2019.04.16 – Così la Corsica vuole abbandonare la Francia di Macron

Posted by Presidenza on 16 Aprile 2019
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Emmanuel Macron si deve occupare di tenere botta in vista delle europee, ma pure degli affari interni. Non bastavano le barricate dei gilet gialli e l’annunciata rivolta elettorale del ceto medio, pure le richieste dei corsi finiscono sull’agenda dell’inquilino dell’Eliseo. E non potrebbe essere altrimenti, considerato che la Corsica sta domandando, con tutti gli strumenti giuridici del caso, di venir meno all’annessione francese. L’atto centrale risale al 30 novembre del 1789.

In questa storia, per comprendere qualcosa in più, bisogna tornare indietro nel tempo. La base giuridica delle tesi degli indipendentisti – come sottolineato su Libero – è la presunta mancata ratifica dei trattati con cui i transalpini si sono aggiudicati l’isola. Per far sì che il sogno secessionista abbia qualche possibilità concreta, dovremmo mettere in campo qualcosa di nostro. Sono i genovesi, stando a quei documenti, a essersi riservati il diritto di procedere con una sorta di contro – riscatto. Ma la questione, nel Belpaese, non è di stretta attualità. Marine Le Pen e il suo Rassemblement National, in Corsica, sembrano non bastare più e forse non sono mai bastati.

Tempo fa quei territori, almeno in parte, potevano essere considerati una roccaforte lepenista. Il distacco dei corsi dalla terraferma, nel tempo, è divenuto radicale e i partiti tradizionali hanno smesso da tempo di dettare l’agenda. Gli indipendentisti non hanno mai mollato. Sembra mancare un novello Pascal Paoli, un leader unificante. Certo, c’è Jean Guy Talamoni, ma è molto distante dalle istanze che definiremmo populiste, sovraniste e quindi nazionaliste in senso stretto. Anzi, il presidente dell’Assemblea nazionale è un’aperturista in materia di gestione dei fenomeni migratori. In questa chiave di lettura, che è tutta ideologica, possono essere operate delle analogie tra quanto sta accadendo in Corsica e quanto è già avvenuto in Catalogna.

Il “processo di Matignon”, comunque sia, non basta più. L’appello non riguarda uno status giuridico speciale, ma una vera e propria liberazione da quelle che vengono percepite come barriere oppressive. La Corte di giustizia della Unione europea, con ogni probabilità, sarà costretta a pronunciarsi sul caso di specie.

Poi c’è quel rifiuto assoluto del neo – bonapartismo incarnato da Emmanuel Macron. Stando a quanto si apprende sul quotidiano citato, sembra quasi che il presidente della Repubblica francese non possa visitare quelle terre. Viene volentieri rimbalzato da quei leader indipendentisti, che non si palesano nel corso delle occasioni pubbliche.

I sondaggi sulle elezioni europee di maggio, per il leader de La Republique En Marche!, non sono così negativi. Pare che i progressisti d’oltralpe possano sperare almeno di affiancare Marine Le Pen e i suoi. Non in Corsica, però, Macron può solo provare a limitare i danni: la sua presidenza ha contribuito a inasprire le richieste dei secessionisti.

tratto da: (clicca qui)

2019.04.13 – Il martirio di Julian Assange

Posted by Presidenza on 13 Aprile 2019
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Dobbiamo tutti resistere. Dobbiamo, in ogni modo possibile, fare pressioni sul governo britannico per fermare il linciaggio giudiziario di Assange. Se Assange sarà estradato e processato, si creerà un precedente legale che metterà fine alla capacità della stampa

 

 

L’arresto, giovedì scorso, di Julian Assange mette a nudo tutta la finzione del principio di legalità e dei diritti di una stampa libera. Le illegalità commesse dai governi ecuadoriano, britannico e statunitense nel sequestro di Assange sono inquietanti. Sono il presagio di un mondo in cui i meccanismi interni, gli abusi, la corruzione, le menzogne e i crimini, specialmente quelli di guerra, commessi dagli stati corporativi e dall’élite dominante mondiale saranno nascosti al pubblico. Sono il presagio di un mondo in cui quelli che avranno il coraggio e l’integrità per denunciare l’uso improprio del potere verranno braccati, torturati, sottoposti a processi fittizi e condannati a pene detentive in isolamento. Sono il presagio di una distopia orwelliana, in cui le notizie sono sostituite da propaganda, futilità e intrattenimento. L’arresto di Assange, temo, segna l’inizio ufficiale del totalitarismo corporativo che condizionerà tutte le nostre vite.

In base a che legge il presidente ecuadoriano Lenin Moreno ha arbitrariamente posto fine al diritto di asilo di Julian Assange come rifugiato politico? In base a quale legge Moreno ha autorizzato la polizia britannica ad entrare nell’ambasciata ecuadoriana, un legittimo territorio sovrano secondo gli accordi diplomatici, per arrestare un cittadino naturalizzato dell’Ecuador? In base a quale legge il Primo Ministro Theresa May ha ordinato alla polizia britannica di arrestare Assange, che non ha mai commesso alcun crimine? In base a quale legge il presidente Donald Trump ha chiesto l’estradizione di Assange, che non è un cittadino degli Stati Uniti e la cui organizzazione giornalistica non ha sede negli Stati Uniti?

