2014.01.22 – Siamo in guerra ma non lo vogliamo ammettere

Posted by Presidenza on 22 Gennaio 2014
Posted in articoli 

UNA PICCOLA RIFLESSIONE SULLA RESPONSABILITA’ E SULLE CATTIVE ABITUDINI

Quando ti tolgono il pane dalla bocca, a te e ai tuoi figli, quando ti sembra di soffocare e non ti lasciano prendere fiato e – anzi – ti tolgono ancora più aria, allora vuol dire che sei in guerra. Si, sei in stato di guerra. Una guerra che non ti è mai stata dichiarata ufficialmente perché non c’è interesse che tu ne sia consapevole. Guerra. E’ una parola pesante ? Sicuramente non lo è per chi ti ha mosso guerra contro te e i tuoi figli e la tua terra. Per LORO è normale. Però, se tu vai a …”protestare” allora ti dicono che devi stare attento, a quello che dici e come lo dici e a chi lo dici. Tu non te ne rendi conto, ti sembra troppo pensare di essere in guerra, un’esagerazione, una cosa troppo brutta e tremenda da accettare questa semplice e amara realtà.

Perchè ?

Ma non sarà forse perché l’accettazione di quello che può essere un semplicissimo, chiaro, limpido e concreto pensiero imporrebbe una presa di posizione altrettanto concreta ? Cioè, se chiarisci con te stesso che ti stanno facendo la guerra allora devi scendere in guerra, se no muori. Non sopravvivi. E se pensi questo sei costretto a fare cose a cui non avresti mai pensato prima. In ogni caso devi reagire e fare qualcosa.

Invece spesso ti prendono a cazzotti, e preferisci far finta che non ti fanno male, così non reagisci e tutti sono contenti di te. Non puoi deludere nessuno. Sei accettato e ti accetti. E continui a prenderle di santa ragione.

Sono dell’idea che spesso non vogliamo accettare la realtà perchè questa imporrebbe la responsabilità della reazione concreta da parte nostra. I problemi che nella vita di ognuno di noi si ripresentano con cadenza quasi regolare, non ci dicono affatto che siano sfortunati. La sfortuna non esiste. E’ pura illusione. E’ il conforto del demonio. I problemi ci stanno dicendo che stiamo sbagliando a non affrontarli e quindi siamo impossibilitati a  fare il passo successivo verso la crescita e la responsabilità. E noi non vogliamo nessuna responsabilità, a cominciare proprio da quella dovuta verso noi stessi, e figuriamoci verso gli altri.

La ricerca della responsabilità è una pratica che l’uomo del XXI secolo sta abbandonando. La responsabilità l’abbiamo ripudiata. E’ scomoda, ci ricorda quanto siamo stupidi e ci farebbe male, troppo male. Ecco perchè hanno potuto inculcarci l’idea di essere sempre e comunque pacifisti, di essere sempre e comunque tolleranti, sempre e comunque ben educati, sempre e comunque equilibrati, moderati in ogni nostra azione e innanzi tutto in ogni nostro pensiero! Accettiamo tutto, e di tutto. Bravi bambini. La realtà davanti ai nostri occhi è diventata ormai una farsa da avanspettacolo di rivista.

Ti dicono che devi pagare lo stesso uno sproposito di tasse anche quando non ce la fai e ti rincarano la dose dicendoti che devi stringere i denti e pagare lo stesso. Non sarebbe più onesto chiamare questa cosa “pagamento del pizzo ?”.

Chiunque ti governi ti bombarda con il tormentone del “…sta per arrivare la ripresa!”. Frase che – guarda caso – è sempre pronunciata proprio da chi è il colpevole del danno irreparabile fatto al tessuto economico di questo paese, per cui la ripresa noi non la vedremo mai! Mai fin quando ci saranno loro! Ti dicono che stanno facendo qualcosa per te e invece sarebbe più onesto riconoscere che stanno in realtà lavorando CONTRO di te, CONTRO i tuoi figli, CONTRO la tua terra.  Ti dicono che all’estero c’è più possibilità per te o per tuo figlio, ti invitano a tenere duro quando in realtà loro vogliono buttarti fuori a calci in culo per riorganizzare la TUA terra con una società diversa, con persone più controllabili, che fanno meno il gradasso.

