Se Washington acquisirà il controllo della politica monetaria e valutaria dei paesi dell’Unione Europea, significherà la totale e definitiva perdita della sovranità da parte di questi ultimi

 

Il 20 aprile ha preso il via a New York la nona tornata di trattative tra Stati Uniti e rappresentanti dell’Unione Europea per la Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership). I funzionari di entrambe le parti convengono sulla cifra di 100 miliardi di dollari. Pare che sarà questa la cifra di cui saranno aumentati il Pil statunitense e quelli di tutti i membri dell’Ue messi insieme. Finora, nessuno ha dato una spiegazione chiara sull’origine di questa previsione economica. Anche se fosse vero, 100 miliardi di dollari in rapporto ai Pil di Usa e Ue nel 2014 (17,4 + 18,5 trilioni di dollari) è meno dello 0,3%. In altre parole, l’entità degli effetti attesi è a livello di errore tecnico. Sembra che per qualche motivo si tenti di arginare l’orto Transatlantico. Tradizionalmente, l’Europa vanta un notevole surplus commerciale stabile con gli Stati Uniti (86,5 miliardi di dollari nel 2012 e 92,3 miliardi nel 2013). Probabilmente Washington spera di mettere le mani su quei 100 miliardi di dollari virtuali, o che per lo meno ci sarà una parziale riduzione nel deficit commerciale tra Stati Uniti ed Europa.

Pubblicazione1Valentin Katasonov

 

 

Washington è la forza trainante dietro il procedimento negoziale della Ttip. Un europeo non molto ferrato in politica non è in grado di capire cosa debba aspettarsi dalla partnership. Tuttavia, ci sono già abbastanza preoccupazioni per una riduzione negli standard di qualità e di sicurezza dei prodotti, per via dei prodotti Ogm che inevitabilmente invaderanno il mercato europeo. Ma anche questo non è tutto, purtroppo. Il punto è che verrà inferto il colpo di grazia a quel che resta della sovranità nazionale europea. In primo luogo, l’accordo in questione copre il commercio e gli investimenti. Le società multinazionali (Tncs) potranno citare in giudizio i governi nel caso in cui questi le ostacolassero nel loro intento di massimizzare i profitti. Ad esempio, alle Tncs verrà riconosciuto il diritto di impugnare la legalità delle decisioni adottate dai paesi europei, come ad esempio le restrizioni ambientali, i regolamenti per tutelare i diritti sociali dei lavoratori, gli aumenti fiscali e così via. Le dispute non rientreranno nell’ambito delle legislazioni nazionali ma in quello del diritto internazionale.
In secondo luogo, una volta firmato l’accordo della Ttp, l’Europa perderà una volta per tutte la sovranità finanziaria e monetaria. Ciò perché Washington avrà il diritto di impugnare molte delle decisioni adottate dagli organismi monetari europei, in base al presupposto che tali decisioni hanno come scopo quello di manipolare il tasso di cambio dell’euro, violando quindi norme di diritto internazionale. Gli esperti europei sono comprensibilmente preoccupati perché la Bce e la Commissione Europea finiranno con il doversi coordinare per ogni cosa con Washington, o semplicemente eseguire ordini che gli giungeranno da oltre oceano. Il tasso di cambio delle valute nazionali è un potenziale strumento di concorrenza, ed è nelle mani delle banche centrali. Detto questo, è stato utilizzato relativamente poco nel XIX e XX secolo. In un modo o nell’altro c’era lo standard aureo, che serviva a contenere, o anche a rendere impossibili, le manipolazioni valutarie. Inoltre, i principali mezzi di concorrenza erano le tariffe doganali, le sovvenzioni alle esportazioni, il dumping e, più recentemente, le restrizioni commerciali non tariffarie (quotas, standard tecnici, ecc.); in altre parole, gli strumenti convenzionali delle guerre commerciali ed economiche.

Pubblicazione2Keynes (Uk) a Bretton Woods

 

Le possibilità di manipolazione valutaria giunsero solo negli anni ’70, dopo la fine del sistema monetario e finanziario Bretton Woods (lo standard del dollaro aureo), e dopo l’abolizione dei tassi di cambio fissi delle banche centrali. Furono poi conclusi in ambito Gatt/Wto degli accordi che limitarono ulteriormente l’uso di questi tradizionali strumenti di concorrenza economica e commerciale. Un tasso di cambio tenuto basso in modo artificiale allo stesso tempo dà maggiori vantaggi agli esportatori e rende le importazioni più costose (il valore delle importazioni è determinato in valuta nazionale). In ultimo, la bilancia commerciale nazionale verrà livellata, o per lo meno diminuirà il bilancio negativo del commercio estero. Se un gran numero di paesi fa ricorso alla manipolazione valutaria (con alcuni che tentano di penetrare i mercati globali ed altri di proteggersi dai dumping valutari), allora è “guerra valutaria”. Secondo gli esperti, durante la crisi finanziaria del 2007/2009 c’e’ stata di fatto una guerra di valute su vasta scala. Nel settembre del 2010, il ministro delle finanze del Brasile, Guido Mantega, dichiarò che tra il 2009 e il 2010 il Real brasiliano si era rafforzato del 30% rispetto alle maggiori valute mondiali, e che questo non era il risultato di naturali dinamiche di mercato, ma una deliberata politica dei paesi più avanzati che emettevano valute mondiali.
Il ministro brasiliano definì questa politica “guerra valutaria”. Nell’ottobre del 2010, il capo del Fmi Dominique Strauss-Kahn confermò che era in corso una “guerra valutaria globale”. E’ ovvio che i capi delle banche centrali e dei governi dei paesi più avanzati dell’Occidente non fanno mai alcun accenno al fatto che le decisioni adottate riguardo alle questioni monetarie hanno come scopi principali l’espansione del commercio estero, il livellamento delle bilance commerciali e la protezione delle società nazionali. Esiste una regola non scritta di astenersi da qualunque recriminazione durante una guerra valutaria. I funzionari parlano di guerre valutarie solo in modo marginale, mentre i giornalisti le definiscono con l’espressione “guerre dell’impoverisci-il-tuo-vicino”. Questa politica di impoverimento dei paesi vicini, spesso, si cela dietro un formale obbiettivo di politica monetaria, come ad esempio la “lotta alla deflazione”. Mentre con l’inflazione il denaro si deprezza, con la deflazione invece cresce il suo potere d’acquisto. Le banche temono la deflazione (le manda nel panico), poiché con essa scompaiono gli incentivi ai prestiti e crolla così tutto il castello millenario usuraio del sistema bancario.

