Intzandusu ? Du faèus custu Soddu ? S’Euro du podèus puru lassai…..bastara no du manigiai !!!
(Allora ? Lo facciamo questo Soddu ? L’Euro lo possiamo pure lasciare….basta non usarlo !!!)

 

1

LONDRA – A sentire i parassiti di Bruxelles la decisione dell’Islanda di rimanere fuori dall’Unione Europea sarebbe un errore colossale visto che tale rifiuto condannerebbe i cittadini islandesi a decenni di povertà, declino e bassissima crescita economica, ma per loro sfortuna la matematica non è un’opinione e i dati recentemente rilasciati dall’istituto di statistica islandese danno un quadro completamente diverso.
E cosi’ mentre i paesi dell’area euro sono ancora impantanati in una recessione senza fine, per quest’anno l’economia islandese e’ destinata a crescere del 2.7%, nel 2015 del 3.3% e tra il 2016 e 2018 la crescita annua dovrebbe oscillare tra il 2.5 e il 2.9%.
A trascinare tale crescita e’ l’aumento dei consumi privati che quest’anno dovrebbe salire del 3.9% e del 4% nel 2015 per poi mantenersi al 3% annuo fino al 2018.
Quindi, mentre gli italiani sono costretti a rinunciare anche all’acquisto di beni essenziali come pasta e pane, i cittadini islandesi possono permettersi di spendere qualcosina in piu’ – si fa per dire, vero? – visto che non devono sottostare ai diktat delivla BCE e della Merkel.
Però c’è anche un altro motivo dietro alla crescita dei consumi, ed è legato alla decisione del governo islandese di condonare parte dei mutui detenuti dalle famiglie islandesi.
Infatti, subito dopo la bancarotta delle tre principali banche islandesi il governo decise nazionalizzare queste banche e ridurre parte dei mutui ad esse dovute – tagliando di molto gli interessi sui prestiti concessi – così da dare un po’ di ossigeno alle famiglie islandesi colpite dalla crisi.
Tale decisione all’epoca fu fortemente criticata dalle agenzie di rating – e dalle banche straniere che perdevano lauti “guadagni” usurai – ma i politici islandesi se ne sono altamente fregati e adesso gli effetti benefici di tale decisione cominciano a farsi sentire.
Quello che sta succedendo in Islanda e’ un esempio da manuale su come vada gestito un paese per farlo uscire dalla crisi finanziaria, ma ovviamente la stampa di regime italiana ha censurato questa storia perche’ la verita’ dà fastidio ai parassiti di Bruxelles e ai loro burattini del governo Renzi, ad iniziare dal ministro dell’Economia Padoan.
GIUSEPPE DE SANTIS – Londra

tratto da: (clicca qui)

 

2014.11.30 – Boicottare Wall Street, il piano di Putin per un mondo libero

Posted by Presidenza on 30 Novembre 2014
Posted in articoli 

FORZA PUTIN !!!

 

Nessuna delle tribù barbare alle frontiere dell’Impero Romano avrebbe potuto, individualmente, annientare la macchina da guerra rappresentata da quest’impero ed entrare vittoriosa a Roma. L’impero s’era fornito di più risorse e più cavalieri in vista della distruzione del suo nemico. I barbari erano divisi e si muovevano in modo scoordinato. Roma, infatti, cadde solamente quando le sue strutture di governo si decomposero e l’esercito cessò di esistere. L’impero, poco a poco, perse le sue province; privato delle sue risorse, si indebolì e perse i mezzi con cui opporsi agli invasori. Ciò significa che per vincere gli Usa, che si considerano come gli eredi dell’impero romano, bisogna: 1. unirsi a coloro che si vogliono liberare del potere di Washington; 2. indebolire dall’interno la “nuova Roma”; 3. privarla di quante più risorse possibili. I paesi stanchi dell’egemonia degli Usa si sono uniti nel quadro dei Brics, dello Sco e dell’Unione Doganale Eurasiatica. Indebolire gli Usa dall’interno è molto complicato, perché ciò richiede delle azioni specifiche: una preparazione di alto livello delle Ong e di specialisti delle “rivoluzioni colorate”, le quali non sono possedute né dalla Russia né dalla Cina.