Ti dicono che siamo in democrazia e invece sarebbe onesto chiamarla dittatura.

E’ chiaro che contro tutto questo non possiamo far niente da soli se cominciamo per lo meno a guardarci allo specchio e chiederci – una buona volta per sempre – se è questo quello che vogliamo veramente. Darci una risposta sincera sarebbe già di per sé un grande atto di rispetto verso se stessi, ammettendo che finora è stato dato consenso ad una classe politico-dirigenziale più simile ad una compagnia di teatro, delle macchiette, tra l’altro pagate profumatamente, sarebbe già una prima reazione seria e umana.

E non saranno certo le manifestazioni di piazza a ridarci il maltolto. Tra l’altro, protestare sonoramente non ha mai dato alcun risultato, in particolar modo in Italia, perchè anche quando fossimo un milione davanti al Palazzo non ci sarebbe nessun cronista disposto a dare il giusto risalto all’evento, e non darebbe mai i veri numeri della protesta, perché non c’è nessun giornalista/giornale che sarà mai dalla TUA parte (alla faccia dei cani da guardia della democrazia) e anzi farà di tutto per sminuire l’evento, se non riportarlo come atto di terrorismo per le strade. Già, un atto di terrorismo, la scusa adatta per cui un poliziotto in assetto antisommossa proverà a sfondarti il cranio a manganellate perché chi gli firma la busta paga non tollera un certo tipo di dissenso e quindi gli ordina di tapparti la bocca con ogni mezzo.

Siamo in guerra già da parecchio tempo. E’ una guerra strana, atipica, non convenzionale, dove gli unici contendenti a scendere sul campo di battaglia sono tutti meno che i cittadini, e cioè:  la classe politica, le fondazioni bancarie, le case farmaceutiche, la casta degli editori e dei giornalisti, la casta dei magistrati “colorati”, i signori delle multinazionali, e chi più ne ha più ne metta, da decenni ci bastonano e ci sfruttano succhiandoci avidamente il sangue e rubando il nostro futuro. Si perché si sono presi anche quello. E noi, i cittadini, continuiamo a votarli, a sceglierli. A proposito della scelta e sulla libertà della democrazia, mi preme citarvi un brano dei dialoghi del film Matrix Reloaded, dove uno dei personaggi cattivi (il Merovingio) affermava in una famosa battuta che “…la scelta è solo un’illusione creata e posta tra chi ha potere e chi non né ha…”.

Da ché l’unica vera scelta autentica che abbiamo mai fatto è quella di non combattere e anzi a volte ci mostriamo verso il nostro nemico particolarmente accondiscendenti, al limite del masochismo.

L’unica via da percorre quindi è la responsabilità personale di ognuno di noi, e capire finalmente che siamo in guerra, che possiamo combatterla se ri-conosciamo il nostro nemico, cioè chi continua a raccontarci frottole, ci sorride e mentre ci prosciuga la dignità ci chiede anche il prossimo voto. Nella cabina elettorale spesso si consuma il delitto più odioso che un cittadino possa commettere verso se stesso: l’abitudine di votare sempre e comunque gli stessi colori. L’abitudine di votare sempre e comunque chi non ha mai fatto niente e mai niente farà per i cittadini, perché sono servi di altri padroni.

Togliere definitivamente il velo a questa ipocrisia di fondo togliendo l’assenso a questo sistema, a questo stato di cose. Ci vuole solo la forza di cambiare certe “abitudini”.

A proposito di abitudine. Oriana Fallaci, famosissima giornalista e scrittrice, una che aveva il santissimo vizio di non mandarle a dire, in un suo romanzo pubblicato nel 1979 dal titolo Un uomo, ebbe a scrivere:
“L’abitudine è la più infame delle malattie perchè ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte.

Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portare le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto.

L’abitudine è il più spietato dei veleni perchè entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci.

Buona fortuna a tutti.

tratto da: (clicca qui)

 


Il giorno sabato 18 gennaio 2014 presso la sede del MLNV si è tenuta una riunione del Coordinamento dei Movimenti di Liberazione Nazionale Sardo, Siciliano e Veneto.

Nell’occasione il MLNV ha chiesto agli altri MLN di ratificare appena possibile il Trattato di cooperazione e mutuo consenso che di seguito riportiamo e che speriamo di poter estendere anche ad altri Movimenti di Liberazione Nazionale.