Pubblicazione3Dominique Strauss-Kahn

 

La lotta alla deflazione e la politica di svalutazione del tasso di cambio di una valuta prevedono gli stessi metodi – pompaggio di liquidità aggiuntiva nell’economia del paese e riduzione dei tassi d’interesse, anche arrivando ad applicare in alcuni casi tassi di valore negativo. Queste misure a volte sono corredate anche da interventi valutari. Tuttavia, le guerre valutarie vanno discusse anche a livello ufficiale. Altrimenti il mondo potrebbe crollare nel caos valutario totale. Il Giappone, ad esempio, per diversi anni ha contrastato la deflazione facendo ricorso alla propria zecca e ai tassi d’interesse zero della sua banca centrale. E lo ha fatto, e lo fa, in modo ancora più aggressivo di altri paesi. Di conseguenza, nel periodo da ottobre 2012 a febbraio 2013, il Giappone è riuscito a ridurre il tasso di cambio Yen/paniere Sdr di quasi il 20%. Questo ha fatto molto alterare diversi suoi partner commerciali. Al summit del G20 tenutosi a Mosca nel febbraio del 2013 (presieduto dalla Russia quell’anno), i ministri delle finanze e i capi delle banche centrali giurarono solennemente di non fare mai ricorso alle tattiche di guerra valutaria. In poco tempo, tuttavia, tutto è tornato alla normalità. Washington ha proseguito nel suo programma di allentamento monetario (Quantitative Easing – Qe), che però non ha avuto tutto questo effetto stimolante sull’economia statunitense, ma ha contribuito a far svalutare il dollaro. In questo modo, gli Stati Uniti sono stati di cattivo esempio per altri, compresi i loro partner europei. In ultimo, nel 2015, gli Stati Uniti hanno deciso di dare un freno al programma di Qe.
Tuttavia, nello stesso preciso momento la Bce ha dato inizio al suo programma di Qe. Oltre a questo, ha iniziato ad introdurre tassi di interesse di segno negativo sui conti di deposito e a concedere prestiti senza interessi. L’altalena valutaria pende verso l’euro, il cui tasso di cambio rispetto al dollaro era iniziato a scendere. Nonostante questo, l’Europa ha registrato un notevole surplus di bilancia commerciale con gli Stati Uniti, che potrebbe raggiungere il suo record proprio nel 2015. Cinque o sei anni fa ci sono stati tuttavia dei momenti in cui il tasso di cambio euro/dollaro era più del 1,50. A fine 2014, era poco più del 1,20 e ad aprile 2015 era sceso a 1,06. Gli esperti ritengono che entro il 2016 si raggiungerà la parità tra le due valute. Washington la sta prendendo molto seriamente. Nel 2014, il deficit della bilancia commerciale statunitense era di 505 miliardi di dollari, ovvero maggiore del 6% di quello dell’anno precedente. In anni recenti, i paesi dell’Unione Europea hanno rappresentato il 20% del totale deficit di bilancia commerciale degli Stati Uniti. Nel 2015, tale deficit potrebbe raggiungere il suo record assoluto. Washington non può impedire alla Bce di dare il via al suo programma di Qe, ma se si concluderà l’Accordo della Partnership Transatlantica, gli Stati Uniti saranno in grado di interferire nella politica monetaria europea su basi giuridiche. E’ mia opinione che questa è una delle ragioni principali per cui si è resa necessaria una nona tornata di trattative per la Ttip: il procedimento si sta rivelando molto più complesso di quanto si credeva all’inizio.

Pubblicazione4Mario Draghi

 

In realtà l’abolizione delle barriere doganali nei rapporti commerciali non è un grave problema, poiché queste barriere erano già basse anche prima che iniziassero le trattative per l’accordo. Ma se Washington acquisirà il controllo della politica monetaria e valutaria dei paesi dell’Unione Europea, significherà la totale e definitiva perdita della sovranità da parte di questi ultimi. Questo lo sanno molto bene i politici e le maggiori personalità dei paesi europei. Molti sono sorpresi del fatto che uno dei principali fautori del raggiungimento dell’accordo Ttip sia proprio il presidente della Bce Mario Draghi: dopo tutto, se l’accordo sarà firmato, la Bce diventerà una filiale della Fed. Ma forse è proprio questo a cui mira Mario Draghi, che non ha mai nascosto la sua propensione verso gli Stati Uniti. Non per niente è stato per diversi anni direttore esecutivo e vicepresidente della banca americana Goldman Sachs.

tratto da: (clicca qui)

<<La nostra cultura viene soppressa, durante le esercitazioni militari vengono inquinate la nostra terra e la nostra acqua, sfruttano la nostra terra ed estraggono enormi quantità di risorse naturali a danno dell’ambiente >> .