5

 

 

Vladimir Putin

 

 

 

Tuttavia gli Usa non mancano di problemi interni, che ultimamente peggiorano e si espandono, vedasi l’affare Ferguson. In tal maniera, il mezzo più efficace di opporsi agli Usa è il privarli di risorse, rifiutando tutti i prodotti-chiave americani. Ciò andrebbe a scapito del dollaro, che è il mezzo con cui Washington opera la ridistribuzione delle risorse. Per trattare questo argomento bisogna allontanarsi dagli assalti dell’isteria mass-mediatica. Innanzitutto, bisogna smettere di comprare le obbligazioni Usa ed europee, che succhiano le riserve dei fondi russi. Dal primo gennaio, i fondi che erano utilizzati per l’acquisto di queste obbligazioni dei “partner occidentali” saranno utilizzati per i bisogni del Tesoro. In seguito, nelle strutture profonde del partito “Russia Unita” si prepara una rivoluzione economica a partire dai piani alti. In terzo luogo si persegue l’approccio con la Cina, sulla quale è utile soffermarsi in modo più preciso. Oltre che la messa in moto del memorabile progetto dell’oleodotto “Forza siberiana” si persegue un lavoro comune, determinato e coordinato, del rafforzamento dei mezzi militari, oltre che lo stabilizzare i partner dell’Asia centrale.
Per esempio, la Cina appare essere uno degli investitori principali nel Tagikistan. Tutta una serie di progetti comuni tra Russia e Cina sono stati intrapresi, come l’inaugurazione d’un infrastruttura aeronautica comprende anche gli elicotteri. In relazione a ciò, sta venendo fatto pure un lavoro fondamentale di distacco dal dollaro americano negli scambi commerciali. È utile sottolineare che gli Usa, con le loro azioni ad Hong Kong, hanno decisamente irritato Pechino: il livello di sostegno della popolazione cinese è passato dal 47% al 66% in un solo anno, in seguito al suo confronto con l’Occidente. Durante la diciottesima sessione della commissione russo-cinese per la preparazione degli incontri governativi, il vicepremier ministro Wang Yang ha dichiarato come «sbagliate» le sanzioni occidentali contro la Russia e ha esortato sia la Russia che la Cina a dare una risposta appropriata ai paesi occidentali. Durante il forum economico russo-cinese, il presidente della banca centrale cinese, quinto istituto finanziario al mondo, ha dichiarato che «è indispensabile rafforzare la cooperazione in materia di tali operazioni e mettere fine al monopolio del dollaro». I meccanismi per disgregare l’egemonia del dollaro sono stati oramai concepiti.

Pubblicazione1

 

 

Wang Yang

 

 

 

 

L’11 ottobre la stampa ha confermato che la Russia e la Cina hanno concluso un accordo sulle operazioni “swap” (ossia le operazioni di scambi) per le esportazioni in rubli e yen. Senza dubbio, dopo aver firmato quest’accordo “swap”, il numero dei candidati che intendono astenersi dal dollaro dovrebbe aumentare, perchè anche la Turchia ne é interessata. Intanto si rafforza l’approccio con l’Iran. Teheran e Mosca studiano una transazione nota come “petrolio in cambio di centrali elettriche”. Dato che l’Iran resta vincolato dalle sanzioni, le banche commerciali russe stanno inaugurando una serie di collaborazioni con la Persia, e sta venendo anche effettuato uno studio per stabilire una banca comune per il mutuo finanziamento dei progetti economici e commerciali. E tutto ciò senza parlare delle attività ininterrotte per l’inaugurazione dello spazio economico eurasiatico, al quale s’aggiunge anche l’Armenia e a cui prenderà parte anche il Kirghizistan prima della fine dell’anno. Insomma, il piano strategico di Putin, il cui fulcro è la cooperazione con coloro che sono stanchi dell’egemonia degli Usa, mira a privare gli Stati Uniti delle loro risorse e a rinforzare la propria economia evitando di ricorrere al dollaro per le transazioni. E tutto ciò senza che la Russia e la Cina rischino di incappare nei tranelli che sono tesi loro, sotto forma di “paracaduti gialli” o di prese di posizioni radicali nella guerra civile ucraina. La nuova Roma, senza dubbio, crollerà.
(Ivan Lizin, estratti dall’intervento “Il diabolico manuale di Putin, piccolo manuale di combattimento contro l’impero mondiale”, pubblicato da “Reseau International” il 17 ottobre 2014 e tradotto da “Come Don Chisciotte”).

tratto da: (clicca qui)

 

 

4

Il Comandante della NATO in Europa ammette che non ci sono Forze russe schierate in Ucraina orientale

Il Generale Philip Breedlove, comandante delle Forze NATO, parlando a Kiev il 26 novembre ha fatto una dichiarazione importante, che ovviamente è stata in gran parte ignorata dalla stampa occidentale, scrive Jacques Sapir su RussEurope.