 

Oggetto: TRATTATO DI COOPERAZIONE E MUTUO SOSTEGNO.

Le Parti Contraenti, riaffermando il loro desiderio di vedere ripristinata la totale e incondizionata sovranità dei rispettivi Popoli sulle proprie Terre d’origine, oggi occupate dallo stato straniero italiano, desiderano consolidare la cooperazione e il mutuo sostegno fra i Movimenti di Liberazione Nazionale aderenti al presente trattato al fine di consentire il raggiungimento e il compimento del loro diritto di autodeterminazione.

Ispirandosi ai fini e ai principi della Carta delle Nazioni Unite le Parti Contraenti hanno convenuto le seguenti disposizioni:

 

Art.1

Intento esclusivo del presente trattato è il mutuo sostegno e appoggio per il conseguimento e l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei Popoli qui rappresentati dai rispettivi Movimenti di Liberazione Nazionale.

 

Art.2

L’aggressiva, razzista e colonialista occupazione straniera italiana impegna le Parti Contraenti a  stabilire e attuare, nei modi e tempi che si decideranno secondo le rispettive reali possibilità, le misure necessarie per garantire la sicurezza dei rispettivi Popoli.

 

Art.3

Le Parti Contraenti si impegnano, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite, ad astenersi dal ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza per non compromettere la pace e la sicurezza internazionali.

Nel caso però uno o più dei Movimenti di Liberazione Nazionale parte del presente trattato, fossero oggetto di attacco e di azioni di forza da parte delle autorità d’occupazione straniere italiane, ogni Movimento di Liberazione Nazionale, parte al trattato, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art.51 della Carta delle Nazioni Unite, accorderà, individualmente e/o in accordo con gli altri Movimenti di Liberazione Nazionale, la necessaria assistenza, con tutti i mezzi che riterrà opportuni, compreso l’impiego della forza armata, se richiesto e autorizzato dalla Parte Contraente attaccatta.

 

Art.4

Allo scopo di consolidare il coordinamento politico per una maggiore efficacia attuativa delle rispettive rivendicazioni di autodeterminazione le Parti Contraenti si consulteranno fra loro per tutte le questioni di rilevanza internazionale, decidendo, nel caso, di agire congiuntamente.

 

Art.5

Le Parti stipulanti si impegnano a non aderire e partecipare ad alcuna coalizione od alleanza e/o concludere accordi e patti di qualsivoglia natura, i cui fini possano essere in contrasto con quelli siglati dal presente Trattato o contrari ai principi di autodeterminazione dei rispettivi Popoli.

 

Art.6

Le Parti stipulanti si impegnano ad agire con reciproco spirito di amicizia e collaborazione per sviluppare e consolidare legami di mutuo soccorso nel rispetto dell’indipendenza e della reclamata sovranità delle rispettive Nazioni, avendo riguardo di non ingerenza negli affari interni e la giusta considerazione per le tipicità culturali, per le tradizioni, per gli usi e costumi dei rispettivi Popoli.

 

WSM

Venetia, 18 gennaio 2014

Il Vice Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio

Davide Giaretta

Il Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio

Sergio Bortotto

2014.01.18 (2)

2014.01.18 (3)

2014.01.18

tratto da: (clicca qui)

giovedì 16 gennaio 2014

DUBLINO — Stavo parlando poco prima di Natale con un ragazzo che vende scarpe in un grande magazzino di Dublino. Mi ha detto che il giorno prima una troupe televisiva aveva girato delle interviste nel negozio. Volevano sapere se le vendite fossero salite durante l’importantissimo periodo natalizio, per avere un segnale se la malconcia economia irlandese, dopo cinque anni terribili, sia finalmente in ripresa.

La maggior parte dei suoi colleghi aveva risposto che, in realtà, le vendite erano piuttosto deludenti. Uno, che era invece più fiducioso, aveva detto che c’erano segnali di miglioramento. Quando alla sera il giovane ha visto il telegiornale, non è stato particolarmente sorpreso nello scoprire che l’unica intervista mandata in onda era quella con l’ottimista.