Tutti gli Stati colonizzatori si comportano allo stesso modo, nei loro intenti la sottomissione dell’altro deve essere totale e totalizzante, esso viene privato della sua identità e della libertà di decidere il suo destino e gli viene imposta la modifica dei propri usi e costumi; viene costretto ad un modello di vita che non gli appartiene

 

Pubblicazione1

I popoli autoctoni dell’Alaska e delle Hawaii intendono valersi del diritto all’autodeterminazione. I rappresentanti delle comunità locali hanno fatto un appello alla comunità internazionale per lamentarsi della “annessione illegale” ed “occupazione” degli Stati Uniti.

Nella dichiarazione si afferma che l’Alaska e le Hawaii

“nel 1959 sono state inglobate dagli Stati Uniti a seguito di macchinazioni e violazioni dei principi delle Nazioni Unite e del processo di autodeterminazione.”
Gli autori del documento hanno esortato l’ONU a “correggere l’errore.”
I rappresentanti dell’Alaska Ronald Burns e delle Hawaii Leon Siu hanno criticato la politica USA nei confronti delle popolazioni indigene.
“La nostra cultura viene soppressa, — ha detto Leon Siu. —
Tuttavia le azioni degli Stati Uniti sono dirette non solo contro la nostra cultura, ma anche la pace nel mondo, perché nelle Hawaii si trova la base militare di Pearl Harbor. Durante le esercitazioni militari vengono inquinate la nostra terra e la nostra acqua. Per questo qui le persone si ammalano. Si tratta di un abuso contro la nostra terra e la nostra gente. Non vogliamo essere parte della macchina da guerra.”
“Sfruttano la nostra terra ed estraggono enormi quantità di risorse naturali a danno dell’ambiente”,
— ha aggiunto Burns.

tratto da: (clicca qui)

 

2015.05.01 – DENUNCIA E APPELLO

Posted by Presidenza on 1 Maggio 2015
Posted in articoli 

TESTATA  PRESIDENZA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aristanis. 23 aprile 2015

 

 

   SPETT. LE

– INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE PEACE PALACE

– O.N.U.
Human Rights Committee
Petitions Team
Office of the High Commissioner for Human Rights
United Nations Office at Geneva

– ICRC
International Committee of the Red Cross

– STATI TERZI

 

OGGETTO: DENUNCIA E APPELLO

 

Noi, cittadini del Popolo Sardo, nell’esercizio legittimo del Diritto all’Autodeterminazione, ci siamo costituiti, in data 31 agosto 2011, in Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu, ai SENSI E PER GLI EFFETTI DELLE NORME DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.

In data 04.06.2012 il Movimentu de Liberatzioni Natzionali Sardu (MLNS) ha denunciato l’Italia all’ONU per occupazione, dominazione e colonizzazione della NAZIONE SARDA da parte dello Stato straniero italiano rivendicando il diritto di sovranità del Popolo Sardo.

In considerazione del
– diritto all’autodeterminazione dei popoli sancito dall’articolo I paragrafo 2 della Carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco il 26 giugno 1945 ed entrata in vigore il 24 ottobre 1945
– del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici siglato a New York il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea Generale O.N.U.
– la Risoluzione n. 2625 del 24 ottobre 1970 dell’Assemblea Generale ONU
– la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa di Helsinki del 01 agosto 1975
– che il diritto all’autodeterminazione, parte del diritto internazionale imperativo (Jus cogens), è un diritto inalienabile di ogni Popolo e quindi del Popolo Sardo, al quale solo spetta il legittimo esercizio di tale diritto erga omnes

Sebbene:
il MLNS e le sue istituzioni di Guvernu Sardu Provvisoriu (GSP), costituito dal MLNS in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 96.3 del Primo Protocollo di Ginevra del 1977, mantenga un assoluto rispetto per la legalità internazionale, le autorità d’occupazione straniere italiane insistono ad ignorare il diritto di autodeterminazione del Popolo Sardo e invece di favorirlo, così come previsto dalle norme del diritto internazionale e le loro stesse leggi (vedasi legge 881/77 di ratifica dei patti di New York), insistono con l’abusare delle proprie funzioni e attaccano i membri del MLNS con inconsistenti pretesti.