Parlando della possibile presenza di truppe russe nella parte dell’Ucraina che è sotto il controllo dei separatisti filo-russi ha espressamente detto: “Il numero dei militari russi non è cambiato nel corso delle ultime settimane – tra gli otto e i dieci battaglioni sul confine, ma questa non è la parte importante”. Le parole hanno un significato. Ciò significa che (a) non vi è alcuna “invasione” dell’ Ucraina, come è stato ampiamente proclamato sulla stampa francese e occidentale e (b) se le truppe sono “sul confine” non sono all’interno dell’Ucraina.

Quello che sappiamo è che la Russia è un paese sovrano, e ha tutto il diritto di far stazionare le sue truppe alle sue frontiere. Questa dichiarazione fa venire meno le varie accuse sulla presenza di truppe russe che combattono con i ribelli. Nella stessa dichiarazione, Breedlove aggiunge: che i russi all’interno dell’Ucraina “sono principalmente coinvolti in attività di formazione, consulenza, assistenza”. In altre parole, non ci sono truppe da combattimento (o unità regolari) ma la NATO sostiene di avere le prove che “i russi in Ucraina sono coinvolti principalmente nella formazione, consulenza, assistenza e nell’aiuto” alle forze nella parte orientale del paese.” Il Generale Breedlove aggiunge infine: “Non ha a che fare con il numero esatto di truppe dispiegate, è più per il fatto che vi è una grande forza lì che può essere impiegata”. In altre parole dobbiamo giudicare le intenzioni, non i fatti. Ora, prosegue Sapir, un insegnamento fondamentale in tutte le scuole di guerra è che si devono valutare le capacità di un avversario, e non le sue probabili intenzioni.

In realtà, il Comandante Supremo delle Forze della NATO in Europa ammette che non ci sono Forze russe schierate nelle zone controllate dai separatisti. Ammette anche che le dichiarazioni precedenti sulle decine di carri armati russi nelle aree separatiste erano false. Ne prendiamo atto. C’è uno schieramento di Forze alla frontiera, e ci si può chiedere cosa succederebbe se queste Forze venissero impiegate. Ma per ora, non è questo il caso. Questo è un punto essenziale, che, va sottolineato, distrugge completamente la tesi del governo francese sull’atteggiamento della Russia e annulla la decisione sulla consegna delle portaelicotteri classe Mistral alla Marina russa. La decisione del governo francese di sospendere la consegna scredita profondamente il Paese, sia nei confronti dei russi che del resto del mondo, sostiene Sapir.

Che dei russi siano presenti tra gli insorti del Donbass è ovvio e nessuno lo ha mai negato. Si tratta di volontari russi della società civile (e la mobilitazione di questi ultimi a fianco degli insorti è stata ed è impressionante tutt’oggi) e di altri soldati che hanno chiesto un permesso da 3 a 6 mesi. E ‘anche chiaro che questi volontari hanno potuto recarsi in Ucraina dopo il permessi tacito e, a volte esplicito delle autorità locali, e persino federale. In alcune province (come a Smolensk e Rostov), il sostegno agli insorti dell’Ucraina è stato enorme, ed è stato tenuto a freno dalle autorità locali. Ma questi ultimi non si sono opposti e il motivo è che la Russia è una democrazia, anche se imperfetta, anche se con molti difetti, ma è ancora una democrazia. Le autorità di Smolensk e Rostov non volevano andare contro i sentimenti dei loro elettori. A livello federale, è chiaro che il ministro della Difesa ha permesso ai capi degli organismi locali di concedere le autorizzazioni ai soldati di lungo corso e agli ufficiali di raggiungere gli insorti. Ma il governo non ha inviato il suo Esercito in aiuto de ribelli, e questo è un punto importante.