Sono sicuro che i procuratori di stato stanno mettendocela tutta, in quella che ormai è la norma per lo stato corporativo, usando argomenti legali pretestuosi, per distruggere i diritti sanciti dalla legge giudiziaria. Questo è il modo in cui abbiamo il diritto alla privacy senza privacy. Questo è il modo in cui abbiamo elezioni “libere” finanziate da fondi aziendali, coperte da media corporativi allineati e sotto il ferreo controllo societario. Questo è il modo in cui abbiamo un processo legislativo in cui i lobbisti delle multinazionali scrivono le proposte e i politici a libro paga delle stesse aziende le trasformano in leggi. Questo è il modo in cui abbiamo il diritto ad un giusto processo senza un giusto processo. Questo è il modo in cui abbiamo un governo, la cui responsabilità fondamentale è proteggere i cittadini, che ordina ed esegue l’assassinio dei propri cittadini, come il religioso radicale Anwar al-Awlaki e suo figlio di 16 anni. Questo è il modo in cui abbiamo una stampa legalmente autorizzata a pubblicare informazioni riservate e un editore chiuso in prigione in Gran Bretagna in attesa di estradizione negli Stati Uniti e un informatore, Chelsea Manning, nella cella di un carcere degli Stati Uniti.

La Gran Bretagna userà come pretesto legale per l’arresto la richiesta di estradizione di Washington, basata su accuse di cospirazione. Questa argomentazione legale, in un sistema giudiziario funzionante, verrebbe respinta da qualsiasi tribunale. Sfortunatamente, non abbiamo più un sistema giudiziario funzionante. Presto sapremo se anche la Gran Bretagna ne è priva.

Ad Assange era stato concesso asilo nell’ambasciata nel 2012, per evitare la sua estradizione in Svezia, dove sarebbe stato interrogato per presunti reati sessuali, accuse che alla fine erano state ritirate. Assange e i suoi avvocati hanno sempre sostenuto che, se fosse stato trattenuto in custodia da parte degli Svedesi, sarebbe poi stato estradato negli Stati Uniti. Una volta ottenuto l’asilo e la cittadinanza ecuadoriana, il governo britannico si era rifiutato di concedere ad Assange un salvacondotto per l’aeroporto di Londra, intrappolandolo nell’ambasciata per sette anni, mentre la sua salute lentamente si deteriorava.

L’amministrazione Trump tenterà di processare Assange in base all’accusa di aver cospirato con la Manning, nel 2010, per rubare le registrazioni di guerra sull’Iraq e sull’Afghanistan, che erano poi state fatte pervenire a WikiLeaks. Il mezzo milione di documenti riservati trafugati dalla Manning dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato, insieme al video del 2007 degli elicotteristi statunitensi che sparano disinvoltamente sui civili iracheni, bambini compresi, e su due giornalisti della Reuters, hanno fornito abbondanti prove dell’ipocrisia, della violenza indiscriminata, e dell’uso routinario della tortura, delle bugie, della corruzione e delle rozze tattiche di intimidazione da parte del governo degli Stati Uniti nelle sue relazioni internazionali e nelle sue guerre in Medio Oriente. Assange e WikiLeaks ci hanno permesso di vedere dall’interno il funzionamento dell’impero, [quello che dovrebbe essere] il ruolo più importante della stampa, e, per questo, sono diventati preda dell’impero.

I procuratori degli Stati Uniti tenteranno di separare WikiLeaks e Assange dal New York Times e dal quotidiano britannico The Guardian, che avevano entrambi pubblicato il materiale divulgato dalla Manning, implicando Assange nel furto dei documenti. La Manning è stata ripetutamente e spesso brutalmente ‘messa sotto pressione’ durante la sua detenzione e il suo processo per indurla a coinvolgere Assange nel furto del materiale, cosa che si è sempre rifiutata di fare. È attualmente in prigione a causa del suo rifiuto di testimoniare, senza la presenza del suo avvocato, davanti al gran giurì riunito per il caso Assange. Il presidente Barack Obama aveva concesso alla Manning, a cui era stata inflitta una condanna a 35 anni, il perdono, dopo averle fatto scontare sette anni in un carcere militare.

Dopo che i documenti e i video forniti dalla Manning ad Assange e a WikiLeaks erano stati pubblicati e diffusi da organizzazioni giornalistiche, come il New York Times e il Guardian, la stampa, in modo cinico e sciocco, si era rivoltata contro Assange. Le agenzie mediatiche che avevano pubblicato per diversi giorni il materiale di WikiLeaks si erano trasformate in fretta in conduttori di una bieca campagna propagandistica, volta a screditare Assange e WikiLeaks. Questa campagna diffamatoria coordinata era stata descritta in modo dettagliato in un documento trapelato dal Pentagono, preparato dal Cyber Counterintelligence Assessments Branch e datato 8 marzo 2008. Il documento invitava gli Stati Uniti a sradicare il “sentimento di fiducia” che è il “centro di gravità” di WikiLeaks e a distruggere la reputazione di Assange.

