essa abbia il controllo di decine di società industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una manciata di esse porta il nome Rothschild. Alla fine del XIX secolo, un esperto stimò che la famiglia Rothschild controllasse metà della ricchezza mondiale.
Qualunque sia l’entità della loro vasta ricchezza, è ragionevole presumere che, da allora, la loro percentuale di ricchezza mondiale sia aumentata”.

Secondo Patrick Carmack e Bill Still è ragionevole presumere che oggi controllino più della metà della ricchezza mondiale . . .

Come la rivoluzione contro l’Inghilterra, anche la guerra civile americana scoppiò a causa della battaglia per il dominio della moneta, nonostante la versione ufficiale di tutti i libri di storia, quella virtuale per il popolo gregge, indichi la schiavitù come motivo principale.

“Non ho alcuna intenzione di interferire, direttamente o indirettamente, con l’istituzione della schiavitù negli stati in cui essa vige. Credo che non abbia alcun diritto di legge per farlo e nemmeno vi sono incline”, Abraham Lincoln, presidente americano.

Dopo l’inizio della guerra civile ribadì che la stessa non aveva niente a che vedere con la questione della schiavitù:
“Il mio supremo obiettivo è quello di salvare l’Unione, non quello di salvare o abolire la schiavitù. Se potessi salvare l’Unione senza dover liberare neppure uno schiavo, lo farei”.

Andrew Jackson, eletto presidente per la seconda volta nel 1832 con lo slogan “Jackson e Nessuna Banca” era riuscito ad estinguere il debito con la banca centrale privata (“Ho ucciso la Banca!”).

La preoccupazione dei banchieri di perdere definitivamente il controllo del dollaro è palese in questo articolo già citato dell’Hazard Circular del 1862, pubblicazione finanziata dalla Banca d’Inghilterra controllata dai Rothschild, nella quale l’autore, il signor Hazard, agente dei banchieri e banchiere egli stesso, espone senza reticenze un ignobile piano :

“É probabile che la schiavitù venga abolita dalla guerra e la schiavitù come proprietà termini.
Io ed i miei amici Europei siamo favorevoli a che ciò accada, perché la schiavitù altro non è che la proprietà della forza lavoro ed implica il prendersi cura dei lavoratori, mentre il piano europeo, sospinto dall’Inghilterra, è che sia il capitale a controllare il lavoro controllando i salari. Il grande debito al quale i capitalisti mirano viene dalla guerra, e deve essere usato come strumento di controllo del volume di denaro. Per raggiungere lo scopo i buoni del tesoro devono essere usati come base dell’attività bancaria. Siamo in attesa che il Ministro del Tesoro lo proponga al Congresso. Non si può permettere che il Greenback, come viene chiamato, circoli come denaro per alcun tempo, perché noi non lo possiamo controllare. Ma noi possiamo controllare i buoni del tesoro, e attraverso loro l’emissione monetaria”.

I “greenbacks”, i dollari del popolo, non della banca centrale, divennero noti con quel nomignolo perché furono fatti stampare da Lincoln con inchiostro verde sul retro per essere facilmente riconoscibili.

Si parla quindi del sistema ancora in uso ai giorni nostri, far nascere il denaro come debito garantito dai buoni del tesoro coperti dal prelievo fiscale.

Con il controllo dei buoni del tesoro le banche centrali decidono la quantità di moneta da lasciare in circolazione, condizionando così l’economia.
Comprando titoli in cambio di moneta aumentano la quantità di denaro nel sistema bancario, vendendo buoni incassano moneta che viene quindi ritirata dalla circolazione.

Con la deflazione creata si creano innumerevoli disagi ai cittadini, come stiamo chiaramente constatando proprio in questo periodo. Deflazione significa carenza di denaro, difficoltà ad acquistare, quindi licenziamenti, disoccupazione, precarizzazione, riduzione degli stipendi.

Il compimento dell’ignobile piano che i banchieri progettavano già 150 anni orsono: rendere schiava la popolazione con il controllo dei salari, piuttosto che continuare a possedere schiavi che richiedono molteplici attenzioni.

A detta degli Usurai europei, era assolutamente necessario dividere e conquistare con la guerra la nascente superpotenza americana.

Leggiamo le parole di Otto Von Bismark, Cancelliere della Germania e quindi osservatore qualificato degli avvenimenti dell’epoca:

“La separazione degli Stati Uniti in confederazioni di pari forza era stata decisa di gran lunga prima della Guerra Civile da parte di alti poteri della finanza europea. Questi banchieri temevano che, qualora gli Stati Uniti fossero rimasti insieme come unica nazione, avrebbero ottenuto una tale indipendenza economica e finanziaria da pregiudicare il loro dominio finanziario del mondo”.

I banchieri francesi finanziarono con 210 milioni di franchi Napoleone III per impadronirsi del Messico e minacciare dal sud gli Stati Uniti.
Lincoln, preoccupato per il futuro dell’Unione, e rivoltosi ai banchieri di New York per avere i fondi necessari a portare avanti la guerra, si trovò di fronte ad una richiesta tra il 24 ed il 36 % di interessi per il prestito. I Grandi Usurai erano ansiosi di assistere al crollo della giovane potenza.

Lincoln, con il conforto della Costituzione americana che attribuisce al Congresso il diritto dell’emissione monetaria, iniziò a stampare soldi di stato di proprietà del popolo senza indebitarsi con le banche.

Ecco i punti chiave del pensiero di Lincoln riguardo all’emissione moneta:

“Il governo dovrebbe creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario per soddisfare il potere di vendita del governo e il potere di acquisto dei consumatori”.

“Il privilegio di creare ed emettere moneta non è solo la suprema prerogativa del governo, ma è anche la sua più grande opportunità creativa”.

“Con l’adozione di questi principi, ai contribuenti verranno risparmiate enormi quantità di interessi. Il denaro cesserà di essere il padrone e diventerà il servitore dell’umanità”.

Ancora un articolo apparso sul London Times, per mettere in risalto la preoccupazione dei banchieri che l’emissione di banconote dello stato non prese a prestito oneroso dalle loro banche potesse costituire un cattivo esempio per altre nazioni, ma soprattutto l’ammissione di una grande prosperità raggiungibile :

“Se questa malefica politica finanziaria, che ha le sue origini in Nord America, dovesse perdurare sino a consolidarsi, il governo fornirà il proprio denaro senza alcun costo. Ripagherà i suoi debiti e rimarrà senza debito. Avrà tutto il denaro necessario per mandare avanti il suo commercio. Diventerà prospero come mai nella storia del mondo. Le menti e la ricchezza di ogni nazione andranno verso il Nord America. Quel paese deve essere distrutto o distruggerà ogni monarchia sul pianeta”.