DENUNCIA

che, in seguito ad un’intensa attività di spionaggio, protrattasi per mesi, contro alcuni dei membri del MLNS e di altri Cittadini del Popolo Sardo, lo Stato straniero occupante italiano ha sferrato un violento attacco contro il Movimentu de Lìberatzioni Natzionali Sardu con il pretesto di un’inchiesta giudiziaria strumentale, calunniosa e creata in modo subdolo al solo fine di poter ipotizzare, l’esistenza di circostanze fantasiose e reati di fatto inesistenti, quali la costituzione di una fantomatica associazione militare, in presunta violazione di una legge italiana del secondo dopoguerra, il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43.
Pertanto, in data 13 marzo 2015, per tali ipotesi di reato ma prive di qualsiasi fondamento, la polizia italiana, su mandato del sostituto procuratore della Repubblica italiana di Cagliari, è intervenuta pesantemente in forze e con armamento da guerra contro il MLNS. Con una improvvisa incursione ha sottoposto a perquisizione il Presidente e fondatore del MLNS, più alcuni altri appartenenti al MLNS ed altri cittadini del Popolo Sardo, le loro abitazioni private, i luoghi dei loro posti di lavoro e i loro autoveicoli, sottraendo illegalmente beni ed effetti personali e strumentali di lavoro, terrorizzando le loro famiglie ed i loro conoscenti, e poi li ha sequestrati, segregati e sorvegliati a vista per molte ore, sottoponendoli ad informali interrogatori ed a inaudite violenze morali e psicologiche.
Ancora una volta, dunque, si denuncia lo stato straniero italiano perché l’atto in questione costituisce un atto di forza e di aggressione contro il MLNS e il suo apparato istituzionale, il Governo Sardo Provvisorio, configurandosi come un crimine contro il Popolo Sardo e l’integrità della Nazione Sarda, aggravata dall’occupazione della Patria Sarda.
Le autorità d’occupazione straniere italiane sono ben consapevoli della legittimità giuridica del MLNS, ma tentano di giustificare i propri atti di aggressione, prendendo a pretesto una possibile deriva militare del processo di rivendicazione del Diritto all’Autodeterminazione del Popolo Sardo e quindi del legittimo ripristino della sovranità dello stesso Popolo su tutti i territori della Nazione Sarda.
Il comportamento delle autorità inquirenti italiane manifesta così la inequivocabile volontà di non rispettare precise norme del diritto internazionale e delle stesse leggi italiane, senza contare il fatto che nei Territori della Nazione Sarda consta un difetto assoluto di competenza e di giurisdizione, nonché l’incompetenza assoluta per materia e per territorio, da estendersi in capo a tutte le autorità di occupazione dello stato straniero italiano (ogni atto e/o provvedimento italiano si configura tanquam non esset).
Altro scopo è impedire al MLNS di proseguire nella sua legittima attività di rivendicazione del diritto all’autodeterminazione del Popolo Sardo e consolidamento del proprio apparato istituzionale ovvero del suo Governo Provvisorio e delle sue istituzioni; non si giustifica il portar via (vera e propria rapina a mano armata) ricordi e collezioni personali, modulistica, computers ed altro materiale informatico e documenti di riconoscimento rilasciati dal GSP.
Si diffidano ancora una volta le autorità d’occupazione straniere italiane ad attenersi con scrupolo e stretta osservanza a tutte le norme in materia di autodeterminazione, dei Movimenti di Liberazione Nazionale e dei loro apparati istituzionali.
Si avvisa sin d’ora che in difetto, la responsabilità di tale reiterata violazione, verrà ascritta anche al promotore e/o firmatario dell’atto in questione e del quale si chiede l’iscrizione a ruolo giudiziario presso la Corte Europea, affinché nei tempi e nelle modalità da stabilire, sia assicurato alla Giustizia Sarda, per rispondere in sede penale e in sede civile, con tutti i suoi beni presenti e futuri, al risarcimento di tutti i danni derivanti alla Nazione Sarda.
Si rammenta come in fatto e in diritto e per l’ennesima volta, che lo Stato italiano, sul Territorio della Nazione Sarda, rimanga ad oggi uno stato straniero occupante, a nulla rilevando sotto il profilo della legittimazione dell’esercizio della sua sovranità sul Territorio della Nazione Sarda i tanti anni di illecita e illegittima occupazione razzista e colonialista.

Con fermezza, ancora una volta, si chiede all’ONU e alla Comunità Internazionale tutta che venga imposto allo Stato straniero oppressore italiano il rispetto delle norme e delle prassi del Diritto Internazionale ed in particolare:

– l’obbligo di riconoscere il diritto all’autodeterminazione del Popolo Sardo;

– l’obbligo di consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del Popolo Sardo con il ripristino di sovranità della Nazione Sarda in tutti i suoi territori, ancora oggi occupati e depredati dallo stato italiano;

– il divieto di continuare a ricorrere all’uso della forza per negare tale diritto all’autodeterminazione, come fatto sinora, con i suoi ripetuti illegali, illegittimi, persecutori e razzisti attacchi contro questo MLNS e i suoi militanti e loro familiari.

si auspica e ci si appella affinchè

– gli Stati terzi sostengano il Popolo Sardo e quindi questo MLNS nella sua lotta per l’autodeterminazione.
– gli Stati terzi si astengano dall’aiutare e sostenere in qualsiasi modo lo Stato straniero occupante oppressore italiano e, per l’effetto, rinuncino o rivedano i propri rapporti politici, commerciali, economici, militari e diplomatici con lo stesso.
– gli Stati terzi aiutino, appoggino e sostengano il MLNS ed il suo apparato istituzionale Governo Sardo Provvisorio, anche con l’avvio di formali rapporti diplomatici.

Questo MLNS e le singole persone, che ne compongono il Direttivo, hanno da sempre compiuto – e così sarà in futuro – ogni singolo passo rigorosamente e volutamente entro gli argini e nell’alveo del diritto Naturale e Civile, ma anche e soprattutto internazionale.

001

 

2015.03.09 – Chi dominera’ il mondo nel prossimo decennio ?