Assange, che con i documenti riservati trasmessigli dalla Manning, aveva denunciato i crimini di guerra, le menzogne e le manipolazioni criminali dell’amministrazione di George W. Bush, si era in seguito attirato le ire della dirigenza del Partito Democratico pubblicando 70.000 e-mail hackerate dal Democratic National Committee (DNC) e da funzionari dello stesso partito. Le e-mail erano state copiate dagli accounts di John Podesta, il responsabile della campagna di Hillary Clinton. Le e-mail di Podesta avevano reso pubblica la donazione di milioni di dollari da parte dell’Arabia Saudita e del Qatar, due dei maggiori finanziatori dello Stato Islamico, alla Fondazione Clinton. Avevano reso di pubblico dominio i 657.000 dollari che Goldman Sachs aveva pagato a Hillary Clinton per tenere alcuni discorsi, una somma così grande che può essere solo considerata una tangente. Avevano fatto conoscere la ripetuta mendacità della Clinton. Si era scoperto, per esempio, che nelle e-mail diceva alle élite finanziarie di volere “un commercio libero e senza frontiere” e di credere che i dirigenti di Wall Street fossero nella posizione migliore per gestire l’economia, un’affermazione che contraddiceva le dichiarazioni della sua campagna elettorale. Avevano esposto i tentativi della campagna della Clinton per influenzare le primarie repubblicane, per fare in modo che Trump fosse il candidato repubblicano. Avevano fatto sapere a tutti che la Clinton conosceva in anticipo le domande che le erano state poste in un dibattito per le primarie. Avevano denunciato la Clinton come il principale artefice della guerra in Libia, una guerra che, secondo lei, avrebbe dato lustro alle sue credenziali di candidato presidenziale. I giornalisti possono sostenere che queste informazioni, come le registrazioni di guerra, dovrebbero rimanere segrete, ma allora non possono definirsi giornalisti.

La leadership democratica, tutta intenta ad incolpare la Russia per la sua sconfitta elettorale, afferma che le e-mail di Podesta sarebbero state trafugate dagli hacker del governo russo, sebbene James Comey, l’ex direttore dell’FBI, abbia ammesso che le e-mail sono state probabilmente consegnate a WikiLeaks da un intermediario. Assange ha detto che le e-mail non erano state fornite da “funzionari statali.”

WikiLeaks ha fatto più di qualsiasi altra organizzazione giornalistica per mettere in luce gli abusi di potere e i crimini dell’Impero Americano. Oltre alle registrazioni di guerra e alle e-mail di Podesta, ha reso pubblici i metodi di hackeraggio utilizzati dalla CIA e dalla National Security Agency e la loro interferenza nelle elezioni straniere, comprese quelle francesi. Ha rivelato la cospirazione interna contro il leader del Partito Laburista Britannico, Jeremy Corbyn, da parte di rappresentanti parlamentari dello stesso Partito Laburista. È intervenuta per salvare Edward Snowden, che aveva denunciato la totale sorveglianza del pubblico americano da parte dai nostri servizi segreti, dall’estradizione negli Stati Uniti, aiutandolo a fuggire da Hong Kong a Mosca. Le rivelazioni di Snowden avevano anche fatto sapere che Assange era in una “lista di ricercati degli Stati Uniti.”

Un Assange dal volto stremato, mentre veniva trascinato fuori dall’ambasciata dalla polizia britannica, ha alzato il dito e ha gridato: “L’U.K. deve resistere a questo tentativo dell’amministrazione Trump. … L’U.K. deve resistere!”

Dobbiamo tutti resistere. Dobbiamo, in ogni modo possibile, fare pressioni sul governo britannico per fermare il linciaggio giudiziario di Assange. Se Assange sarà estradato e processato, si creerà un precedente legale che metterà fine alla capacità della stampa, che Trump ha ripetutamente definito “il nemico del popolo,” di mettere il potere di fronte alle sue malefatte. I crimini finanziari e di guerra, la persecuzione dei dissidenti, delle minoranze e degli immigrati, il saccheggio da parte delle corporazioni della nazione e dell’ecosistema e lo spietato impoverimento dei lavoratori e delle donne per gonfiare i conti bancari dei ricchi e consolidare il totale controllo del potere da parte degli oligarchi globali, non solo si espanderà, ma non farà più neanche parte del dibattito pubblico. Prima Assange. Poi noi.

Chris Hedges

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I popoli diventano superflui e ininfluenti perché l’economia finanziarizzata non ha più bisogno, per produrre ricchezza e mantenere il potere costituito

 

 

Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento  del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.

La terza è che i popoli diventano superflui e ininfluenti perché l’economia finanziarizzata non ha più bisogno, per produrre ricchezza e mantenere il potere costituito, di produrre e vendere grandi quantità di beni reali, né di eserciti di massa; quindi i cittadini, come lavoratori-consumatori-combattenti hanno perso utilità per il sistema, e con essa rilevanza politica; da qui il diffondersi della povertà e la perdita di diritti dei lavoratori. La quarta è la capacità tecnologica, che i manovratori del potere stanno sempre più acquisendo, di monitorare e influenzare anche biologicamente i singoli e la società, e persino le condizioni metereologiche, con mezzi praticamente irresistibili. Veniamo ora ai paraocchi, cioè ai principali fattori che impediscono all’opinione pubblica di capire come funzionano e come si stanno evolvendo la società e l’ordinamento giuridico, e che così li rendono psicologicamente accettabili alla massa. Infatti la gente non sopporta di sentirsi impotente entro un sistema ingiusto, illegittimo e sopraffattore, quindi accetta ogni aiuto per costruirsi l’illusione di vivere in un sistema complessivamente legittimo, visibile e ben intenzionato. In primo luogo si tende tuttora a pensare che i processi decisionali e le intenzioni dei soggetti istituzionali, politici ed economici, siano quelli dichiarati anziché altri, nascosti e dissimulati – anche se da Machiavelli in poi la politologia insegna che le cose stanno proprio così.