Tutti vogliono che l’Irlanda sia una storia a lieto fine, la prova che la disponibilità a subire le pene di un’austerità prolungata alla fine verrà  premiata. I cittadini comuni hanno bisogno di qualche speranza. Il governo, nelle parole del vice primo ministro Eamon Gilmore, è “determinato a fare in modo che l’Irlanda divenga la storia di successo dell’Europa.” Un influente membro del board della Banca Centrale Europea, Jörg Asmussen, dice: “il programma irlandese è una storia di successo”. La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha elogiato l’Irlanda come un esempio di come i paesi in crisi si possano riprendere.

L’unico problema è che, per la maggior parte di noi che davvero vivono qui, la storia di successo dell’Irlanda non assomiglia tanto a “Le ali della libertà” quanto a “Rocky”. Noi non siamo stati gioiosamente liberati; abbiamo solo resistito a un sacco di colpi. Stiamo ancora in piedi, ma abbiamo preso così tanti pugni che adesso è difficile vederci bene.

Sì, la situazione finalmente è migliorata, ma le prospettive rosee sono offuscate da due domande assillanti. C’era bisogno di star male per così tanto tempo? E: il duro trattamento ha effettivamente guarito i mali dell’Irlanda? In particolare, per i conservatori, l’Irlanda è la Tyra Banks delle nazioni: un paese modello. L’unico problema è che non riescono a decidersi di cosa esattamente l’Irlanda sarebbe un modello.

Per lungo tempo, quando l’ Irlanda era in piena espansione, essa era l’esempio perfetto di una minima regolamentazione del mercato e di bassa tassazione. (Con un tempismo impeccabile, nei suoi dibattiti presidenziali con il Senatore Barack Obama nel 2008, il senatore John McCain ha citato la bassa tassazione sulle imprese in Irlanda come un modello per gli Stati Uniti  — proprio mentre l’Irlanda stava sprofondando nella crisi.) Ora che l’Irlanda sta cercando di emergere timidamente dalla sua lunga recessione, viene citata come il miglior esempio delle virtù dell’austerità.

Come ha detto in ottobre il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, un falco fiscale: “l’Irlanda ha fatto quello che doveva fare. E ora va tutto bene.” L’Irlanda era una storia di successo quando festeggiava all’impazzata, ed è una storia di successo ora, che è la Grande Falciatrice dell’economia internazionale. Nell’abbuffata o nella purga, non possiamo mai sbagliare.

Noi irlandesi siamo eterni ottimisti, ma la convinzione del signor Schäuble che tutto vada bene è un raro esempio di un tedesco che ci supera in esuberanza irrazionale. È certamente vero che, se camminate nel nuovo quartiere vicino al porto di Dublino, con gli scintillanti quartieri generali europei di Google, Twitter, Facebook e Yahoo, e i loro caffé e hotel tirati a lucido, si potrebbe concludere che se la crisi irlandese è questa, un boom irlandese deve essere un qualcosa di veramente straordinario.

Il nuovo Marker Hotel all’ultima moda e il complesso residenziale, che hanno aperto i battenti nel mese di aprile e sono costati 120 milioni di euro (163 milioni di $), potrebbe essere a Los Angeles o a Dubai. Si affaccia sulla vivace architettura americana del Grand Canal Square di Martha Schwartz e sul teatro di lusso progettato da Daniel Libeskind. In un paese distrutto da una spettacolare bolla immobiliare, i prezzi delle case a Dublino hanno ricominciato di nuovo a salire, con un aumento del 13 per cento nell’ultimo anno.

Ma l’Irlanda ha due economie: una globale, dominata dalle società americane hi-tech, e una interna, grazie alla quale molti lavoratori irlandesi devono sopravvivere. La prima in effetti è in piena espansione. Proprio a causa della bassa tassazione sulle società, le grandi multinazionali trovano Dublino attraente per altri motivi che non i suoi pub e la sua vita notturna. Per capire quanto l’Irlanda dipenda  da questo tipo di investimenti per le sue esportazioni, basti pensare che il prodotto interno lordo irlandese ha pesantemente risentito nel 2013 del fatto che il Viagra (che è prodotto dalla società Pfizer nella contea di Cork) è andato fuori brevetto in Europa. Parlando in generale, tuttavia, la parte globalizzata dell’economia irlandese è rimasta robusta.