La presenza di volontari russi, ma anche di volontari provenienti da una dozzina di paesi europei, Serbia, Slovacchia, Romania, Francia, Italia e Spagna in particolare, deve essere intesa come una reazione al destino della gente delle zone ribelli. Queste popolazioni hanno subito quello che nel linguaggio diplomatico è conosciuto come “un uso abusivo e non legittimo della forza militare” da parte del governo ucraino. Kiev ha fatto ricorso ad attacchi aerei contro le zone ribelli, esattamente ciò che è stato addebitato al governo siriano da parte dei governi occidentali e ciò che ha motivato la condanna del governo di Damasco. Il bombardamento delle forze Kiev ha colpito ospedali e scuole. Il silenzio delle “grandi menti” degli intellettuali francesi è stato così assordante, e dobbiamo ricordarcene. Siamo perfettamente in grado di comprendere appieno ciò che ha motivato i russi, ma anche gli europei, nell’andare a sostengo dei ribelli. Si tratta di un fenomeno simile a quello delle “brigate internazionali” nella guerra civile spagnola. Dobbiamo capire il movimento di solidarietà profonda che si è sviluppato in Russia nei confronti degli insorti. Questa non è solo una reazione al destino al quale li avevano condannati le autorità di Kiev. Questa reazione di solidarietà è radicata in una reazione nazionale contro le molteplici violazioni delle potenze occidentali. Quando si disprezza una grande nazione e questa si sveglia, è logico attendersi momenti spiacevoli. È inoltre necessario comprendere ciò che significa la parola nazione, e chiaramente questo sfugge ad alcuni leader occidentali.

La società russa, e questo va ben al di là della propaganda del governo che ovviamente è ben presente, si è sollevata contro la pretesa occidentale di avere sempre la “verità” in tasca, su tutto e per tutto. Se non si capisce questo, non si capisce cosa sta succedendo, sia nella parte orientale dell’Ucraina che in Russia. In realtà, oggi, è il comportamento arrogante e aggressivo dei leader della NATO la migliore propaganda per Vladimir Putin in Russia. È la pretesa dei leader europei, almeno alcuni di essi, di rappresentare una “eccezione” in materia di valori e pratiche che sta saldando la società russa attorno ai suoi leader.

tratto da: (clicca qui)

“Ed ora popolo vi dico combattete, ribellatevi, fate che la mia morte non sia vana !!!”

 

Carabiniere trovato morto a Tor di Quinto: “Lavoro per i servizi segreti, mi chiuderanno la bocca”.
I fatti nella serata di ieri nella caserma Salvo D’Acquisto dove alloggiava. Prestava servizio nell’VIII Reggimento Lazio. Sul suo corpo i segni di un colpo di pistola al petto. Su facebook l’ultimo messaggio

3Redazione
Un messaggio su facebook, lasciato 18 ore fa. La chiamata al 112, con frasi sconnesse.
Quindi il colpo al petto che gli ha tolto la vita. Tragedia nella caserma Salvo D’Acquisto di Tor Quinto.
Un carabiniere, in servizio presso l’VIII Reggimento Lazio, è stato trovato morto poco dopo le 22.
E’ stato ritrovato nella sua stanza, insaguinato.
Ad ucciderlo un colpo al petto esploso da una pistola.
L’ipotesi più probabile è quella del suicidio.
Luis Miguel Chiasso, questo il nome del carabiniere, era originario della provincia di Terni.
Poco prima di morire sul suo profilo Facebook aveva scritto: “Lavoro per i servizi segreti italiani e internazionali”, aggiungendo “mi resta poco da vivere, so gia’ che stanno arrivando per chiudere la mia bocca per sempre”.
Secondo quanto si è appreso aveva chiamato poco prima il 112 chiedendo aiuto e pronunciando contemporaneamente frasi sconnesse. L’operatore aveva cercato di trattenerlo al telefono, provando a prendere tempo, quello necessario a far giungere aiuto nella sua stanza. Il carabiniere però ha chiuso la telefonata. Pochi minuti dopo il ritrovamento. Probabile che si sia sparato un colpo al petto.

 

Di seguito riportiamo il messaggio lasciato su facebook

“qualcuno mi conosce sente le mie parole alla TV mi sono creato il personaggio con un attore di Adam kadmon, vi avevo promesso che avrei levato la maschera come faccio a sapere tante cose? Semplice
Lavoro per i servizi segreti italiani ed internazionali da tempo sto vedendo cose a noi sconosciute cose non di questo mondo ma dei nostri creatori, purtroppo sapere determinate cose porta delle responsabilità , mi resta poco da vivere so già che stanno arrivando per chiudere la mia bocca per sempre.
Anni fa giurai questo “Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”.
E ora popolo vi dico combattete ribellatevi fate che la mia morte non sia vana perché il popolo ha il diritto alla disobbedienza verso il governo quando questo perda legittimità agendo fuori dai limiti del mandato e il diritto all’uso consapevole dell’illegalità giustificato dallo stato di guerra che i governanti, tradendo il patto, avrebbero ripristinato:
“E se coloro che con la forza sopprimono il governo sono ribelli, i governanti stessi non possono essere giudicati altrimenti, se essi, che sono stati istituiti per la protezione e la conservazione del popolo e delle sue libertà e proprietà, le violano con la forza e tentano di sopprimerle, e quindi, ponendosi in stato di guerra con quelli che li avevano stabiliti come protettori e custodi della loro pace, sono propriamente, e con la maggiore aggravante, rebellantes, cioè a dire ribelli.