In secondo luogo, si tende a pensare che l’uomo e la collettività e il loro bene siano il fine dell’azione dello Stato, mentre al contrario i detentori del potere ‘tengono’ la collettività come un loro strumento, similmente a come l’allevatore tiene il bestiame; e gli Stati, al loro interno e nei rapporti internazionali, agiscono non secondo i principi legali ed etici con cui si legittimano, bensì cercando sopraffazione e sfruttamento. In terzo luogo si tende a pensare che il potere reale coincida col potere ufficialmente visibile e pubblico, istituzionale, controllabile politicamente e giudiziariamente, anziché essere detenuto da soggetti autoreferenziali, non responsabili e scarsamente visibili. In quarto luogo si tende a pensare che la legalità sia complessivamente osservata soprattutto dai poteri pubblici e delle istituzioni, e difesa dalla giustizia – mentre non è affatto così, anzi prevalgono le pratiche e le decisioni illegali, e il potere giudiziario strutturalmente si occupa non di difendere la legalità ma di mascherare, legittimare, preservare i rapporti di forza, privilegio e interesse reali, indipendentemente dalla loro illegalità, mantenendo una apparenza di legittimità agli occhi della massa. Bisognerebbe sempre tenere a mente che rispettare le regole, per chi detiene il potere, è un costo.

In quinto luogo, si tende a credere, in conformità al catechismo neoliberale dei mass media e delle istituzioni, che il mercato libero esista, che sia efficiente, e che tenda alla crescita economica, mentre al contrario il mercato non è libero ma controllato da cartelli; non è efficiente, perché non tende ad aumentare la produzione di beni della vita né a prevenire o curare le crisi, ma a produrne in continuazione, per speculare e condizionare i governi grazie ad esse; ed essendo un mercato dominato dalla finanza, non tende a produrre più ricchezza reale. In sesto luogo, nella recessione-stagnazione economica si tende a non vedere che esse sono tali solo per la popolazione generale, mentre per l’élite dominante, per i manovratori, esse comportano un grande incremento di ricchezza e potere rispetto alla società complessiva. I detentori apicali del potere, i pianificatori-manovratori di lungo termine, da qualche decennio si stanno servendo delle dinamiche del capitalismo finanziario (che distrugge insieme le sicurezze private e le strutture pubbliche rappresentative dei popoli), nonché della sua capacità di condizionare i comportamenti collettivi e individuali, allo scopo di preparare e attivare gli strumenti per la riduzione della popolazione, dei consumi e delle emissioni: riduzione che pare indispensabile per salvare il pianeta.

In queste ottiche, lo sviluppo economico è stato fermato e avviato alla sua inversione dal cartello mondiale privato della moneta e del credito attraverso la creazione orchestrata di una carestia monetaria,  giustificata con false teorie economiche, e che moltiplica le ricchezze della classe globale dominante diffondendo la povertà nella popolazione generale. Analogamente, la dinamica (“animal spirits”) del profitto capitalistico e monopolistico viene sfruttata per creare, attraverso la privatizzazione della produzione e del commercio delle risorse alimentari (terreni, sementi, chimica) nelle mani di un cartello globale, i presupposti per una carenza alimentare generale nel terzo mondo. Questa condizione orchestrata di carestia alimentare globale, combinata con la carestia monetaria, in una prima fase opera una progressiva estrazione di ricchezza e reddito dalle nazioni (cittadini, imprese, settore pubblico), e in una seconda fase prepara la soluzione del problema eco-demografico, appoggiata da farmaci contaminati e contaminanti alimentari nonché ambientali che abbassano le difese immunitarie e la fertilità, minano il sistema nervoso, e innalzano la morbilità soprattutto degenerativa nella popolazione generale. Il nemico della biosfera, dell’ambiente, ultimamente sono i sette miliardi di sovrappopolazione, coi loro consumi e le loro emissioni – e quella sopra sembra essere la cura che è stata pianificata. Vorrei ricordare quanto sopra a coloro che credono ancora che si possa rilanciare la natalità e lo sviluppo economico.

Marco Della Luna

tratto da: (clicca qui)

I suoi disastrosi fallimenti in Afghanistan e in Libia hanno mostrato al mondo che è militarmente inetta e amministrativamente incompetente, mentre la sua celebrazione del ventennale “forte impegno” polacco è prova di ipocrisia e di disperata devozione all’irrilevanza. Le bambole Barbie si sentirebbero perfettamente a loro agio nel nuovo palazzo della NATO a Bruxelles.

 

 

“Non mi sono mai chiesto, neanche per una volta, il costo del nuovo quartier generale della NATO. Mi rifiuto di farlo, ma è bellissimo.” Il presidente Trump.

Secondo la NATO, il costo del suo nuovo edificio è stato di 1,1 miliardi di euro (1,23 miliardi di dollari).

Il 2019 è un anno di interessanti commemorazioni, tra cui il settantacinquesimo anniversario del D-Day, lo sbarco delle truppe alleate in Francia che, insieme all’offensiva militare russa Bagration (che “aveva causato la più grande sconfitta nella storia militare tedesca, distruggendo completamente 28 su 34 divisioni tedesche e mandando totalmente in pezzi il fronte tedesco”), aveva preannunciato la fine della Seconda Guerra Mondiale. Poi c’è l’anniversario del primo sbarco sulla Luna, avvenuto cinquant’anni fa, nel mese di luglio.