Il 14 Aprile 1865 Lincoln cadde sotto i colpi di arma da fuoco sparati da John Wilkes Booth al Teatro Ford.
Settanta anni più tardi un noto avvocato canadese, Gerald McGeer, nel corso di una audizione di cinque ore davanti alla Camera dei Comuni canadese dichiarò che Booth era un mercenario al soldo dei banchieri internazionali. Secondo un articolo pubblicato dal Vancouver Sun del 2 Maggio 1934:

“Abraham Lincoln, il liberatore degli schiavi immolatosi, fu assassinato a causa delle macchinazioni di un gruppo di banchieri internazionali che temevano le ambizioni di credito nazionale del Presidente degli Stati Uniti. Un solo gruppo al mondo, a quel tempo, aveva motivo di desiderare la morte di Lincoln. Essi erano gli uomini che si opponevano al suo programma per una valuta nazionale e che lo combatterono per tutta la durata della Guerra Civile, a causa della sua politica dei greenbacks”.

Ancora da “The money masters”, un particolare non di poco conto da mettere in evidenza, l’aiuto dato a Lincoln dallo Zar di Russia Alessandro II :

“Nel corso del 1863, Lincoln ebbe un aiuto inaspettato da parte dello Zar Alessandro II di Russia. Lo Zar, così come Bismark in Germania, sapeva quello a cui miravano i cambiavalute e aveva tenacemente negato loro la creazione di una banca centrale in Russia. Se l’America fosse sopravissuta e fosse rimasta fuori dalle loro grinfie, la posizione dello Zar sarebbe rimasta al sicuro. Se invece i banchieri avessero avuto la meglio separando l’America e restituendo le sue parti a Gran Bretagna e Francia, entrambe sotto il controllo delle rispettive banche centrali, essi avrebbero potuto minacciare nuovamente la Russia. Quindi lo Zar diede disposizioni che nel caso in cui l’Inghilterra o la Francia fossero intervenute attivamente in aiuto del Sud, la Russia avrebbe considerato tale atto come una dichiarazione di guerra. Quindi fece altrettanto inviando parte della flotta presente nel Pacifico verso il porto di San Francisco”.

Le banche centrali di Inghilterra e Francia erano sotto il controllo dei rami inglese e francese dei Rothschild.
Nel 1917 lo Zar di Russia venne spazzato via dalla rivoluzione bolscevica.

Sui finanziamenti dei banchieri internazionali per l’organizzazione della rivoluzione d’ottobre ed il suo consolidamento, costituiti soprattutto da capitali ebrei provenienti da New York, esiste ormai una vasta letteratura ampiamente rappresentata in internet, nonostante la storia ufficiale continui a non parlarne . . .

La Federal Reserve System è costituita da 12 banche che nell’insieme fungono da banca centrale americana.

Il nome fu scelto con la massima cura, essendo già state “bruciate” in precedenza denominazioni come “Banca del Nord America” e “Prima Banca degli Stati Uniti”.
Il federal presente nel nome serve ancora una volta per ingannare il popolo. Non c’è traccia di governo federale nella banca centrale americana, è totalmente privata.
Non opera nell’interesse pubblico della federazione di stati, ma per fare profitti in favore dei capitali privati che la posseggono, sfruttando la popolazione americana e mondiale.

Quanto al reserve, che vorrebbe far presumere l’esistenza di una solida riserva, altra menzogna: serve unicamente a dare al pubblico l’illusione di una copertura, l’emissione della cartamoneta è sempre stata di gran lunga superiore alla riserva aurea.

Ecco chi sono i soci della Federal Reserve di New York City, che controlla le altre filiali:

Rothschild Bank di Londra
Kuhn Loeb Bank di New York
Warburg Bank di Amburgo
Israel Moses Seif Bank d’Italia
Rothschild Bank di Berlino
Goldman Sachs di New York
Lehman Brothers di New York
Warburg Bank di Amsterdam
Lazard Brothers di Parigi
Chase Manhattan Bank di New York

Tutti gruppi bancari ben noti, eccetto questa misteriosa “Israel Moses Seif Bank of Italy”. Provate a digitarne il nome in internet per qualche informazione: vengono fuori molte informazioni interessanti correlate, ma niente di preciso su questo gruppo bancario. Mistero assoluto.

Le origini della Federal Reserve non sono per niente limpide: la proposta di legge istitutiva era stata scritta completamente da banchieri e, dopo tante contestazioni e ritocchi, approdava alla Casa dei Rappresentanti e al Senato il 22 Dicembre del 1913, due giorni prima di Natale, in una atmosfera di piena smobilitazione pre-festiva.

“I Parlamentari si preparavano a lasciare Washington per la sosta di Natale, rassicurati che il dibattito parlamentare non sarebbe avvenuto prima dell’anno successivo. In quel momento i creatori di denaro prepararono ed eseguirono il colpo più brillante del loro piano. In un solo giorno riuscirono a correggere tutti i quaranta passaggi in discussione dell’atto costitutivo e lo portarono rapidamente al voto. Lunedì 22 Dicembre 1913, l’atto fu approvato dalla Camera 282-60 e al Senato 43-23.”

Questa la descrizione dei fatti di Eustace Mullins.
Come sempre, le decisioni più importanti si prendono in assenza di democrazia, in situazioni limite come possono essere i momenti caotici e di minor partecipazione che precedono l’interruzione dell’attività parlamentare per scioglimento anticipato di camera e senato o in prossimità di vacanze estive o natalizie.

Esattamente come avvenuto, non certo casualmente in Italia nel 1992, con la legge che consegnava alla Banca d’Italia il diritto/privilegio di fissare in piena autonomia il tasso di sconto.
La vittima è sempre il popolo, nella sua funzione di “parco buoi”, bestiame al quale sottrarre latte, pelle, carne e la vita stessa.

La stesura della legge fu fatta in gran segreto a Jekyll Island, un’isola di proprietà di J. P. Morgan, sulla costa della Georgia, da alcuni banchieri privati rappresentanti delle grandi dinastie di banchieri, i Warburg, i Rockefeller ed i Rothschild principalmente, ed imposta al congresso.

Per far passare una tale proposta di legge era necessario un presidente amico come Woodrow Wilson, portato coi soldi dei banchieri, ai quali dovette restituire il favore, dalla cattedra dell’Università di Princeton alla presidenza degli Stati Uniti.