Ma è a casa che c’è il mal di cuore: l’economia interna, al di fuori della ristretta comunità delle multinazionali hi-tech. Fuori da Dublino, i prezzi degli immobili sono ancora in calo. I salari della maggior parte dei lavoratori sono drasticamente scesi. La disoccupazione rimane molto alta, al 12,8% — e questo dato sarebbe superiore se non fosse per l’emigrazione. C’è sempre un modo molto semplice per misurare quanto stia bene l’Irlanda: andare nei porti e negli aeroporti alla fine delle vacanze di Natale e contare i giovani che dicono addio ai loro genitori, mentre si dirigono negli Stati Uniti, in Canada, in Australia o in Gran Bretagna, dove vanno a cercare lavoro e opportunità.

Ci sono popoli che nei momenti brutti protestano; gli irlandesi se ne vanno. E lo hanno fatto così in tanti che è dagli anni ‘80 che non si vedeva niente del genere. Quasi 90.000 persone sono emigrate tra l’aprile del 2012 e l’aprile del 2013, e a partire dalla crisi del 2008 se ne sono andate circa 400.000  Per un paese con una popolazione pari circa a quella del Kentucky (circa 4,5 milioni di abitanti), è davvero un sacco di gente.

Non c’è nessun grande mistero sul perché se ne vanno: non credono nella storia di successo. Un importante studio dell’Università di Cork ha rilevato che la maggior parte degli emigranti sono laureati e che quasi la metà di loro ha lasciato un’occupazione a tempo pieno in Irlanda per andare all’estero. Questi non sono profughi disperati; sono giovani brillanti, che non credono più che l’Irlanda possa dar loro le opportunità che desiderano. Semplicemente non si sono bevuti la favola della trionfante ripresa.

Quando il Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea — la cosiddetta troika — si sono impadroniti della governance fiscale dell’Irlanda nel dicembre 2010, in qualche modo si sono auto-convinti che profondi tagli alla spesa pubblica e riduzioni dei salari sarebbero andati di pari passo con la crescita economica. Il F.M.I, per esempio, ci ha detto che l’economia irlandese sarebbe cresciuta del 5,25 per cento tra il 2011 e il 2013. In realtà,  è cresciuta di circa la metà.

Un po’ di buonsenso avrebbe suggerito che in un’economia in cui gli investimenti privati erano spariti (i tassi di investimento irlandesi sono ora circa la metà rispetto alla media della zona euro), ridurre anche gli investimenti pubblici avrebbe potuto causare qualche problema. Dopo cinque anni di austerità è scioccante, ma non certo sorprendente, che un bambino irlandese su quattro cresca in una famiglia in cui nessuno ha un posto di lavoro retribuito.

E nemmeno è sorprendente che l’addio della troika alla fine del 2013 e alcuni modesti segnali di ripresa economica non siano stati accolti con balli sfrenati sui tetti. Gli irlandesi erano disposti a sopportarere qualche pena; c’è ancora in giro abbastanza senso di colpa cattolico perché una storia di peccato ed espiazione possa avere un seguito psicologico notevole. La gente guarda mestamente indietro agli anni della “tigre celtica” e ammette che abbiamo meritato la fustigazione per aver pensato che saremmo potuti diventare ricchi vendendoci l’un l’altro case da milioni di dollari. Ma non sono convinti che la dimensione crudele della  punizione fosse necessaria o che in effetti la medicina cattiva abbia funzionato.

Dietro entrambe queste affermazioni si profila la grande contraddizione della storia del presunto successo dell’austerità irlandese. L’austerità è stata tale solo per i cittadini.

In parallelo a tutti i tagli della spesa pubblica e a tutti gli appelli alla responsabilità fiscale, c’è stato un programma di spesa così sontuoso da far sembrare avaro un marinaio ubriaco. Metà del programma della troika era il taglio ai salari, al welfare, alla sanità e all’istruzione. L’altra metà era insistere che l’Irlanda continuasse a iniettare grandi risorse nelle sue banche barcollanti, compresa la famigerata, e ora liquidata, Anglo Irish Bank.

La politica del “nessun obbligazionista verrà lasciato indietro”, su cui la Banca Centrale Europea ha insistito, è stata incredibilmente costosa. Per fare le dovute proporzioni, l’Unione europea ha appena accettato di creare un fondo di 75 miliardi di € per affrontare tutte le future crisi bancarie dei suoi Stati membri. La piccola Irlanda ha speso ben 85 miliardi di € per salvare le proprie banche.