Posted by Presidenza on 9 Marzo 2015
Posted in articoli 

Pubblicazione2

 

 

DI GIULIETTO CHIESA

 

 

 

Chi dominerà il prossimo decennio? Il Rapporto di Stratfor Global Intelligence, intitolato “Decade Forecast: 2015-2025” (“previsioni per il decennio 2015-2025”, ndt) è decisamente interessante. Ma più che per le sue previsioni – alcune delle quali ragionevoli, altre assai meno – lo è nella misura in cui riflette il modo di pensare il mondo dei gruppi dirigenti americani. Sicuramente di una parte rilevante di essi.

 

Leggendolo con attenzione viene subito da pensare che nessuno dei suoi estensori conosca, nemmeno per sentito dire, il fondamentale saggio di Arnold Toynbee, “Il Mondo e l’Occidente”. Infatti non sembra esservi dubbio, per loro, che gli Stati Uniti resteranno la forza dominante, anche se “non più onnipotente”, del pianeta. E non solo nel decennio che si è aperto – il che è probabile, ma non certo – ma perfino molto più in là. Questo non è scritto, perché i ricercatori ci tengono alla delimitazione temporale da loro scelta, ma è implicito nel procedere logico e metodologico che permea lo stile dell’analisi. Ci tornerò sopra tra poco ma, per intanto, mi piace rilevare un altro dato: Stratfor, a distanza di otto anni, continua a ritenere che, nel 2008, la Russia «invase la Georgia».
Davvero singolare, per studiosi che presumono di fare prognosi per il futuro, scoprire che non conoscono il passato recente. Non è infatti esistita nessuna “invasione russa” della Georgia. È esistito invece un proditorio attacco, che produsse ben 900 morti a Tzkhinvali, tra cui una settantina di soldati russi di stanza in quella città, operato dall’allora presidente georgiano Saakashvili. La Russia rispose, con tre giorni di ritardo, respingendo l’offensiva contro l’Ossetia del Sud e inseguendo l’esercito georgiano fin in quel di Gori, per poi tornare indietro. Avrebbero potuto procedere e conquistare Tbilisi, ma non lo fecero. Infatti Tbilisi è ancora capitale della Georgia indipendente. Dunque viene da chiedersi: ma come possono essere veraci le “previsioni” di questi studiosi se essi rivelano involontariamente di avere introiettato la stessa propaganda antirussa che ha orientato la donna e l’uomo della strada dell’Occidente?
Ma questi sono peccati veniali di Stratfor. C’è anche del buono nelle loro previsioni. Per esempio il rilevare che la Russia, nel decennio a venire, cercherà di superare la “forte prevalenza” del suo carattere di esportatore di materie prime, per diventare un produttore di una panoplia di merci a più alto contenuto tecnologico. È quello che sta accadendo alla Russia di oggi, sottoposta alla pressione del basso costo del petrolio, e costretta a rendersi non solo esportatrice di beni intermedi, ma soprattutto produttrice di questi beni sul mercato interno, piuttosto che importatrice di quegli stessi beni.
Altra previsione presumibilmente corretta è quella riguardante il confronto aspro tra Occidente e Russia attorno alla crisi ucraina. Esso – afferma il documento – rimarrà un cardine del sistema internazionale nel corso dei prossimi anni. Gli accordi di Minsk lasciano intravvedere proprio questo scenario, che richiederà un lungo periodo di “adattamento” prima di sfociare in una qualche soluzione istituzionale.
Ma anche qui i ricercatori americani sembrano non individuare il nocciolo delle questioni. L’Europa appare sempre più perplessa, oltre che divisa, sulla opportunità di contrapporsi alla Russia, come vorrebbe invece, senza mezzi termini, la leadership americana.
La tenuta di questo “cardine” dipende dunque, in molti sensi, da ciò che accadrà sia in Russia che in Europa. Sull’Europa tornerò tra poco. Ma è sulla Russia che il giudizio appare davvero affrettato e non corrispondente ai dati di fatto. Stratfor ritiene che la Federazione Russa non sarà in grado di esistere per un intero decennio “nella sua forma corrente”. E che accadrà, sempre secondo Stratfor? «Noi ci attendiamo che l’autorità di Mosca sarà sostanzialmente indebolita e condurrà a una formale e informale frammentazione della Russia». Al punto da trasformare «in un reale allarme» il problema della custodia del suo arsenale militare.
Chi potrà risolvere il problema? Ma è ovvio, gli Stati Uniti. Saranno loro a dover «fronteggiare una prova di prima grandezza». Ecco creato il primo pretesto per un futuro intervento dall’esterno.