Ma se coloro, che dicono che questa dottrina getta il fondamento della ribellione, vogliono dire che può dare occasione a guerre civili o disordini intestini il dire al popolo che esso è sciolto dall’obbedienza quando si perpetrano attentati illegali contro le sue libertà e proprietà e può opporsi alla violenza illegittima dei suoi governanti istituiti, quando essi violino le sue proprietà contro la fiducia posta in loro, e che perciò questa dottrina, essendo così esiziale per la pace nel mondo, non deve essere ammessa, per la stessa ragione essi potrebbero parimenti dire che uomini onesti non possono opporsi a briganti e pirati, per il fatto che ciò può dar occasione a disordini o versamenti di sangue.

Se in tali occasioni avviene qualche male, esso non deve essere imputato a chi difende il proprio diritto, ma a chi viola il diritto dei vicini. Se l’uomo innocente e onesto deve, per amor di pace, cedere passivamente tutto ciò che possiede a colui che vi attenta con la violenza, vorrei che si pensasse che razza di pace vi sarebbe al mondo, se la pace non consistesse che in violenza e rapine, e non dovesse essere conservata che per il vantaggio di briganti e oppressori.“
tratto da: (clicca qui)

 

 

1

 

Perché la Banca nazionale svizzera ha deciso di entrare nella mischia politica e opporsi a questa iniziativa?

Il 30 novembre in Svizzera si voterà per un referendum che potrebbe sancire il divieto per la Banca nazionale svizzera (BNS) di vendere le riserve auree attuali e future, l’obbligo di rimpatriare tutte le riserve auree svizzere detenute all’estero e il vincolo di detenere un quantitativo di oro non inferiore al 20% delle sue riserve. La BNS di solito non commenta i referendum politici. Tuttavia, in questo caso si è fatta sentire chiara e forte.

Perché la Banca centrale ha deciso di entrare nella mischia politica e opporsi a questa iniziativa? Quali sono le sue preoccupazioni? Sono valide o motivate da altri fattori?, si interroga Eric Schreiber sul blog GoldSilverWorlds.

Le obiezioni principali della Banca Centrale Svizzera al referendum sono sostanzialmente tre:

1. Sostiene che l’oro sia uno degli investimenti più rischiosi e più volatili,

2. il vincolo del 20% abbasserebbe il dividendo distribuito periodicamente alla Confederazione e ai cantoni dal momento che l’oro non paga interessi o dividendi e

3. il vincolo del 20% interferirebbe con la sua capacità di condurre la politica monetaria e complicherebbe gli sforzi per mantenere “il tasso di cambio minimo”, la politica “temporanea” di ancoraggio del franco svizzero all’euro iniziata nel 2011.

I primi due problemi possono essere rapidamente affrontati e superati. L’oro è davvero un bene volatile, ma lo sono anche obbligazioni e azioni. Negli ultimi anni le obbligazioni europee greche, spagnole, italiane, irlandesi e di altri paesi sono state molto più volatili dell’oro.

Per quanto riguarda la seconda preoccupazione – la distribuzione dei proventi derivanti dalla speculazione finanziaria e versati alla Confederazione e ai Cantoni – bisognerebbe innanzitutto chiedersi se è appropriato o meno per la BNS ri-definirsi come un hedge fund invece di rimanere concentrata sulla sua responsabilità fondamentale di banca centrale.