Inoltre, il 9 marzo c’è stato il sessantesimo compleanno della Barbie Doll, una costosa bambolina, simile ad una marionetta e che può assumere un sacco di posizioni.

Il che ci porta all’alleanza militare USA-NATO, che celebra quest’anno due suoi anniversari nella sua nuova sede di Bruxelles, costata 1,23 miliardi di dollari. Commemora la sua creazione, 70 anni fa, e l’occasione, quando “il 12 marzo 1999, alla presenza della controparte statunitense, l’allora Segretario di Stato Madeleine Albright, i Ministri degli Esteri di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca avevano finalmente ratificato i protocolli di adesione alla NATO.”

Vent’anni fa, il raggruppamento della NATO aveva iniziato la sua espansione verso est, minacciando volutamente la Russia,  in contrasto con le assicurazioni date a Mikhail Gorbachev dall’amministrazione Bush e da altri leader occidentali nel 1990. C’erano state dichiarazioni secondo cui un simile impegno non sarebbe mai stato sottoscritto, ma alcuni ricercatori hanno dimostrato che questa era solo disinformazione. Infatti, è stato rivelatoche “il Presidente George HW Bush, il Ministro degli Esteri della Germania Occidentale Hans-Dietrich Genscher, il Cancelliere della Germania Occidentale Helmut Kohl, il direttore della CIA Robert Gates, il Presidente francese Francois Mitterand, il Primo Ministro britannico Margaret Thatcher, il Ministro degli Esteri britannico Douglas Hurd, il Primo Ministro britannico John Major e il segretario generale della NATO Manfred Woerner” avevano “assicurato che la NATO non si sarebbe espansa.”

Ma il nome del gioco è proprio espansione e, naturalmente, la cosa aveva suscitato le proteste dalla Russia. Ad esempio, alla Conferenza di Monaco sulla politica della sicurezza del 2007, come riportato dal Washington Post, il Presidente Putin aveva dichiarato: “Penso che sia ovvio che l’espansione della NATO non ha alcun rapporto con la modernizzazione dell’alleanza stessa o con l’offrire una garanzia di sicurezza all’Europa. Al contrario, rappresenta una seria provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca. E abbiamo il diritto di chiedere: contro chi è destinata questa espansione? E cosa ne è stato delle assicurazioni che i nostri partner occidentali avevano fornito dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia? Dove sono quelle dichiarazioni oggi? Nessuno neanche se ne ricorda. Mi permetterò comunque di rammentare a questo pubblico ciò che era stato detto. Vorrei citare il discorso del Segretario Generale della NATO, il signor Woerner, a Bruxelles il 17 maggio 1990. Aveva affermato che ‘il fatto che siamo pronti a non posizionare un esercito NATO al di fuori del territorio tedesco conferisce all’Unione Sovietica una garanzia di sicurezza.’ Dove sono queste garanzie?”

La risposta è che le garanzie sono state sottoposte ad un cinico tentativo di cancellazione, diniego e distruzione.

Si era trattato di una classica messa in scena, ed è palesemente ovvio, col senno di poi, che i Padrini della NATO non avevano alcuna intenzione di attenersi alla solenne rassicurazioneche l’alleanza “non si sarebbe espansa di un solo centimetro verso est.” Perché verso est è avanzata e, nel 2004, ha cozzato contro i confini della Russia quando Estonia, Lettonia e Lituania (insieme a Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia) erano  saltate sul carro.

Nessuno di questi paesi ha o ha avuto qualche motivo per temere una minaccia dalla Russia, che continua ad incoraggiare gli scambi reciproci e non ha nessuna intenzione di intraprendere un’azione militare contro di loro.

Nonostante ciò, l’alleanza militare della NATO ha annunciato di aver “rafforzato la sua presenza avanzata nella parte orientale dell’Alleanza, con quattro gruppi multinazionali a livello di battaglione a rotazione in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.”

Di tutti i paesi che hanno aderito alla NATO nella sua frenesia espansiva, la Polonia è la più interessante. Nell’anno dell’anniversario, il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha scelto di visitare Varsavia dove ha elogiato il forte impegno della Polonia nei confronti dell’Alleanza, che include ospitare un contingente della NATO, guidare la missione di pattugliamento aereo sul Baltico, in Lituania, e contribuire alle missioni di addestramento della NATO in Afghanistan e in Iraq.”

Stoltenberg si è rallegrato che la NATO si sia rivelata “l’alleanza di maggior successo nella storia,” (probabilmente la più assurda affermazione che abbia mai fatto) ed ha espresso il suo compiacimento per il fatto che “la Polonia sta contribuendo al rafforzamento della nostra alleanza,” essendo allo stesso tempo “assai grato per il contributo che la Polonia dà alla NATO quotidianamente.”

Questo è l’impareggiabile membro della NATO che, come Human Rights Watch nota nel suo rapporto del 2019, ha un governo che compie “sforzi per indebolire lo stato di diritto e la protezione dei diritti umani,” con il primo obiettivo di “limitare l’indipendenza dell’apparato giudiziario.” Lo scorso dicembre, la Corte di Giustizia dell’UE aveva stabilito che la Polonia avrebbe dovuto immediatamente sospendere l’applicazione della legge che comportava il pensionamento anticipato di quasi un terzo dei suoi giudici di Corte.

Questo è il genere di paese che è importante per l’alleanza militare USA-NATO. Ed è considerato un vero e proprio tesoro (letteralmente), anche per altri motivi.