Il quadro che viene disegnato è davvero catastrofico. La Russia di Putin vicina a un vero e proprio collasso, che dovrebbe per giunta avvenire nel corso di pochi anni, ripetendo il crollo dell’Unione Sovietica in forme ancora più distruttive.
Vale la pena di seguire in dettaglio tutta la previsione.
A Occidente Polonia, Ungheria e Romania che vorranno «riprendersi le parti di territorio perdute a vantaggio della Russia». Saranno loro – insiste Stratfor – che «cercheranno di trascinare dalla loro parte la Bielorussia e l’Ucraina».
Quali sarebbero queste rivendicazioni territoriali verso la Russia non viene detto. Ma lo si può agevolmente indovinare. Per esempio la Polonia si riprenderebbe la Galizia. Ma, in tal caso, Varsavia si troverebbe a dover fronteggiare una Ucraina furibonda. Sono sicuri i soloni di Stratfor che questo processo avverrebbe in condizioni di pace e di consenso? Ma questo è un dettaglio secondario.
Quello principale è che qui si delinea una vera e propria aggressione contro la Russia da parte dell’Europa (o di una parte di essa), sulla base di rivendicazioni territoriali revansciste: proprio quelle che l’Unione Europea ha considerato inammissibili nei suoi documenti fondativi.
Ipotesi che implica, dunque la fine dell’Europa e l’inizio di una nuova serie di guerre “territoriali“.
È la profezia di un’Europa in fiamme.
Una volta saltate le frontiere ucraine occidentali, non potrebbe che saltare anche la frontiera che divide attualmente la Lituania e la Polonia. Non si dimentichi che, prima della seconda guerra mondiale, Vilnius fu città polacca. Cosa impedirebbe a Varsavia di pretendere la liquidazione della Lituania indipendente, insieme alla riannessione della sua capitale attuale? Niente e nessuno, salvo la Lituania, la quale oggi grida ai quattro venti di temere la “minaccia russa”, mentre dovrebbe stare molto attenta a fronteggiare una minaccia polacca.
Siamo già al limite della comicità. Ma gli studiosi di Stratfor non sono tenuti a conoscere la storia europea. Quel che importa loro è individuare i “punti deboli” sui quali sarà possibile agire per infiammare tutti i contorni della Russia, anche quelli che sono già stati conquistati dalla NATO.
E la previsione (o il progetto?) non finisce qui.
«Al sud la capacità dei Russi di mantenere il controllo del Caucaso del Nord evaporerà e anche l’Asia Centrale risulterà destabilizzata».
«A nord-est la Karelia cercherà di congiungersi con la Finlandia» (questa è una novità assoluta, ma Stratfor deve avere informazioni che a noi mancano, sempre che non le abbia estratte da una scatola di Risiko).
«Nell’Estremo oriente le regioni marittime che sono molto vicine e più legate alla Cina, al Giappone e agli Stati Uniti che non a Mosca diverranno più indipendenti».
Grazie a Dio «non ci sarà una rivolta contro Mosca, ma la decrescente capacità di Mosca di sostenere e controllare la Federazione Russa finirà per aprire un vuoto».
«La questione, nella prima metà del decennio (cioè dal 2015 al 2020, ndr), si concentrerà dunque sul tema di quanto sarà ampia l’alleanza che si formerà tra il Baltico e il Mar Nero». Parole che sembrano tratte direttamente dallo splendido romanzo di Israel Singer, “A oriente del giardino dell’Eden“: «Una Polonia dal Baltico al Mar Nero!. Nelle città principali ogni giorno c’erano manifestazioni contro la Germania e la Russia».
È la descrizione di una nuova, generalizzata, guerra europea, di tutti contro tutti, che potrà avvenire, con l’aiuto attivo degli Stati Uniti, sulle rovine della Russia. Bisognerebbe che questo testo, così illuminante, venisse fatto leggere in tutte le scuole russe, di ogni ordine e grado. Così i russi capirebbero chi e cosa si sta preparando ai loro danni. Avanti a tutta velocità… Verso il passato.
Non hanno letto Toynbee, ma nemmeno Fernand Braudel, che insegnava a distinguere i “tempi della storia”, e metteva in guardia dall’affidarsi al “terzo tipo” di tempo della storia, quello caratterizzato dal movimento rapido e incessante, ma di superficie. Scriveva: «diffidiamo di questa storia ancora bruciante, quale i contemporanei l’hanno descritta e vissuta, al ritmo della loro vita, breve come la nostra, essa ha le dimensioni delle loro collere, dei loro sogni e delle loro illusioni».
Giulietto Chiesa