È particolarmente irritante per la maggior parte degli irlandesi che ora ci sia un’ammissione, quasi casuale, che quest’idea era abbastanza folle. Olli Rehn, il Commissario agli affari economici dell’Unione Europea e uno dei principali architetti della strategia irlandese dall’inizio della crisi, ora dice: “A posteriori, penso che sia abbastanza facile individuare alcuni errori, come la garanzia di copertura  per le banche.” Questa ammissione, però, non implica alcun cambiamento di politica. “Ma ormai tutto questo è acqua passata”, ha proseguito “e ora noi abbiamo corretto la direzione del fiume”. L’Irlanda, ci ha rassicurato il signor Rehn, è in “una situazione migliore, al momento”.

Ma il corso fiume non è stato cambiato: dalla decisione catastrofica di salvare le banche a tutti i costi continua ad arrivare un torrente di debiti. La speranza che i debiti irlandesi potessero essere in parte alleggeriti dall’intervento dei partner europei, come riconoscenza per il ruolo del paese nel salvataggio dell’euro, si sta ormai spegnendo.

La piccola Irlanda ha incassato il colpo per salvare l’intera squadra. In cambio, ottiene una pacca sulla spalla e la discutibile soddisfazione di essere chiamata una “storia di successo”.

Ecco perché, alla fine, il programma di austerità non è riuscito nel suo fondamentale obiettivo di far scendere il debito sovrano dell’Irlanda, che in realtà è aumentato vertiginosamente durante gli ultimi 5 anni. Nel 2009, era al 64% del PIL. L’anno scorso, è salito al 125%. Il debito è raddoppiato mentre la spesa pubblica è stata tagliata.

In questo, l’Irlanda può essere davvero un modello: soffrire per mantenere un’immagine irreale di perfezione anoressica .

NEW YORK TIMES

tratto da: (clicca qui)

 

Una ricerca dell’Università di Roma, La Sapienza, analizza il dna di 57 popolazioni locali e scopre che la differenza di “patrimonio” tra un sardo e un abitante delle Alpi è maggiore di quella tra un ungherese e un portoghese, distanti migliaia di chilometri. E che il ceppo italico non esiste: lo Stivale è da sempre un porto di mare per le genti. Gli effetti del Risorgimento e del Paese unito non si vedono ancora nella popolazione. La nostra struttura genetica è figlia del Medioevo.. E sulla “razza padana”…

 