Lo scorso marzo, la Reuters ha riferito che “la Polonia ha firmato la più importante commessa di armamenti della sua storia,” quando ha accettato di dotarsi del sistema missilistico Raytheon Patriot per 4,75 miliardi di dollari e poi ha acquistato, secondo Boeing, “solo” tre “Next-Generation 737” per il trasporto VIP, che costano la bellezza di 523 milioni di dollari. E, poche settimane fa, il Primo Ministro polacco ha annunciato  l’acquisizione di un sistema di artiglieria missilistico ad alta mobilità realizzato da Lockheed, al costo di 414 milioni di dollari.

Nel settembre del 2018 si era diffusa la notizia del progetto di una base militare permanente degli Stati Uniti in Polonia, di cui il presidente Trump si era dichiarato entusiasta e, il 14 marzo, la testata Stars and Stripes ci aveva informati che “il Sottosegretario alla Difesa per la politica John Rood si era incontrato con le sue controparti polacche per lavorare sul piano,” così pare che “Fort Trump” sia destinato ad essere una roccaforte avanzata dell’espansione militare della NATO.

Non importa che, come osserva il Guardian, “una pseudodemocrazia di destra, nazionalista e populista… abbia messo radici” in Polonia, e che persino il Washington Post sia turbatodal fatto che “la democrazia polacca è sempre in pericolo: la politicizzazione dei servizi di sicurezza, la trasformazione dei media statali in organi di propaganda e la pressione sui giornalisti indipendenti e sulla società civile continuano a progredire;” il fatto è che la NATO continuerà ad ignorare le prove di questo crescente autoritarismo.

La Polonia continuerà ad essere accettata come un membro di valore, indipendentemente dalla repressione interna o da qualsiasi altra cosa. E, mentre Trump può accusare gli altri membri della NATO di essere “inequivocabilmente velenosi” e fare dichiarazioni talmente assurde come “la Germania è prigioniera della Russia, penso sia qualcosa che la NATO deve prendere in considerazione,”  è ovvio che non ha preoccupazioni di sorta per la Polonia.

Il 2019 è per la NATO il grande anno del doppio anniversario. Il fatto che esista ancora dopo settant’anni dimostra un’enorme dedizione al mantenimento di un’organizzazione che avrebbe dovuto essere sciolta contemporaneamente al Patto di Varsavia. I suoi disastrosi fallimenti in Afghanistan e in Libia hanno mostrato al mondo che è militarmente inetta e amministrativamente incompetente, mentre la sua celebrazione del ventennale “forte impegno” polacco è prova di ipocrisia e di disperata devozione all’irrilevanza. Le bambole Barbie si sentirebbero perfettamente a loro agio nel nuovo palazzo della NATO a Bruxelles.

Brian Cloughley

tratto da: (clicca qui)

2019.02.26 – Chi comanda davvero in Italia? Non la politica (non più)

Posted by Presidenza on 26 Febbraio 2019
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Fa sempre una certa impressione scoprire che la maggior parte delle persone ignora che il potere non è più in mano della politica da almeno 50 anni. Alla televisione mantengono un alto gradimento i talk show dedicati alla politica e sui social rivoluzionari da tastiera i cyberutenti si massacrano a colpi di destra e sinistra, bianchi e neri, guelfi e ghibellini anche se sono categorie ormai svuotate completamente del loro significato e, come tali, inutilizzabili. Eppure le informazioni sul vero potere ci sono. E sono abbondanti. E sono imbarazzanti, persino. Visto che però la cosa passa in modo a quanto pare ancora confuso, proviamo a stilare un elenco dei veri poteri in Italia, senza tirare troppo in ballo Trilaterale e gruppo Bilderberg, che puzzano di complottismo. Allora, com’è noto, Parlamento e governo sono luoghi ove si prendono alcune decisioni importanti, ma si basano quasi esclusivamente su decisioni già prese da organismi sovranazionali e in quanto tali antidemocratici (come la Commissione Europea). Affinché ciò avvenga sotto il profilo “pratico” i politici nostrani sono circondati da una categoria di personaggi piuttosto nota e che vengono chiamati “i lobbisti”. Ecco, se ne hai già sentito parlare, sappi che comandano loro in Italia e lo fanno sulla scorta delle decisioni e pressioni provenienti da questi gruppi sovranazionali cui facevo cenno prima.

Negli ultimi anni la figura del “responsabile delle relazioni istituzionali” (o “public affairs specialist”) è stata ripulita dal linguaggio mainstream e ha cominciato a conoscere una buona reputazione. Anche al di fuori delle aziende, sono tanti quelli che la considerano un’attività dignitosissima, che richiede studio, competenza e passione. Su “Linkiesta”, nel 2013, è comparsa persino un’intervista: chi è il lobbista? E cosa fa di preciso? «È un tecnico – dice Fabio Bistoncini della F&B Associati – che rappresenta un gruppo di interesse e che ha l’obiettivo di comunicare con chi gestisce il processo decisionale per influenzarlo, cercando per esempio di modificare una normativa specifica oppure, ed è ciò che si definisce “advocacy”, tentando di inserire un tema all’ordine del giorno nell’agenda politica». Qualcuno li chiama anche “spin doctor”, qualcuno dice che sono esperti in relazioni e che hanno una cultura umanistica, in prevalenza.