tratto da: (clicca qui)

Mentre i parassiti del Consiglio Regionale succhiano il sangue dei cittadini sardi, remunerati con sedici mensilità e super stipendi, Putin da una lezione su come un vero leader, che realmente fa gli interessi del suo popolo, si dovrebbe comportare….

 

Pubblicazione1

LONDRA – L’economia russa non sta attraversando un buon momento e quindi c’era da aspettarsi che governo e parlamento adottassero misure per ridurre la spesa pubblica ma anche in questo caso Vladimir Putin ha preso una decisione che ha colto molti di sorpresa.
Infatti proprio in questi giorni il presidente russo ha annunciato che gli stipendi dei suoi collaboratori e dei dipendenti dell’ufficio presidenziale saranno ridotti del 10% anche se non e’ chiaro quando questa misura entrera’ in vigore. Probabilmente, dal mese prossimo.
Per capire l’importanza di questa decisione basti pensare a Matteo Renzi e Sergio Mattarella che da un giorno all’altro decidano di ridurre del 10% gli stipendi dei dipendenti di palazzo Chigi e del quirinale, con la differenza che in Italia questo rimarra’ solo un bel sogno visto che nessuno ha mai osato toccare i privilegi della casta.
Ma Putin non e’ il solo che chiede di stringere la cinghia visto che pochi giorni prima il presidente della Duma (la camera dei deputati russa) Sergei Naryshkin ha lanciato un appello ai deputati di ridursi lo stipendio del 10% anche se in questo caso e’ difficile prevedere se questa misura’ verra’ approvata anche perche’ per legge i parlamentari russi non possono ricevere altre retribuzioni mentre sono in carica.
E d’altra parte, giusto per capire di che stipendi stiamo parlando, è bene sapere che nel 2011, ultimo anno disponibile, il premier Vladimir Putin ha guadagnato 3,6 mln di rubli (92.448 euro al cambio di oggi), mentre il presidente Dmitri Medvedev ha denunciato una somma di 3,3 mln rubli (84.615 euro).
I parlamentari russi guadagnano circa il 50% in meno di Putin.
Ovviamente le misure di austerita’ non finiscono qui, ma almeno Putin ha fatto capire che se bisogna fare sacrifici e’ importante che questi partano dall’alto e indubbiamente con questa mossa ha deciso di dare il buon esempio e forse non e’ un caso se gli ultimi sondaggi indicano un aumento della sua popolarita’ all’86%.
Naturalmente la stampa di regime ha pensato bene di censurare questa notizia perche’ per i giornalai servi dei poteri forti Putin e’ un pazzo assassino da fermare a tutti i costi ma per loro sfortuna questi trucchi oramai non funzionano piu’ perche’ sempre piu’ persone hanno capito che il leader russo fa gli interessi del suo popolo e lo rispettano perche’ nonostante i suoi difetti non ha svenduto il suo paese ai vari avvoltoi dell’alta finanza.
Purtroppo non possiamo dire lo stesso di Letta, Monti e Renzi.
GIUSEPPE DE SANTIS – Londra

tratto da: (clicca qui)

Pubblicazione1MOSCA – La Duma di Stato russa ha ratificato 100 miliardi dollari da destinare alla banca BRICS. La gigantesca somma servirà per i progetti di infrastrutture in Russia, Brasile, India, Cina e Sud Africa, e soprattutto sarà una sfida il predominio occidentale negli “aiuti” finora gestiti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale.
La nuova banca dovrebbe iniziare ad essere pienamente funzionante entro la fine del 2015, secondo il Ministero delle Finanze russo. Inoltre, la Russia ha accettato di fornire 2 miliardi di dollari tratti dal bilancio federale per la banca per i prossimi sette anni.
Il nuovo colosso bancario internazionale avrà tre livelli di corporate governance, con un consiglio dei governatori, Consiglio di amministrazione e presidente.
Il Consiglio di amministrazione della banca terrà la sua prima riunione a Ufa in Russia nel prossimo mese di aprile. Il ministro delle finanze russo Anton Siluanov molto probabilmente sarà il primo presidente della banca del Consiglio dei governatori, secondo quato dichiarato dal vice ministro delle Finanze Sergei Storchak al canale televisivo Russia 24.
La decisione di istituire la banca BRICS, con un 100 miliardi dollari di moneta di riserva, è stata presa nel mese di luglio del 2014. Ciascuno dei cinque paesi membri prevede di destinare una parte uguale a 50 miliardi dollari di capitale all’avvio, somma che sarà portata in seguito a 100 miliardi di dollari. La Russia ha deciso di anticipare i tempi e mettere a disposizione l’intera somma.
La banca avrà sede a Shanghai, e l’India avrà per i primi cinque anni la presidenza di turno, mentre il primo Presidente del Consiglio di Amministrazione verrà dal Brasile.
La clamorosa decisione della Russia di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari già ora, smentisce nei fatti il presunto “problema di valuta estera” russo e dimostra quanto potenti siano le riserve patrimoniali di questa nazione, nonostante le sanzioni e l’accerchiamento tentato dalla Ue assieme all’amministrazione Obama.
Ma a livello globale, l’aspetto davvero significativo della nascita della Banca dei BRICS sta nel fatto che fa finire il predominio dell’Fmi sul mondo e spiazza anche la Banca Mondiale, tagliata anch’essa fuori dai finanziamenti ai grandi e grandissimi investimenti pubblici nei BRICS, ora finalmente liberi dalle imposizioni capestro per cui è “famoso” l’Fmi della signora Lagarde, meglio nota come “la strega”.

Pubblicazione2

 

Christine Lagarde (la strega)

 

 

 

 

tratto da: (clicca qui)

 

 

2015.02.25 – La Russia verso l’abbandono del dollaro, aumenta le riserve in oro e si libera dei bond USA

 

Pubblicazione3

 

DI ATTILIO FOLLIERO

 

 

Gli USA stanno conducendo una “guerra” contro la Russia. Per il momento, non si tratta di una guerra convenzionale con armi e bombe, ma a colpi di sanzioni, ritorsioni e soprattutto cercando di minare la sua economia alla base. La Russia è il principale produttore mondiale di petrolio (con oltre 10 milioni di barili al giorno) per cui – nei propositi degli USA – un crollo del prezzo del petrolio le avrebbe inferto un colpo mortale, come era successo con la ex Unione Sovietica.