Venerdì, 10 gennaio 2014

Altro che Unità d’Italia. A leggere il dna degli italiani, sembra quasi che il Risorgimento non ci sia mai stato e che Garibaldi e i suoi Mille, girando per le campagne abbiamo fatto più un passeggiata che una conquista.
Per non parlare poi del fenomeno immigrazione dal sud al nord d’inizio Novecento: nelle patrimonio dei cittadini tricolore, la massa che dal Meridione si è spostata nell’operoso nord non ha lasciato tracce. L’effetto che si scopre analizzando il dna degli italiani e che la diversità che c’è tra i sardi e le popolazioni delle Alpi è maggiore di quella che c’è tra portoghesi e ungherese, praticamente ortogonali nella geografia europea. Infine, ed è la “mazzata finale” per i teorici delle razze: difficile sostenere che esista un ceppo italico: a leggere le caratteristiche della nostra evoluzione, sembriamo uno dei Paesi in cui l’effetto straniero abbia maggiormente inciso. Insomma, un porto di mare per genti di tute le razze.
A rivelare che duecento anni di unioni e figli e un governo unico del Paese non hanno modificato granché il patrimonio individuale è uno studio coordinato dall’Università di Roma La Sapienza. Un team di ricercatori della Sapienza, coordinato dall’antropologo Giovanni Destro Bisol, in collaborazione con gruppi di ricerca delle Università di Bologna, Cagliari e Pisa, ha messo in luce che le popolazioni italiane sono estremamente eterogenee da un punto di vista genetico, tanto da poter paragonare la loro diversità a quella che si osserva tra gruppi che vivono agli angoli opposti dell’Europa.
L’altra faccia del rovescio della medaglia dello studio è che almeno per quanto riguarda il patrimonio genetico siamo uno dei Paesi più ricchi d’Europa. Non aiuterà lo spread, ma almeno è un record positivo.  
Alla base di questa diversità c’è un motivo comune e cioè l’estrema estensione latitudinale dell’Italia. La varietà degli habitat che si trovano lungo la dorsale della nostra penisola favorisce la varietà di piante e animali ospitati nel nostro territorio. D’altro canto per le sue caratteristiche geografiche l’Italia sin da tempi antichissimi ha rappresentato un corridoio naturale per i flussi migratori provenienti sia dall’Europa centrale sia dal Mediterraneo: nel caso dell’uomo hanno contribuito alle diversità tra popolazioni anche le differenze culturali (in primis linguistiche), creando un ulteriore fattore di isolamento rispetto a quello geografico. In entrambi i casi, il risultato finale è la creazione di un “pattern” davvero unico in Europa.
L’accento sull’importanza degli aspetti culturali non è casuale, ma deriva da quello che i ricercatori considerano un aspetto particolarmente originale del loro studio: avere incluso nell’indagine, oltre a popolazioni ampie e rappresentative di città o di grandi aree (ad esempio L’Aquila oppure Lazio), anche gruppi di antico insediamento come le “minoranze linguistiche” (Ladini, Cimbri, e Grecanici), portatrici di aspetti culturali e sociali peculiari nel panorama italiano.
Sono proprio alcuni di questi gruppi, come nel caso delle comunità “paleogermanofone” e ladine delle Alpi oltre a gruppi della Sardegna, che contribuiscono in maniera determinante alla notevole diversità osservata in Italia. Un dato tra tutti: se si considerano ad esempio i caratteri trasmessi dalla madre ai figli di entrambi i sessi (e cioè il DNA mitocondriale), comparando la comunità germanofona di Sappada, nel Veneto settentrionale, con il suo gruppo vicinale del Cadore, o quella di Benetutti in Sardegna con la Sardegna settentrionale, l’insieme delle differenze genetiche calcolate è di 7-30 volte maggiore di quanto si osserva perfino tra coppie di popolazioni europee geograficamente 20 volte più distanti (come Portoghesi e Ungheresi oppure Spagnoli e Romeni).
“I nostri dati – spiega Giovanni Destro Bisol che ha curato la ricerca – testimoniamo come fenomeni migratori e processi di isolamento che hanno coinvolto le minoranze linguistiche, per la maggior parte insediatesi nel nostro territorio prevalentemente tra il medioevo e il diciannovesimo secolo, abbiano lasciato testimonianza non solamente nei loro aspetti culturali (alloglossia, aspetti della tradizioni e del folklore,) ma anche nella loro struttura genetica”.
“Questo studio ci lascia anche una riflessione che va aldilà della dimensione strettamente scientifica e investe l’attualità” conclude Destro Bisol “…sapere che l’Italia, indipendentemente dai flussi migratori recenti, è stata ed è tuttora terra di notevole diversità sia culturale che genetica, può aiutarci ad affrontare in maniera più serena un futuro pieno di occasioni di incontro con i portatori di nuove e diverse identità”.

tratto da: (clicca qui)

 

 

BENE BENE……..

 

lunedì 13 gennaio 2014

Presso una banca a Budapest è avvenuta una esplosione, a causa dell’incidente, che è un attentato, è stata distrutta completamente la facciata dell’edificio e rotti i vetri, comunica la polizia. Nessuno è  rimasto ferito. L’esplosione è avvenuto presso l’edificio della banca CIB, filiale del gruppo “Intesa Sanpaolo”.

I mass media ungheresi  hanno comunicato che poco prima dell’esplosione un uomo con la moto ha lasciato una busta presso la banca. Il suono dell’esplosione è stato percepito alla distanza di alcuni chilometri.

La bomba era ad alto potenziale, a giudicare dai danni, ed è il primo attentato di questo tipo ad un istituto bancario in Ungheria. La scelta non appare casuale. Da tempo, i grandi istituti di credito stranieri vengono accusati dalla stampa ungherese d’essere al centro di speculazioni che hanno danneggiato la popolazione e i risparmiatori. Specialmente, epr ciò che attiene ai mutui per l’acquisto di case.