“Il finanziere di Wall Street Bernard Baruch fu incaricato dell’educazione di Wilson. Baruch portò Wilson alla sede del partito Democratico a New York nel 1912, guidandolo come un cagnolino al guinzaglio. Wilson ricevette un corso indottrinante dai leader là convenuti”. James Perloff

Lo stesso Bernard Baruch che all’inizio della Grande Depressione del ’29 portò Winston Churchill alla borsa di New York perché si rendesse conto del potere, suo e dei suoi colleghi banchieri, di seminare il panico tra operatori di borsa e popolazione.

Altro evento molto importante del 1913 negli Stati Uniti da tenere a mente: in Giugno era stata passata l’imposta diretta sui redditi, la IRS (internal revenue service).
O meglio, non è mai stata trasformata in legge federale perché mai ratificata dai ¾ di stati federali, come richiesto.

Negli Stati Uniti numerose persone al corrente della mancata ratificazione legale dell’IRS, si rifiutano di pagare tale tributo e non possono essere costretti a farlo. Naturalmente non troverete traccia di questo argomento sui media ufficiali.

Guardatevi in internet questo video: “America: freedom to fascism”, di Aaron Russo.
Le sorprese più incredibile vengono a galla se si inizia ad indagare su origini e funzionamento di insospettabili istituzioni statali, conferme di una terribile verità: lo stato è uno strumento di sfruttamento della popolazione, manovrato dalla Grande Usura internazionale.

Quale è il collegamento che lega tra loro questi due fatti?
Sempre lo stesso, il modello da seguire: i Buoni del Tesoro garantiti dal prelievo fiscale fungono da base per l’emissione monetaria e il controllo dell’economia .
Le tasse imposte sono la garanzia che le obbligazioni di stato (i buoni del tesoro), entrate nel possesso della Federal Reserve in cambio di banconote ancora senza valore o accredito in conto corrente, verranno onorate.

Un permanente ed inestinguibile debito pubblico viene così originato.
La funzione principale delle imposte non è il pagamento da parte nostra dei servizi che lo stato ci offre, ma piuttosto dare valore al “fiat money” (denaro fiduciario creato senza nessuna riserva) e assicurare che ci sia una fonte sicura alla quale attingere per un continuo travaso di denaro alle casse dei banchieri. Questa verità sta venendo a galla in modo palese ora che si stanno rapidamente tagliando i servizi con la scusa della crisi.

Perché vi facciate una idea della considerazione di cui godeva già allora la banca centrale americana vi farò leggere i pareri di chi sicuramente la conosceva molto meglio di noi.
Ecco le parole pronunciate nel 1923 dal deputato del congresso Charles Lindbergh, repubblicano del Minnesota, padre del famoso trasvolatore dell’oceano Atlantico:

“Il sistema finanziario…è stato rovesciato in favore del Consiglio della Federal Reserve. Quel Consiglio amministra il sistema di finanziamento per conto di… un gruppo di meri speculatori. Il sistema è privato, condotto con il solo scopo di ottenere i più alti profitti possibili utilizzando il denaro di altre persone.”

continua….

 

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Paolo Maleddu

 

 

 

 

 

 

 

 

Putin, lentamente, ha cambiato la Russia . Ha ricostruito lo Stato, ha recuperato parte di quell’eredità che l’oligarchia mafiosa aveva comprato alla fiera dell’est, per due soldi, ha curato i focolai tumorali che minacciavano la sopravvivenza della Federazione, ha riparato i carri armati e li ha svuotati degli adolescenti di leva, riempiendoli di soldati professionisti. Ha licenziato la leadership alcolista e investito in ricerca e sviluppo. Ha riaperto le fabbriche del complesso militare industriale che non è certo la chiave del futuro, ma che è tutto ciò che la Russia aveva e da cui poteva ripartire. L’elefante tramortito è ritornato orso e rifiuta le sbarre della gabbia che la Nato nell’ultimo decennio gli ha costruito addosso, a dispetto delle dichiarazioni di amicizia e di rispetto.

 

 

di Mario Rimini

Quando la Russia era amica degli Stati Uniti, Pavel Grachev era ministro della difesa, dal 1992 al 1996. Erano gli anni della transizione post sovietica. Il presidente Yeltsin e i suoi giovani riformatori traghettavano un paese lacero e miserabile verso un futuro di libertà stracciona, di occidentalismo predatorio, di privatizzazione da Far West. Una Russia società aperta, che danzava ubriaca sulla fune sopra il baratro. E senza rete di salvataggio. Era, quella, la Russia degli americani. In nessun periodo storico fu Mosca più vezzeggiata, lusingata e accarezzata dall’affabile alleato transatlantico. Nel momento in cui rinunciò a qualunque politica estera, a qualunque sfera di influenza, all’interesse nazionale e alla geopolitica, i sorrisi della politica americana si sprecarono per anni, promettendo ai russi integrazione, sviluppo, benessere. E consegnando invece, tutt’al più, una copia vintage e involgarita delle luci di New York sulle cupole zariste e i condomini khruscioviani lungo la Moscova. Pochi russi ammassavano fortune d’altri tempi sulle ceneri di una superpotenza in saldo. Una generazione di giovani vedeva scomparire l’istruzione, la sanità, la sicurezza di uno stipendio povero ma in grado di assicurare la spesa quotidiana e un tetto.

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Eltsin e Clinton

 

 

Milioni di ragazze scoprivano che i loro corpi avevano un mercato, per le strade di Mosca invase dai turisti o nelle città d’Europa finalmente accessibili per una schiavitù diversa dalla solita, e più brutale. Gli orfanotrofi traboccavano di creature malnutrite rifiutate da famiglie scomparse e abbandonate da uno Stato in bancarotta. La droga, il collasso dei servizi pubblici e l’anomia sociale mietevano un numero incalcolabile di giovani vittime ai quattro angoli di un impero arrugginito, venduto pezzo per pezzo come metallo di scarto sui mercati mondiali della corruzione e del malaffare. Mosca e San Pietroburgo, di notte, facevano paura. Crimine fuori controllo, omicidi spiccioli ed esecuzioni mafiose in grande stile terrorizzavano città senza più legge, dove la polizia sopravviveva grazie alle mazzette e all’estorsione e i malviventi regnavano come mai i Corleone e i Riina avrebbero potuto sognare nella loro terra. La Russia di Yeltsin non era più orso. Era semmai un elefante mutilato e sanguinante, cui bracconieri indigeni e stranieri somministravano stupefacenti per tenerlo in vita, mentre gli rubavano avorio, organi, e anima.
E poi c’era l’esercito. L’istituzione che aveva, sin dalla rivoluzione d’ottobre, rappresentato la gloria e la potenza, il vanto e l’orgoglio, il blasone e il sigillo della leadership mondiale della Russia dei Soviet. Non più Armata Rossa ma Russa, l’esercito era allora sotto la guida di Grachev. Una figura dimenticata ma preziosa, per capire la storia. Non la storia dei summit e delle dichiarazioni diplomatiche, no. La storia di uomini e donne, di carne e di sangue, di vita e di morte. La storia dei russi, contro la storia dei think tank e delle accademie e dei fondi monetari. Era il dicembre 1994 e Grachev aveva dichiarato con boria mediatica che l’esercito russo avrebbe potuto conquistare Grozny in 24 ore con un solo reggimento di paracadutisti. Perché oltre che dissanguata, derelitta e derubata, la Russia di Yeltsin era anche a un passo dalla disintegrazione. Regioni ribelli guidate da delinquenti e corrotti premevano per la secessione da un potere centrale che non aveva più potere, né centralità. E se il corpo rischiava la metastasi, il cancro da cui questo minacciava di diffondersi era la Cecenia.