Affrontare adeguatamente la terza preoccupazione della BNS richiede invece un’analisi più dettagliata e uno sguardo indietro alla storia regionale di due decenni fa. La popolazione svizzera ha bocciato due iniziative distinte, una nel 1992 e l’altra nel 2001 per far parte dell’Unione Europea. Nonostante il voto popolari, la Svizzera è stata integrata nell’Unione europea a tutti gli effetti anche se ufficialmente rimane ancora al di fuori del gruppo dei paesi membri. L’entrata nell’UE è stata inizialmente realizzata mediante politiche, attraverso una serie di trattati bilaterali, 10 in totale, e poi nel 2005 con il voto popolare a favore dell’accordo di Schengen. Le leggi tra l’UE e la Svizzera sono state armonizzate e i controlli di confine con i paesi membri dell’Unione europea sono stati aboliti per consentire la libera circolazione di persone, beni e servizi. Purtroppo, l’adesione furtiva della Svizzera all’Unione europea ha reso politicamente impossibile una votazione pubblica sull’opportunità o meno di sostituire la valuta sovrana della nazione con l’euro. Per aggirare il problema, il 6 settembre 2011 la BNS ha decretato che sarebbe stato imposto un tasso di cambio minimo “temporaneo” di 1,20 tra la moneta unica e il franco svizzero per respingere il flusso di euro in entrata nel paese a causa della crisi finanziaria che stava inghiottendo Spagna e Grecia. Da quel momento al CHF sarebbe stato consentito solo di perdere il suo valore contro l’euro, ma non di rafforzarsi oltre 1,20. In questo modo, la politica monetaria svizzera è stata tranquillamente consegnata alla Banca centrale europea (BCE), pur mantenendo il miraggio di una moneta sovrana svizzera davanti al pubblico. Il CHF è stato trasformato in uno strumento derivato dell’euro, senza la ratifica o la conoscenza della popolazione. Il grafico qui sotto mostra il legame tra l’euro e il CHF in quanto dall’avvio della misura “temporanea” del “tasso di cambio minimo” oltre 3 anni fa. Si noti come la linea rossa, il CHF, segue da vicino la linea verde dell’euro ma rimane sempre un po’ al di sotto di esso (più debole) e mai sopra di esso (più forte). Perché questa politica è ancora in vigore dal momento che per l’Ue la crisi in Spagna e Grecia è finita?

2

La politica del “tasso minimo di cambio” della BNS impoverisce la popolazione svizzera aumentando il prezzo di tutte le importazioni dell’UE acquistate in Svizzera. Questo è forse il più eclatante e certamente meno pubblicizzato effetto dell’azione della BNS. Ogni volta che un residente in Svizzera acquista un bene o un servizio in Svizzera realizzato nella Ue è reso più povero dalle azioni della propria banca nazionale.

Votare “SI” al referendum sarebbe un primo passo verso la risoluzione dello squilibrio che esiste tra la BNS e la popolazione svizzera. Un “sì” darebbe il via ad un processo di ripristino della responsabilità e della trasparenza su un’istituzione che con la sospensione del vincolo del franco all’oro ha incrementato il suo bilancio, si è reinventata come un hedge fund e ha ecceduto i limiti del suo mandato originale. Le banche centrali dovrebbero essere prestatori di ultima istanza e regolatori sistemici. In una democrazia diretta, le decisioni in materia di imposizione fiscale, adesione ad unioni politiche e commerciali e autonomia della moneta nazionale dovrebbero essere determinate dal voto popolare e non decretate o aggirate da un editto della Banca centrale.

tratto da: (clicca qui)

2014.11.25 – Perché i palestinesi devono sparire dalla faccia della terra

Posted by Presidenza on 25 Novembre 2014
Posted in articoli 

<<La struttura razzista finale è l’esclusione e l’appropriazione delle risorse naturali. Questa è una situazione nella quale il gruppo dominante necessita delle risorse del gruppo subordinato, ma non del loro lavoro (né dei loro corpi, né della loro esistenza fisica). Questa è la struttura razzista che più facilmente conduce a un genocidio.>>

Esattamente quello che fa lo Stato straniero, colonialista e razzista italiano nei confronti del Popolo Sardo….

 

La sociologia delle relazioni etniche/razziali identifica 3 tipi distinti di strutture razziste, ossia le relazioni strutturali tra i gruppi dominanti e le minoranze. Una è quella che è stata chiamata delle “minoranze di intermediari”. In questa struttura, il gruppo minoritario ha una relazione di mediazione tra il dominante e i gruppi subordinati. Questa è stata storicamente l’esperienza dei commercianti cinesi d’oltremare in Asia, dei libanesi e siriani nell’Africa occidentale, degli indiani nell’est Africa, dei meticci in Sudafrica e degli ebrei in Europa. Quando le “minoranze di intermediari” perdono la loro funzione mano a mano che cambiano le strutture, possono essere assorbite dal nuovo ordine o possono diventare capri espiatori, o addirittura subire un genocidio. Gli ebrei occuparono storicamente questo ruolo di “minoranza di intermediari” nell’Europa feudale e nel capitalismo in nuce. La struttura dell’Europa feudale assegnò agli ebrei certe funzioni vitali per l’espansione della società feudale europea. Queste includevano la gestione del commercio a lunga distanza e il prestito di denaro.