Fonte notizia: La Voce della Russia.

tratto da: (clicca qui)

 

2014.01.13 – Partito da Cagliari il cargo che imbarca le armi chimiche

Posted by Presidenza on 13 Gennaio 2014
Posted in articoli 

SI STA PREPARANDO L’ENNESIMO ATTO DI GUERRA NEI CONFRONTI DEL POPOLO SARDO.
ATTENTA ITALIA, CI STAI COSTRINGENDO A COMBATTERE PER DIFENDERCI !!!

Sempre più probabile l’arrivo nell’isola dell’arsenale siriano, Cappellacci: è scandaloso utilizzare lo scalo del capoluogo

di Piero Mannironi

12 gennaio 2014

 

SASSARI. Apparentemente solo una curiosa coincidenza. Niente di più di un dettaglio. Eppure, se aggiunta a una lunga serie di altri indizi, questa coincidenza diventa un tassello importante nella definizione del quadro nebuloso dello smaltimento dell’arsenale chimico di Damasco. Acquista cioè un diverso peso specifico e contribuisce a cementare l’ipotesi che i veleni di Assad potrebbero fare tappa in Sardegna. E il dettaglio è questo: una delle due navi cargo che trasporteranno le armi siriane, la Ark Futura, è partita per la Siria da Cagliari.

La nave, che batte bandiera danese, è stata presa in affitto dal gruppo Grendi nel gennaio del 2012, e garantisce quattro collegamenti settimanali tra Cagliari e Vado Ligure. Appartiene alla categoria Ro/Ro cargo, cioè a quelle imbarcazioni progettate per trasportare carichi su ruote (come automobil e autocarri) oppure vagoni ferroviari. I traghetti Ro/Ro, a differenza delle navi mercantili standard che usano una gru per imbarcare o sbarcare un carico, sono infatti dotati di portelloni e di scivoli che consentono alle vetture di salire (roll on) e scendere (roll off) dall’imbarcazione quando è in porto.

Dunque, la Ark Futura è di casa nel porto canale di Cagliari e ha un’ovvia familiarità con le rotte da e per la Sardegna. Guarda caso, è proprio il cargo che deve trasportare le armi chimiche in un porto italiano. Una destinazione sulla quale il Governo continua a mantenere il segreto.

L’altra nave, la norvegese Taiko, dal porto siriano di Latakia, farà invece rotta direttamente per l’Inghilterra.

In questa complicata operazione di smaltimento dei veleni siriani la Sardegna sembra dunque destinata ad avere un ruolo di primo piano. Ne è sempre più convinto anche il governatore Ugo Cappellacci che, proprio ieri a Nuoro, è stato molto esplicito: «Sono molto preoccupato. Le notizie che noi abbiamo dicono che Cagliari è un possibile porto di destinazione delle armi chimiche per il trasbordo sulle navi americane».

Nel piano definito dall’Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) di concerto con l’Onu, gli Stati Uniti e la Russia, si stanno intanto manifestando imprevisti e incertezze sui tempi. Nessuno può infatti dire oggi quanto tempo l’arsenale di Assad dovrà restare in Italia e, quasi sicuramente in Sardegna (a Cagliari o a Santo Stefano), prima di essere caricato sulla nave americana Cape Ray, che dovrà compiere poi in acque internazionali la rischiosa operazione di inertizzazione dei veleni chimici.

Le due ipotesi più probabili sono dunque Santo Stefano, con il suo gigantesco deposito sottoroccia e Cagliari. Da qui, infatti, le armi potrebbero essere portare via terra nel vicino poligono di Teulada in attesa dell’arrivo della nave americana Cape Ray.

Altro elemento nuovo di questi giorni: non c’è più certezza sulla reale dimensione dell’arsenale siriano. In un primo momento si era parlato di 500 tonnellate di armi chimiche. Poi, si è saliti a 750. E, secondo alcune indiscrezioni che stranamente non trovano smentite, si potrebbe arrivare perfino a 1.300 tonnellate.

La speranza che si arrivi a un momento di chiarezza è legata all’arrivo a Roma il 16 gennaio del direttore generale dell’Opac, Ahmet Uzumcu. È previsto un suo incontro con il ministro degli Esteri Emma Bonino e una visita in Parlamento per spiegare, davanti alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, le operazioni di smaltimento delle armi chimiche siriane, in particolare le fasi che riguardano il trasbordo degli agenti chimici da un cargo danese o norvegese alla nave Usa Cape Ray.

tratto da: (clicca qui)