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Eltsin e Grachev

 

 

Dicono i pettegolezzi, che sono un po’ anche cronaca, che Grachev avesse dato l’ordine di invadere Grozny di notte, ubriaco. E così la mattina di capodanno del 1995 la capitale caucasica fu svegliata dalle bombe e dai carri armati. Era la prima volta che l’Armata Russa combatteva. E fu un disastro che nemmeno gli analisti più cinici avrebbero previsto. Lungi dall’impiegare un solo battaglione di paracadutisti, Grachev riversò su Grozny tutto quello che aveva. Tank, artiglieria, aviazione. E lungi dall’ottenere la rapida vittoria che aveva promesso, si risvegliò dalla supposta sbronza con le notizie di una catastrofe nazionale. L’Armata Rossa non solo aveva cambiato nome. Non esisteva neanche più. C’era, al suo posto, l’esercito di Yeltsin. Della nuova Russia occidentale, prediletta discepola degli amici d’America. Un’armata brancaleone di ragazzini adolescenti strappati alle famiglie e scaraventati al fronte. Mezzi antiquati e colonne sbandate. Strategie militari da prima guerra mondiale. Se un simbolo della rovina materiale, morale e umana in cui la transizione benedetta dall’America aveva gettato la Russia esiste, questo e’ senz’altro la campagna cecena di Pavel Grachev. D’altronde, l’Armata Russa era la stessa di cui filtravano notizie di soldati ridotti alla fame nelle basi dell’estremo Oriente, o venduti a San Pietroburgo come prostituti a ora per clienti facoltosi, o massacrati nei riti d’iniziazione sfuggiti a qualunque regola e disciplina, o suicidi in massa per sfuggire a violenze e soprusi impuniti.
E così in Cecenia, dopo un bilancio di migliaia di soldati uccisi e fatti prigionieri, di una città rasa al suolo e di civili sterminati, il cancro non era stato nemmeno estirpato. E un anno dopo, i ribelli l’avrebbero riconquistata. Grachev perse la faccia. E la Russia con lui. Mentre le madri dei piccoli soldati usati come carne da cannone iniziarono le loro coraggiose manifestazioni pubbliche davanti ai lugubri ministeri moscoviti, che tanto le facevano assomigliare alle danze solitarie delle madri dei desaparecidos sudamericani. E sarebbe stata una ricerca disperata, straziante e inutile, perché dei figli soldati della Russia non v’erano notizie, né sepoltura, né nomi. Scomparsi nel nulla, saltati in aria nei carri sgangherati di Grachev, torturati nelle prigioni improvvisate dei mujaheddin ceceni. Inghiottiti dal drago di un paese allo sfacelo. Che però, allora, era il darling della Casa Bianca. Per questo, oggi, non capiamo Putin. Perché ci rifiutiamo di vedere la storia degli uomini e ci soffermiamo invece sui paper delle accademie. Quelli che ci dicono che Putin è un fascista che sta distruggendo la Russia. Quelli che ci parlano di un paese prigioniero di una nuova tirannia. Quelli che dipingono la Crimea come una nuova Cecoslovacchia e l’Ucraina come la Polonia di Hitler. Quelli che sono, oggi, la copia speculare di ciò che condannano: propaganda.

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Cecenia

 

 

Perché la Russia non è più stracciona, e Putin lentamente l’ha cambiata. Ha ricostruito lo Stato. Non è un modello di democrazia di Westminster, no di certo. Ma esiste, e fa qualcosa. Ha recuperato, legalmente e illegalmente, parte di quell’eredità che l’oligarchia mafiosa aveva comprato alla fiera dell’est, per due soldi. Ha curato i focolai tumorali che minacciavano la sopravvivenza della Federazione. Ha riparato i carri armati, e li ha svuotati degli adolescenti di leva, riempiendoli di soldati professionisti. Ha licenziato la leadership alcolista, e investito in ricerca e sviluppo. Ha riaperto le fabbriche del complesso militare industriale che non è certo la chiave del futuro, ma che è tutto ciò che la Russia aveva e da cui poteva ripartire. E quando il paese ha smesso di presentarsi ai summit internazionali scalzo e rattoppato per supplicare l’America e le sue istituzioni finanziarie di elargire un altro prestito ipotecando in cambio l’interesse nazionale, la Russia di Putin ne ha ripreso in mano il dossier. E ne ha rilette, una dopo l’altra, le pagine dimenticate.
La sorpresa della Crimea, per questo motivo, è tale solo per gli ipocriti, gli smemorati, e gli ingenui. La Crimea fu uno degli scogli più insidiosi su cui la transizione post sovietica rischio’ di naufragare, già negli anni ‘90, quando per poco non scatenò una guerra. In Crimea c’erano Sebastopoli e la flotta del Mar Nero. L’intera geopolitica zarista e poi sovietica aveva da sempre cercato lo sbocco verso il Mediterraneo, lo sanno anche i bambini delle medie. Non è certo un’invenzione di Putin. La Crimea è stata sempre la colonna portante dell’interesse nazionale russo. Non è Putin che ha stravolto la storia rivendicandola e riconquistandola. Era stata la debolezza e la disperazione degli anni di Yeltsin a far accettare obtorto collo a Mosca la rinuncia a una penisola che è insieme strategia e letteratura e icona e identità. La perdita della Crimea fu per i russi una dolorosa circostanza storica, mai una scelta coraggiosa.