1

 

Ebreo ortodosso

 

Queste attività furono vietate dalla Chiesa cattolica e non erano parte normale delle relazioni tra padrone-servo nel cuore del feudalesimo; nonostante ciò erano vitali per il mantenimento del sistema. Quando il capitalismo si sviluppè nei secoli XIX e XX, nuovi gruppi capitalisti assunsero le funzioni di commercio e bancarie, perciò il ruolo degli ebrei risultò superfluo per le nuove classi dominanti. Come risultato gli ebrei in Europa soffrirono intense pressioni mano a mano che il capitalismo si sviluppava e sporadicamente soffrirono il genocidio, come capro espiatorio delle difficoltà del capitalismo, la perdita del loro ruolo economico che prima era vitale, la crisi mondiale del 1930, l’ideologia e il programma nazista. Un secondo tipo di struttura razzista è quella che chiamiamo “il supersfruttamento e/o la disorganizzazione della classe operaia”. Questa è una situazione nella quale il settore razziale subordinato e oppresso dentro la classe sfruttata occupa i gradini più bassi dell’economia e della società, in particolare dentro una classe operaia razziale o etnicamente stratificata. Il concetto chiave qui è che il lavoro del gruppo subordinato (i loro corpi, la loro esistenza) è necessario per il sistema dominante, anche se il gruppo sperimenta emarginazione culturale e sociale e la privazione dei diritti politici.
Questa fu l’esperienza storica schiavista degli afroamericani in Usa, così come quella degli irlandesi in Inghilterra, dei latini attualmente in Usa, degli indios Maya in Guatemala, degli africani in Sudafrica sotto l’apartheid e così successivamente. Questi gruppi sono con frequenza subordinati sociali, culturali e politici sia che questo sia di fatto o per legge. Rappresentano il settore dei supersfruttati e discriminati, lavorativamente, razzialmente e etnicamente divisi e situati nelle classi popolari. Questa fu l’esperienza dei palestinesi nell’economia politica israeliana fino a poco tempo fa e nelle circostanze uniche di Israele e della Palestina nel XX secolo. La struttura razzista finale è l’esclusione e l’appropriazione delle risorse naturali. Questa è una situazione nella quale il gruppo dominante necessita delle risorse del gruppo subordinato, ma non del loro lavoro (né dei loro corpi, né della loro esistenza fisica). Questa è la struttura razzista che più facilmente conduce a un genocidio.

2Indiani d’America

 

 

Fu l’esperienza dei nativi americani nell’America del nord. I gruppi dominanti necessitavano della loro terra, però non del loro lavoro o dei loro corpi, dato che gli schiavi africani e gli europei già offrivano la mano d’opera necessaria per il nuovo sistema, e pertanto furono vittime del genocidio. E’ stata l’esperienza dei gruppi indigeni dell’Amazzonia. Lì furono scoperte, nella loro terra, nuove e enormi risorse minerarie e energetiche. E nondimeno e letteralmente, anche se non sono necessari, questi indigeni interpongono i loro corpi nel cammino del capitale verso le risorse. Per questo attualmente ci sono pressioni per riattivare il genocidio. Questa è la situazione più recente che gli afroamericani affrontano negli Usa. Molti afroamericani passarono dallo stare nel settore dei supersfruttati della classe operaia all’emarginazione quando i datori di lavoro cambiarono la mano d’opera sfruttata afroamericana per quella degli immigranti latini che diventarono i supersfruttati. Come gli afrostatunitensi, in quantità significativa, diventarono strutturalmente emarginati; sono oggetto di una crescente privazione dei loro diritti, di criminalizzazione, della falsa “guerra contro le droghe”, della incarcerazione di massa e del terrore della polizia e dello Stato. Sono visti dal sistema come necessari per controllare una popolazione non necessaria e ribelle.
Allora, come i nativi americani prima di loro (e a differenza dei sudafricani neri) i corpi palestinesi non sono più necessari e semplicemente stanno intralciando lo Stato sionista, i gruppi dirigenti, i coloni e gli aspiranti coloni che necessitano delle risorse palestinesi, specificamente la terra, però non dei palestinesi. In verità, anche se i lavoratori palestinesi vengono eliminati dall’economia israeliana, migliaia di palestinesi di Cisgiordania ancora lavorano in Israele. Gli immigrati ebrei russi e altri che sostituirono la mano d’opera palestinese in Israele nella decade dei ‘90 continuarono negli anni seguenti confidando nel proprio privilegio razziale per entrare nella classe media israeliana, dato che non vogliono occupare posti di lavoro relazionati con gli arabi. Così successe che gli africani, gli asiatici e altri immigranti del Sud globalizzato continuarono ad arrivare in Israele. Questo cambio di direzione volta a farli divenire “l’umanità in eccesso” sembra essere più avanzato per gli abitanti di Gaza, che rimangono bloccati e relegati nel campo di concentramento nel quale Gaza si è convertita. I palestinesi di Gaza appaiono come il primo gruppo che affronta il tormento del genocidio.