A giudicare dai nomi che girano e dal loro curriculum vitae, in verità, i lobbisti sono dei mestatori capaci di raccogliere fondi perché la politicaprenda determinate decisioni piuttosto che altre. In America, contrariamente a quello che molti “liberal” possono pensare, la categoria dei lobbisti è ancora più forte che in Italia e determina chi sarà e chi non sarà presidente della Repubblica Usa, sulla scorta dei fondi recuperati in sede di campagna elettorale. In altri termini, ci sono società che mettono soldi in “cultura lobbistica” e gli spin doctor ci mettono la faccia col politico di turno spostandolo di qua o di là a piacimento. Come ci riescono, senza essere dei maghi? Be’, provateci voi a fare una campagna elettorale senza quattrini, senza conoscenze, senza pubblicazioni. Può anche capitare, ma dopo – a certi livelli – per rimanere dentro il circo e salire gradini gerarchici occorre appoggiarsi a questi, che però fanno pagare il prezzo ben presto: vogliono che “tu” politico prenda decisioni che loro stessi hanno approntato a vantaggio di chi li finanzia, soprattutto banche e società industriali.

Alcuni esempi: a parte la curiosa presenza sul territorio nazionale di istituti come l’Università Luiss a Roma o il Cuoa a Vicenza o la Bocconi milanese, a voler fare nomi di persona non si possono trascurare i Caltagirone di Roma, imparentati con il segretario dell’Udc Pierferdinando Casini. Il fondatore ed editorialista del giornale “Il Riformista”, Claudio Velardi (già comunista…). La famigerata società Cattaneo Zanetto di Alberto Cattaneo, Claudia Pomposo e Paolo Zanetto. I fratelli Gavio, costruttori che pressano da anni per fare ’sto inutile Ponte di Messina. L’enorme studio legale che faceva capo a Tina Lagostena Bassi (morta nel 2008 e nota anche come conduttrice televisiva di fascia notturna). Ho fatto abbastanza nomi? Ce ne sono molti altri, ma in Italia quelli che ho nominato sopra ci comandano di sicuro. Pensateci, quando andrete alle urne a perdere tempo.

Massimo Bordin

tratto da: (clicca qui)

 

 

E se fosse soltanto l’ennesima, colossale presa in giro? Tutto finto: Grillo e i 5 Stelle, il sovranista Salvini, persino i Gilet Gialli che stanno scuotendo la Francia di Macron. Ragionamento ipotetico: dato che il potere è ben consapevole del malcontento montante, ormai in vastissimi strati della società, non è forse logico concludere che sia interessato a cavalcarlo, il dissenso, magari scegliendo accuratamente “ribelli” rumorosi ma in fondo innocui? Pensateci: e se fosse stato davvero il potere supremo, massonico e religioso, a mettere in campo l’attuale populismo, prima che la protesta potesse sfociare in una vera rottura del sistema? L’autore di questa suggestione è Fausto Carotenuto, a lungo analista strategico dell’intelligence Nato. Per molti anni, si è occupato proprio di questo: consigliare i governi su come gestire le crisi e fabbricare il consenso. La sa lunga, Carotenuto, in fatto di manipolazione: “fake news”, terrorismo “false flag”, tecniche collaudate di condizionamento. Sa come si pilotano i sentimenti delle masse, grazie al vecchio trucco che funziona sempre: l’Uomo Nero. Il nemico è perfetto, per indurre il popolo a sbagliare mira: ci si divide, ci si odia. E si spara contro bersagli di cartone. Finita la bagarre, tutto torna come prima. Il Gattopardo: cambiare tutto, per non cambiare niente. E il sistema, il potere vero, resta al riparo della sua torre.

Elucubrazione virtuale, teorica. Nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato anni fa da UnoEditori, Carotenuto ripropone il medesimo schematismo a livello generale, geopolitico, introducendo la categoria della metafisica: tutto quello che appare assurdo e incomprensibile (un “mistero”, appunto), avrebbe in realtà una precisa spiegazione sul terreno – sfuggente – della spiritualità. Carotenuto ridisegna il mondo secondo lo schema binario delle piramidi di potere, nere e bianche. E sostiene che le cosiddette “forze oscure”, in realtà, lavorano anch’esse – ruvidamente – per un risultato che poi non è negativo: proprio la manifestazione del male, reso visibile attraverso le atrocità della storia e dell’attualità, finisce in un ultima analisi per risvegliare l’umanità dal letargo. Non è pessimista, Carotenuto: è convinto che almeno il 30% della popolazione mondiale si stia finalmente accorgendo del grande inganno cui sarebbe sottoposta, dai “poteri oscuri”. Tradurre questa visione nella cronaca politica di oggi comporta un bel salto. Ma Carotenuto, animatore del network “Coscienze in Rete”, lo affronta senza imbarazzi ai microfoni di “Border Nights”: niente di nuovo sotto il sole, dice. Anche l’Italia gialloverde fa parte di un gioco antichissimo, destinato purtroppo a funzionare. Scontato l’esito: il cambiamento sarà solo un’illusione.