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L’esercito russo in Crimea

 

 

L’aspro confronto tra Obama e Putin è tutto qui. L’elefante tramortito è ritornato orso. E rifiuta le sbarre della gabbia che la Nato nell’ultimo decennio gli ha costruito addosso, a dispetto delle dichiarazioni di amicizia e di rispetto. Il livore di Obama ha così dipinto la Crimea come la prova della cattiveria di Putin, e l’Europa sbadata gli ha creduto. E ora che la Russia interviene su uno scacchiere mediorientale da cui mancava da vent’anni, la Casa Bianca si agita scomposta. Ma vent’anni di egemonia statunitense in Medio Oriente e Nord Africa cosa hanno prodotto? La farsa dell’Iraq e la sua tragedia umana. Lo Stato Islamico e il suo regno di barbarie. Il collasso della Siria e i milioni di profughi e la sua guerra senza sbocco. La fine della Libia. Ed è solo l’inizio di un terremoto che l’America stessa ha scatenato, ma che le è ormai sfuggito di mano. Persino i paesi della regione lo sanno. E oggi iniziano a guardare a Putin più che a Obama, cui rimane la retorica da guerra fredda, l’uso spregiudicato delle sanzioni con la scusa dei diritti umani, e la scelta sconsiderata di perdere la Russia.

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Putin col ministro della difesa Sergeij Shoigu

 

 

Putin è un personaggio complesso, ma non è il diavolo. Ha il merito di avere mantenuto la Russia nella storia, in un momento in cui era tutt’altro che scontato. Il giovane ignoto che si insediò sullo scranno degli Zar quando Yeltsin barcollò via con un ultimo brindisi, non verrà giudicato dalla storia per i pettegolezzi su come abbia passato il compleanno e sul costo dell’orologio che porta al polso, temi oggi prediletti da riviste un tempo autorevoli come “Foreign Policy”. Il verdetto è già scritto. E’ nelle immagini che lo mostrano assieme al ministro della difesa Shoigu nelle stanze dei bottoni del suo esercito, da cui la campagna siriana viene coordinata. Sono passati solo due decenni, ma sembrano anni luce dalle gaffe di Yeltsin, e dalla disfatta cecena di Grachev. Se Obama non gradisce, non è per i diritti umani dei russi. Washington ha approfittato della penosa transizione russa per arraffare quanto più spazio geopolitico ha potuto, in Europa, in Medio Oriente, nel Pacifico. E adesso che al Cremlino non siede più un ubriacone cardiopatico, e l’esercito non è più il soldatino di latta di Grachev, l’America, di colpo, ha deposto le lusinghe. E ha perso il sorriso. E minaccia di trascinarci, tutti, in uno scontro frontale con la Russia. Per i suoi interessi, e contro i nostri. Che sono quelli di un’Europa che non si fermi di colpo alla frontiera bielorussa.

tratto da: (clicca qui)

2015.10.27 – La Grande Truffa – 15° parte

Posted by Presidenza on 27 Ottobre 2015
Posted in articoli 

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A grande richiesta proponiamo, a puntate, il libro “La Grande Truffa” di Paolo Maleddu, uno di noi, un grande uomo che per il suo coraggio, la sua lealtà e la sua voglia di verità si trova oggi sotto l’attacco duro e sleale dello Stato italiano, uno Stato burattino delle lobbies bancarie internazionali

 

 

 

 

 

Paolo MALEDDU: “Ho scritto questo libro per una incontenibile necessità di condividere con quante più persone possibile un insieme di informazioni nelle quali mi sono imbattuto, e che hanno gradualmente aperto davanti ai miei occhi una visione del tutto nuova della realtà del mondo nel quale viviamo.
Una realtà insospettata, spaventosa, nella quale siamo immersi ma che non riusciamo a vedere, perché confusa dietro una barriera di notizie ed immagini sapientemente filtrate, falsate o anche solamente ignorate.
Le notizie che non vengono divulgate sono le più importanti.
C’è un mondo reale nel quale gli eventi scorrono così come avvengono, lieti o dolorosi che siano, in un flusso continuo. E uno parallelo, virtuale, creato dalla rappresentazione che i media danno di questa successione di eventi.
Noi viviamo nel mondo virtuale che ogni giorno radio, giornali, televisioni e cinema costruiscono per noi. “Educati” sin dai primi anni di scuola ad essere prigionieri di verità ufficiali, ci è poi difficile accettare versioni diverse, scomode, che non rientrano nei nostri orizzonti.”
“Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che si insegna “ad usum Delphini”, e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa.”

 

La Grande Truffa – dalla 1° alla 10°parte                        La Grande Truffa – 11°parte

La Grande Truffa – 12°parte                                         La Grande Truffa – 13°parte

La Grande Truffa – 14°parte

 

 

L’emissione monetaria

LA GRANDE TRUFFA

Come gli usurai internazionali si impossessano
di tutta la ricchezza prodotta dalla popolazione mondiale

15° parte

 

 

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Capitolo IX

 

LA BANCA CENTRALE EUROPEA

 

La moneta appartiene al popolo che le dà valore accettandola e facendola circolare.
La Banca d’Italia è una banca privata.
Fa parte del SEBC, il sistema formato dalla Banca Centrale Europea e dalle banche centrali dei paesi membri.

Il Sistema Europeo delle Banche Centrali ha il monopolio dell’emissione dell’euro nell’unione monetaria.

Apriamo bene gli occhi: l’autorizzazione all’emissione dei nostri soldi viene dall’estero, dalla Banca Centrale Europea con la quale noi non abbiamo rapporti se non attraverso la privatissima Banca d’Italia, sulla quale non abbiamo nessun potere di controllo.
Non si presenta bene.

Questa situazione è stata creata ad arte per allontanare il potere reale dal controllo del popolo, costretto a seguire norme imposte non si sa da chi e per quali motivi.
Stiamo parlando della linfa vitale dell’economia, i soldi che così pesantemente condizionano le nostre vite.

Dove sta la Banca Centrale Europea? Come è organizzata? Che rapporti la legano all’Unione Europea?

Chi sono i banchieri che la guidano? Chi li ha scelti e da dove vengono?

Prima che scoppiasse in pieno questa grande crisi, le informazioni su euro e Bce erano piuttosto scarne.
Poche notizie dai media ufficiali, le televisioni fanno entertainment, ci intrattengono tenendoci lontani dai centri di potere che perciò possono indisturbati continuare a dare tagli netti ai nostri diritti e restringere i nostri spazi di libertà.

Saltuariamente ci arrivava qualche telegrafico comunicato dal governatore, eternamente “preoccupato” per l’inflazione, e perciò costretto, a parer suo, a tenere alto il costo del denaro.
Poi di lui non si sapeva più niente per qualche mese.