Gli USA, in alleanza con le monarchie arabe, grandi riserve e grandi produttori di petrolio, hanno fatto crollare i prezzi del petrolio; contemporaneamente, assieme ai paesi europei hanno imposto sanzioni ed impedito l’esportazione di prodotti agricoli verso la Russia con la scusa della crisi creata ad hoc in Ucraina. Insomma, gli USA ed i suoi alleati contano di stroncare la Russia, attaccandola políticamente, economicamente e mediaticamente.
La Russia è una potenza in ascesa, alleatasi apertamente con la Cina, con la quale ha stipulato grandi accordi commerciali bilaterali tendenti a superare l’uso del dollaro nelle transazioni; basta citare lo storico accordo per la fornitura di gas alla Cina. Inoltre, è del primo dicembre scorso l’altro storico accordo con la Turchia per l’estensione del Blue Stream, l’oleodotto che trasporterà gas dalla Russia alla Turchia, passando per il Mar Nero; dalla Turchia il gas arriverà ai paesi dell’Europa meridionale (Grecia ed Italia), all’Austria ed ai paesi dei Balcani. A questo oleodotto che porta il gas russo all’Europa, si unirà un ramo che porterà anche il gas dell’Iran e dell’Azerbaigian. I paesi dell’Europa che lo desiderano hanno totalmente assicurato l’approvvigionamento gassifero. Tutto ciò rappresenta una minaccia per la potenza USA, perchè tale gas non sarà certo fornito utilizzando il dollaro come strumento di pagamento.
Questi accordi commerciali in cui si elimina l’utilizzo del dollaro, si stanno diffondendo grazie alla Russia (ed alla Cina) anche ad altri stati, come Malesia, Nuova Zelanda e vari paesi dell’America Latina.
Un eventuale abbandono del dollaro come moneta di riserva internazionale avrebbe conseguenze catastrofiche sull’economia statunitense, anzi minerebbe l’esistenza stessa dell’Unione, per cui gli USA sono impegnati a fermare con ogni mezzo (sanzioni, ritorsioni, guerra economica, fino ad arrivare a bombardamenti ed invasioni) tutti coloro che cercano di superare l’uso del dollaro. E’ questa la política che stanno portando avanti anche contro la Russia.
La Russia, però non è l’iraq di Suddam Hussein o la Libia di Geddafi, paesi di pochi milioni di abitanti, che bombardati ed invasi sono stati prontamente sottomessi, o per essere più esatti gli USA ed i media occidentali presumono o diffondono l’idea di averli sottomessi.
La Russia non è facile da sottomettere, anzi sta reagendo e, come avevamo previsto, “Il tentativo degli occidentali (statunitensi ed europei) di isolare la Russia determinerà un boomerang, ossia alla fine a rimetterci saranno europei e statunitensi”.
Come sta reagendo la Russia? L’attacco alla Russia (politico, economico e mediatico) ha determinato una riduzione nel valore del rublo e dei titoli russi, titoli di stato e azioni delle imprese statali quotate alla borsa di Mosca. La Russia ha approfittato di questa caduta del prezzo dei titoli di stato e delle azioni delle imprese statali per ricomprarseli a prezzi scontati. Anche le sanzioni ed in particolare il divieto per i paesi europei di esportare in Russia beni agricoli ed alimentari, ha contribuito a stringere alleanze con altri produttori, come Argentina, Nicaragua ed altri paesi dell’America Latina e di altri continenti.
Ciò che preoccupa maggiormente l’occidente, in particolare gli USA è la vendita dei titoli del debito pubblico statunitense (vedasi grafico).

Pubblicazione4Elaborazione Attilio Folliero su dati del Tesoro USA aggiornati al 31/12/2014 e pubblicati il 17/02/2015

La Russia nel mese di ottobre del 2012 deteneva titoli del debito pubblico statunitense pari a 171 miliardi di dollari ed era all’ottavo posto tra i principali paesi finanziatori del debito pubblico statunitense, dopo Cina, Giappone, Banche caraibiche, Paesi esportatori di petrolio, Brasile, Taiwan e Svizzera. Da allora ha progressivamente ridotto tale quota. Secondo l’ultimo dato disponibile e pubblicato pochi giorni fa dal Tesoro USA, a dicembre del 2014 la quota russa del debito pubblico statunitense (Bond USA) era scesa a 86 miliardi. In particolare, nell’ultimo mese (dicembre 2014) è passata da 108 miliardi a 86, con una riduzione di oltre il 20%.
Anche l’altro grande alleato dei Russia, la Cina sta tagliando i finanziamenti al Governo USA; infatti dai 1.316 miliardi di dollari in titoli del debito USA del novembre 2013 è passata a 1.244 miliardi del dicembre 2014.
La Russia malgrado i duri attacchi economici subiti negli ultimi mesi, non solo è riuscita a ricomprarsi quote del proprio debito pubblico, come visto sopra, ma ha accresciuto le proprie riserve in oro. Quella di accrescere le riserve in oro è una política che sta sviluppando da lungo tempo; infatti, nell’ultimo decenio, la Russia è il paese che ha maggiormente incrementato le proprie riserve, acquistando una media di circa 100 tonnellate di oro all’anno: dalle 386 tonnellate di riserve d’oro del 2005 è arrivata alle 1.208 tonnellate del 2014 (Vedasi grafico sottostante). Nell’ultimo anno l’incremento è stato di ben 173 tonnellate. C’è da aggiungere che i dati del 2014 non sono ancora definitivi essendo aggiornati al mese di novembre.

Pubblicazione5Elaborazione Attilio Folliero su dati del WorldGold Council

In conclusione, la stipula di contratti commerciali in cui si utilizzano monete nazionali, l’estensione del Blue Stream alla Turchia, l’oleodotto che porterà gas ai paesi dell’Europa meridionale e dei balcani, l’aumento delle riserve in oro, evidentemente per sostenere la propia moneta e la riduzione dei titoli del debito USA in dollari dimostra che la Russia si sta allontanando sempre più dal dollaro.
Attilio Folliero

tratto da: (clicca qui)