A innescare questa conclusione è il desolante spettacolo del governo italiano, che (come volevasi dimostrare) non riesce a mantenere nessuna delle sue grandi promesse elettorali. Lega e 5 Stelle hanno già sgonfiato la roboante “rivoluzione” che avevano evocato: obbediscono a Big Pharma sui vaccini, cedono all’Ue su tutta la linea, lasciano impallidire il reddito di cittadinanza. Ancora: la Lega si dimentica di abolire la legge Fornero sulle pensioni, e in più si allinea all’antica cordata affaristica dell’inutile Tav Torino-Lione. Ve ne stupite? Non dovreste, dice Carotenuto: tutto va esattamente nel modo previsto fin dall’inizio. Previsto da chi? Elementare: dal potere, lo stesso che ha messo in piedi questo sovranismo populista tutto chiacchiere e distintivo, fatto di fumo senza arrosto. Il che, peraltro – ammette Carotenuto – non esclude affatto che gli attuali governanti siano meno peggiori dei precedenti: qua e là lo si vede, il loro sforzo sincero per migliorare la situazione. Ma sono soltanto briciole: quelle che il potere stesso è disposto a concedere, per rendere credibile l’operazione agli occhi degli italiani. L’importante è che gli elettori non scarichino Salvini e Di Maio – non ancora, per lo meno, perché in questo momento “servono” a tener buono un paese come il nostro, il cui vero risveglio politico sarebbe comunque temuto.

Da un lato, gli impeccabili attori Merkel e Macron – burattini perfetti, in questo teatro – mettono in scena l’odioso copione centralista del Sacro Romano Impero. Dall’altro, in modo opposto ma simmetrico, speculare – l’opposizione è incarnata a livello di piazza dai Gilet Gialli, e a livello istituzionale dai nuovi politici italiani: il piccolo sceriffo Salvini e un movimento d’opinione nato dal nulla, sul web, per iniziativa dell’ex comico Beppe Grillo. Ve lo ricordate, il vecchio Beppe, prima che venisse cacciato dalla Rai per quella battutaccia sui socialisti ladri? Era un artista onesto, affabile, di medio profilo. Poi, risentitosi per l’ingiustizia subita, si è trasformato di colpo. All’improvviso, è diventato un pensatore politico acuminato e stranamente informatissimo, un vero fuoriclasse della controinformazione. Passo seguente: la creazione del partito (pardon, movimento). Infine: l’ascesa fulminea dei pentastellati, ora al governo. Ha fatto tutto da solo, il vecchio Beppe? Suvvia. Basta vedere il sequel: il suo pupillo Di Maio è in ritirata su tutta la linea, ogni fronte veramente pericoloso per il potere è stato smantellato. E l’ideologo ormai si limita a fare il filosofo, dal suo buen retiro genovese, in apparenza lontano da tutto. In quanti ci sono cascati? In tantissimi: un elettore su tre, stando alle ultime consultazioni.

Molto rumore per nulla? Praticamente, sì. O quasi: perché, comunque – secondo Carotenuto – il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ovvero: anche la più amara disillusione può dare frutti, insegnando ai cittadini a diffidare di chi promette regali favolosi. Meglio delegare il meno possibile, non scommettere sulle dinamiche verticali su cui si fonda la rappresentanza, nel gioco democratico. E imparare a investire in modo orizzontale nella partecipazione diretta e concreta, che poi è quella che qualsiasi potente teme di più. Chiusa la parentesi politica, Carotenuto torna spiritualista: se ci supportassimo a vicenda in modo solidale, dice, la piramide perderebbe. Se il sistema è basato sullo sfruttamento delle persone, ha bisogno che gli individui siano soli, divisi e spaventati, pieni di rancore. Volemose bene? Non è una battuta, insiste Carotenuto: è un metodo. L’attuale potere, configurato in forma di dominio (“per stare meglio, ho bisogno che gli altri stiano peggio”) sa benissimo come funziona, lo schema: e se l’Uomo Nero sparisce, è finita. Se smettessimo di odiare il nemico di turno, non potremmo più esseremanipolati così facilmente. Non ce ne rendiamo conto? Vero. I “poteri oscuri”, invece, lo sanno fin troppo bene. Per questo ci fabbricano incessantemente sia i “nemici”, come Merkel e Macron, che gli “amici” come Grillo e Salvini.

Troppo manicheo, l’ineffabile Carotenuto? Troppo semplicistico, nel suo riduzionismo estremo? L’alternativa che propone – costruire reti territoriali di persone leali tra loro – non prevede esiti immediati, a livello di macrocosmo. Però, sostiene, sortisce effetti vistosi e molto solidi, nel raggio d’azione alla portata dei singoli. Prendiamo la bistrattata valle di Susa: proprio grazie alla grande paura del Tav ha sviluppato un modello sociale diverso, più attento all’umanità quotidiana. Le persone hanno riscoperto valori essenziali, che erano stati trascurati. In questo senso, l’ipotetica “piramide nera” lavora per noi, a sua insaputa: si impegna a fare disastri, ma poi finisce per farci del bene, suo malgrado. Le tesi di Carotenuto? Pensieri lunghi, da prendere per quello che sono: un invito a riflettere, a non agire sotto l’impulso di pressioni emotive sapientemente costruite secondo modalità invariabili, sempre uguali. Il risultato potrebbe essere la raffinazione della capacità di analisi. Un nuovo modo di guardare alle cose, cercando di capire – prima e meglio – di che pasta è fatto chi abbiamo di fronte, sul palcoscenico non esattamente entusiasmante della politica italiana. Se non altro, fornisce una possibile risposta alla domanda che resta sempre in sospeso: com’è possibile che tutti i politici, una volta al governo (in Italia e altrove) finiscano sempre per deludere, tradendo la fiducia ottenuta dagli elettori?

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