O per sempre, come accaduto con Duisemberg, il precedente governatore: trovato morto nella sua piscina, ma non per annegamento. Un infarto, forse all’interno della casa, nel salotto. Nessuna notizia certa, morte sospetta, i media si guardarono bene dal dare risalto alla notizia.
Come con il sistema monetario, tutto viene avvolto in un alone di mistero.

La Banca Centrale Europea è un ente sovranazionale del quale fanno parte le banche centrali dei paesi membri dell’Unione Monetaria, e non solo.

Ecco l’elenco dei suoi soci con le attuali quote (2009), aggiornate ogni quattro anni a seconda di variazioni di Pil, popolazione e ingresso di nuovi paesi:

 

Banca Nazionale del Belgio 2,83 %
Banca Centrale del Lussemburgo 0,17 %
Banca Nazionale della Danimarca 1,72 %
Banca d’Olanda 4,43 %
Banca Nazionale della Germania 23,40 %
Banca Nazionale Austriaca 2,30 %
Banca di Grecia 2,16 %
Banca del Portogallo 2,01 %
Banca di Spagna 8,78 %
Suomen Pankki 1,43 %
Banca di Francia 16,52 %
Banca Centrale di Svezia 2,66 %
Banca Centrale d’Irlanda 1,03 %
Banca d’Inghilterra 15,98 %
Banca d’Italia 14,57 %

 

Le Banche d’Inghilterra, di Svezia e di Danimarca, sebbene non siano entrate nell’unione monetaria, posseggono stranamente una quota della Bce e partecipano alla spartizione dei profitti derivanti dall’emissione dell’euro.

Mantengono così il controllo sulla loro moneta nazionale e, nella percentuale corrispondente alla loro quota nella Bce, beneficiano pure del signoraggio sull’euro. A conferma che l’emissione monetaria è un “business”, piuttosto che un diritto/dovere di ciascun singolo paese, ed un privilegio del quale unico beneficiario dovrebbe essere il popolo.

Curiosamente, i tre paesi sono monarchici.
Avranno ancora i moderni monarchi, così come i loro predecessori che concessero a privati il privilegio di emettere moneta, sostanziose partecipazioni nei pacchetti azionari delle banche?

La Banca Centrale Europea è stata istituita con il trattato di Maastricht che ha dato vita all’Unione Europea.

I nostri rappresentanti per la firma dell’accordo erano il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ancora l’ex-governatore di Bankitalia Guido Carli in qualità di Ministro del Tesoro, con De Michelis Ministro degli Esteri e Giulio Andreotti Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il governatore in carica della Banca d’Italia era Ciampi.

Come già ricordato, queste stesse persone firmarono il 7 febbraio 1992 la legge N. 82 sul tasso di sconto che sanciva il definitivo distacco del potere bancario da quello politico rappresentante il popolo. La consacrazione, nero su bianco, della consegna della sovranità in materia monetaria dal cittadino all’anonimo banchiere.

La BCE ha la sua sede fisica a Francoforte, in Germania, ma gode di una sorta di extraterritorialità, in quanto non risponde a nessuna legge nazionale o europea.

Detto così suona come qualcosa di astratto, che non riguarda noi, extraterritoriale ed extraterrestre, appunto. Un ente giuridico che, a differenza di noi comuni mortali imbambolati e sottomessi, non paga tasse.

È stata istituita con il trattato di Maastricht, ma è sovranazionale e non risponde alle leggi comunitarie. I suoi membri, nell’espletamento delle loro funzioni, non sono perseguibili da nessuna legge, immuni da ogni responsabilità.

Un modo di organizzare la società degli uomini che ha come fine principale quello di togliere contenuto umano identificabile alle azioni di queste entità giuridiche.
Rendendole impersonali, i loro controllori mantengono i privilegi, allontanando però le responsabilità.

I vantaggi sono personali, le responsabilità sono difficilmente individuabili, si perdono nei labirinti della giurisprudenza.

Non c’è presidente del consiglio, presidente della repubblica o monarca, ad avere il potere, la durata nell’incarico, l’insindacabilità di un presidente o alto dirigente della Banca Centrale Europea.

La Bce dà ai governi indicazioni che sono piuttosto ordini, parametri a cui attenersi, ma non permette che nessun potere politico interferisca con le proprie decisioni.
L’art. 107 dello statuto della Bce dice :

“Né la BCE, né una Banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli stati membri, né da qualsiasi altro organismo”.

All’articolo 4 del Trattato di Maastricht la Banca Centrale Europea non è elencata tra le istituzioni che assicurano “L’esecuzione dei compiti affidati alla Comunità”.
In altre parole, il Trattato dice che emissione e gestione dell’euro non sono competenza della Comunità.

Ma allora, a chi appartiene l’euro?

“Pertanto, al momento dell’emissione le banconote in euro appartengono all’Eurosistema, mentre le monete sono proprietà degli Stati membri”.

Questa è la recentissima (Agosto 2011) risposta di Olli Rehn, Commissario europeo per gli Affari economici e monetari che parlava in nome della Commissione Europea, ad una interrogazione dell’eurodeputato della Lega Nord Mario Borghezio.

La banconota in euro appartiene quindi ai banchieri privati proprietari della Banca d’Italia in società con i banchieri delle banche centrali degli altri stati membri dell’Unione Monetaria.
La moneta scritturale, il credito, alle banche ordinarie private degli stessi banchieri. Gli spiccioli, le monetine, agli italiani …

Tutto chiaro, no?

La Bce non paga tasse.

Chi le ha dato tale privilegio esentandola dal dovuto contributo alla società in mezzo alla quale opera e così pesantemente condiziona?
I grandi Usurai se lo sono presi da soli, perché, come appena detto, la Bce gode di uno status di extraterritorialità, si è collocata al di sopra dei paesi membri della Unione Europea, autoproclamandosi potere sovrano non rispondendo a nessuna legge nazionale e/o comunitaria.

Come è possibile che noi abbiamo concesso tanto potere ad una banca, ad una società anonima? Non glielo abbiamo concesso noi, il popolo sovrano, glielo hanno regalato i nostri politici accettando con il trattato di Maastricht le proposte/imposizioni dei banchieri internazionali.

Senza chiedere il nostro parere?
Proprio così.

Solo a danesi e francesi è stato chiesto di ratificare il Trattato di Maastricht con un referendum. Le risposte: no in Danimarca, ni in Francia (una maggioranza talmente risicata che spense gli entusiasmi e si evitarono ulteriori consultazioni popolari).

Quando di nuovo in Francia e in Olanda sono stati indetti referendum per l’approvazione della costituzione europea, la risposta è stata la stessa: NO!