3La repressione israeliana contro i palestinesi

 

 

I sionisti e i difensori di Israele considerano come una grande offesa qualsiasi analogia tra i nazisti e le azioni dello stato di Israele, inclusa l’accusa di genocidio, in parte a causa del fatto che l’olocausto ebreo è utilizzato dallo Stato di Israele e del progetto politico sionista come meccanismo di legittimazione; perciò parlare di queste analogie significa rivelare il discorso di legittimazione israeliano. E’ cruciale indicare ciò, perché questo discorso è arrivato poco a poco a legittimare le politiche o le proposte israeliane in corso, che dimostrano una similitudine ogni volta più allarmante con altri esempi storici di genocidio. Il notevole storico israeliano Benny Morris, professore dell’università Ben Gurion del Negev, che si identifica strettamente con Israele, concesse una lunga intervista al periodico “Haaretz” nel 2004, dove si riferiva al genocidio dei nativi americani al riguardo di ciò che sono oggi gli Stati Uniti d’America con il fine di suggerire che il genocidio può essere accettabile. Disse nell’intervista: «Anche la grande democrazia statunitense non poté essere creata senza l’annichilazione degli indios. Ci sono casi nei quali il bene finale globale giustifica atti aggressivi e crudeli che si commettono nel corso della storia».

4Benny Morris

 

Successivamente, fece un richiamo alla pulizia etnica dei palestinesi, dicendo: «Bisogna costruire per loro qualcosa di simile a una gabbia. So che suona terribile. E’ realmente crudele. Però non c’è altra opzione. C’è un animale selvaggio che bisogna rinchiudere in un modo o nell’altro». Le opinioni di Morris non rappresentano il consenso dentro Israele, molto meno nell’ambito internazionale e ci sono varie divisioni, punti di tensione e contraddizioni tra i gruppi di potere israeliani e transnazionali. C’è anche un crescente movimento mondiale di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni (Bds) che fa pressione sui gruppi dominanti per arrivare a un accordo che difenda i loro propri interessi economici. Questo è un momento imprevedibile. Ci siano o no pressioni strutturali in favore del genocidio, in realtà la materializzazione del progetto di genocidio dipenderà dalla congiuntura storica della crisi, dalle condizioni politiche e ideologiche che fanno del genocidio una possibilità e un agente dello Stato con i mezzi e la volontà per attuarlo. Visibilmente a Gaza è già cominciato un genocidio al rallentatore, dove ci sono stati assedi israeliani per mesi ogni pochi anni che mietono migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, centinaia di migliaia di profughi e tutta la popolazione privata delle condizioni basilari di vita, con l’eclatante appoggio pubblico israeliano che appoggia queste campagne. Queste condizioni generali necessarie a un progetto di genocidio sono lontane dal materializzarsi, però certamente in questo momento si stanno infiltrando. Tocca alla comunità internazionale lottare a fianco dei palestinesi e degli israeliani decenti per evitare tale risultato.

5William Robinson

 

(William Robinson, “La sociologia del razzismo e del genocidio, da Ferguson ai Territori Occupati”, estratto dall’articolo “L’economia politica dell’apartheid israeliano e lo spettro del genocidio”, pubblicato da “Truth-Out” il 19 settembre 2014 e tradotto da “Come Don Chisciotte”. Robinson è professore di sociologia, studi globali e latinoamericani nell’università di California a Santa Barbara. Il suo libro più recente è “Il capitalismo globale e la crisi dell’umanità”).

 

tratto da: (clicca qui)