Ecco perché i burocrati europei burattini della grande Usura evitano accuratamente di sentire il nostro parere. Per meglio ingannare i sonnolenti sudditi europei, la costituzione è stata resa praticamente illeggibile con numerosi richiami ad altre leggi e disposizioni, e rinominata Trattato di Lisbona.

Come un qualsiasi trattato internazionale, non ha avuto bisogno di essere sottoposta a referendum popolare.

Il nostro massimo rappresentante, Napolitano, da sempre uomo di riferimento della grande finanza internazionale e di conseguenza pienamente consapevole dei suoi vergognosi obbiettivi, non ha perso occasione di sponsorizzare la ratifica del Trattato di Lisbona, schierandosi con i Parassiti e contro gli interessi del popolo che lo paga profumatamente.

Grazie, signor presidente.

E quella storia della democrazia secondo la quale è il popolo che decide?
È una storia, appunto, come tante altre. Una illusione. Un mito. Un’utopia. Una favola per ingenui.
La democrazia non esiste.

Vi lascio con alcuni stralci di “Euroschiavi” sulla Banca Centrale Europea:

“… mentre i dibattiti e le sedute della Camera dei deputati e del Senato sono aperte al pubblico e le sentenze delle Corti di Giustizia devono essere dettagliatamente motivate e pubblicate, dall’altra parte – dalla parte del vero potere – le riunioni del consiglio direttivo della BCE sono assolutamente secretate; ed è lo stesso consiglio che, di volta in volta, decide se pubblicare le proprie deliberazioni, se pubblicarne solo alcune parti o non pubblicarle affatto. Oltre tutto questo, i dirigenti della BCE godono di una sostanziale immunità: non sono infatti previste, all’interno della BCE, sanzioni per comportamenti impropri dei dirigenti. Il Trattato di Maastricht ha fatto di loro membri intoccabili di una società segreta che condiziona gli Stati e i popoli. E non stiamo esagerando: le norme sono esplicite”.

Ancora sulla segretezza delle assemblee:

“Le riunioni hanno carattere di riservatezza. Il Consiglio direttivo può decidere di rendere pubblico il risultato delle proprie deliberazioni”.

Questi banchieri senza volto che hanno potere di vita o morte su di noi, non hanno neanche l’obbligo di riferirci le decisioni adottate che così tanto influiscono sulle nostre vite.

È incredibile ed umiliante: tramano contro di noi, ma le regole scritte da essi stessi ci impediscono di sapere cosa stanno tramando. Noi continuiamo immersi in un sonno profondo, con l’aiuto determinante di politici, stampa indipendente e l’anestesia di ciò che rimane del nostro cervello, somministrataci dai programmi televisivi e dagli effetti speciali del mondo del cinema.

Dal protocollo sul SEBC (sistema europeo banche centrali), all’art. 7 che ricalca l’art. 107 del trattato:

“Indipendenza – Conformemente all’art. 107 del trattato, nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e doveri loro attribuiti dal trattato e dal presente statuto, né la BCE, né una Banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri, né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari, nonché i Governi degli Stati membri, si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.”

Chiaro, no?

Istituzioni comunitarie e governi degli stati membri non possono interferire nelle decisioni da adottare: Bce e Banche Centrali nazionali sono completamente indipendenti da noi.

Ma se non dai popoli, da qualcuno dovranno pur dipendere: chi le gestisce e per conto di chi?
Nel compimento della loro insindacabile missione, nientemeno che la gestione della nostra moneta, gli interessi di chi salvaguardano?

Se questa non è una dittatura dei banchieri . . .

“L’art. 12 del Protocollo, che si intitola “Responsabilità degli organi decisionali”, in realtà non prevede alcuna responsabilità. Congiunto all’immunità dalle indagini giudiziarie per i dirigenti della BCE, questo articolo sancisce la sovranità dei banchieri centrali sugli Stati che si sono a essi sottoposti.
L’art. 16 del Protocollo sancisce la perdita di sovranità monetaria degli Stati in favore dei banchieri centrali europei:
“Conformemente all’art. 105 A, paragrafo 1 del trattato, il consiglio direttivo ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità. La BCE e le Banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nella Comunità.”

Credo che queste ultime righe non ammettano più dubbi sul fatto che una banda di Usurai si sia impossessata del mezzo di scambio concepito dalla nostra mente, al quale noi diamo valore accettandolo e facendolo circolare, ce lo abbia sottratto e ce lo rivenda a carissimo prezzo con la complicità dei nostri politici.

“Risultato? Molte tasse e debiti da pagare, poco denaro disponibile: ossia, Stato, imprenditori e cittadini in ginocchio davanti al potere delle banche. E queste hanno buon gioco a rilevare per pochi soldi le imprese in difficoltà finanziando le società da loro controllate in modo che si accaparrino i beni e le imprese dei clienti in crisi o falliti. Lo Stato, nel permettere questa pratica e nel prestare i suoi tribunali alla sua attuazione, si riconferma strumento e burattino della finanza privata”.

Lo Stato… strumento e burattino della finanza privata.

La moneta del popolo italiano e degli altri popoli europei emessa e gestita da una entità sopranazionale a noi completamente estranea.

Tutto ciò ha senso solo se si inizia a riconoscere nell’euro uno strumento di dominio su masse sottomesse.
Non si può pretendere che popolazioni tenute appositamente ignoranti in materia si rendano conto della portata di questi cambiamenti.
Gli stessi architetti dell’inganno si meravigliano delle mancate reazioni popolari.

Scrive Guido Carli, ex-governatore della Banca d’Italia e firmatario in qualità di ministro del Tesoro, sia della definitiva cessione della sovranità monetaria alla Banca d’Italia, sia del trattato di Maastricht che l’avrebbe trasferita alla Banca Centrale Europea, nel suo libro “Cinquant’anni di vita italiana”.

“È stupefacente constatare l’indifferenza con la quale in Italia è stata accolta la ratifica del Trattato di Maastricht… per l’Italia il Trattato rappresenta un mutamento sostanziale, profondo, direi “costituzionale”. L’Unione Europea implica la concezione dello “Stato minimo”… l’abbandono della programmazione economica … una redistribuzione della responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari ed aumenti quelle dei governi… il ripudio del principio di gratuità diffusa… la riduzione della presenza dello Stato nel sistema del credito e nell’industria… l’abolizione delle normative che stabiliscono prezzi amministrati e tariffe… Ebbene, un cambiamento giuridico di questa portata, con queste conseguenze, è passato pressoché sotto silenzio, senza conquistare le prime pagine dei giornali”.

Ed ancora:

“Gli Stati Uniti hanno esercitato lungamente un diritto di “signoraggio” monetario sul resto del mondo. Dico questo perché deve essere presente alla coscienza degli Europei cosa il Trattato di Maastricht rappresenta veramente. Io non vedo in Europa tracce di questa coscienza. Lo vedo invece negli Stati Uniti, dove, infatti, come un sol uomo, gli economisti sono scesi in campo per difendere gli interessi della comunità finanziaria americana nel tentativo di delegittimare il progetto di Unione Europea dal punto di vista teorico. La realizzazione del Trattato di Maastricht significherebbe la sottrazione agli Stati Uniti di quasi metà del potere di signoraggio di cui dispongono.”

Chi meglio dei banchieri ci può spiegare ciò che succede nel loro mondo?

Uno dei principali responsabili della consegna alla Banca d’Italia prima e alla Banca Centrale Europea poi del diritto di fissare il tasso di sconto, il prezzo che paghiamo per il denaro, ci dice che “…negli Stati Uniti… come un sol uomo, gli economisti sono scesi in campo per difendere gli interessi della comunità finanziaria americana…“.

Se lo stesso Carli, da Ministro del Tesoro profumatamente pagato da tutti gli italiani, invece di fare i nostri interessi agisce in favore dei banchieri, per di più meravigliandosi della assoluta mancanza della minima opposizione, chi mai difenderà i popoli inconsapevoli?

Nessuno.

I politici assecondano, e le regole vengono stravolte a nostro svantaggio, “…senza conquistare le prime pagine dei giornali”.

Affrettiamoci ad uscire dalla gabbia virtuale nella quale siamo rinchiusi, prima che sia troppo tardi.

continua….

 

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Paolo MALEDDU

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La conferma che i popoli d’Europa non ne possono più della Ue, delle oligarchie dei banchieri, dello strapotere della finanza incarnato dalla Bce, ecc.

 

Pubblicazione1

 

VARSAVIA. Una vittoria clamorosa, enorme, senza rivali. Tornano al timone a Varsavia, armati della maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo parlamento (fatto mai accaduto prima nella Polonia democratica), i conservatori nazionalisti, euroscettici, cattolici, di Diritto e Giustizia (PiS).

Alle elezioni politiche nazionali di ieri hanno ottenuto il 40% dei sondaggi (secondo proiezioni su risultati non ancora definitivi), percentuale che un sistema di voto con premio di maggioranza traduce come minimo in 238 seggi sui 460 che compongono il Sejm, la camera bassa. Per i liberali europeisti di Piattaforma Civica (Po), i registi dell’unica economia nell’Ue mai andata in recessione negli anni della crisi, la batosta è più grossa anche di quanto minacciato dai sondaggi. Piattaforma, il partito dell’ex premier e attuale presidente del Consiglio Europeo Ue Donald Tusk, si è fermato al 23,4% dei voti, ottenendo 135 seggi e nessuna voce in capitolo nella nuova assemblea dominata dai nazionalconservatori.

Al terzo posto è arrivata la formazione del cantante rock ‘anti-sistema’ Pawel Kukiz, anche lui di posizioni nazionaliste, una specie di “Grillo di destra”, con 44 seggi. Poi è la volta di Nowocczesna (Moderni) di orientamento liberale, con 24 deputati e il partito dei contadini Psl con 18 seggi.

E a dare alla vittoria della destra in Polonia i connotati del trionfo è anche la notizia che nessun partito di sinistra è entrato in Parlamento. Tutti bocciati dagli elettori, ad iniziare dal “Fronte della sinistra unita” che radunava quasi tutte le formazioni simili al Pd italiano.

Buona la partecipazione, inoltre, per un Paese dove le urne continuano ad attirare poco, arrivata al 51,6%.

Il gran ritorno di Diritto e Giustizia al potere, senza bisogno di alleati, stravolge gli equilibri nella cosiddetta Nuova Europa, il Centro-Est dell’Ue di cui la Polonia è indiscusso peso massimo, con conseguenze inevitabili anche a Bruxelles.
PiS come premier ha candidato Beata Szydlo, dai toni moderati, come il neo capo dello Stato Andrzej Duda, ma il vero dominus resta Jaroslaw Kaczynski, fratello del defunto presidente Lech, vero incubo per l’Ue negli anni in cui è stato premier – tra il 2006 e il 2007 – e come capo del partito euroscettico.

Preoccupa in particolare le nomenclature burocratico-finanziarie di Bruxelles, la prospettiva che la vittoria dei nazionalconservatori a Varsavia sfoci in un asse con l’Ungheria dell’euroscettico Viktor Orban: uno degli slogan elettorali della destra di Diritto e Giustizia durante la campagna elettorale è stato “Portiamo Budapest a Varsavia”, con particolare riferimento alla crociata di Orban contro le banche, fonte di ispirazione per il PiS che promette di introdurre nuovi sussidi per le famiglie con più figli e di abbassare l’età pensionabile portata dai liberali a 67 anni.

Proprio riforme come questa sembrano aver condotto il governo socialdemocratico filo-Ue al capolinea. Secondo molto analisti, gli elettori polacchi ieri sono andati alle urne per bocciare una politica accusata di garantire il benessere a pochi e dimenticare i più, costringendo i giovani ad andare all’estero per trovare lavoro e le famiglie a fare bene i conti prima di pensare a un nuovo figlio. Il tutto per favorire le banche, la finanza, le multinazionali.

Sul fronte della politica estera, la nova Polonia di destra porterà a un veloce tramonto dell’asse con la Germania della Merkel, e addio convergenza sui grandi temi europei.

La sciagurata politica di accoglienza della cancelliera Merkel è stata ampiamente criticata in campagna elettorale. Sul fronte est, poi, c’è una viccenda tutta polacca: si annunciano tensioni con la Russia, accusata di essere dietro il disastro aereo dell’aprile 2010: nello schianto del Tupolev nei pressi di Smolensk morirono 96 persone, tra queste molti esponenti dei vertici polacchi e lo stesso fratello-gemello Lech, all’epoca presidente.

A parte questo, le elezioni politiche in Polonia confermano che i popoli d’Europa non ne possono più della Ue, delle oligarchie dei banchieri, dello strapotere della finanza incarnato dalla Bce, dell’arroganza della Germania e della stupidità d’aver spalancato le porte all’invasione extracomunitaria islamica, mascherata da “accoglienza dei poveri profughi” che rappresentano, nell’oltre un milione di clandestini lasciati arisivare da Italia e Germania, neppure il 20%.

E’ la matsina di un nuovo giorno, per l’Europa, la vittoria della destra in Polonia.

Redazione Milano.

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