Lo Stato di Palestina a partire dal 2018 è riconosciuto da 137 su 193 stati membri delle Nazioni Unite.

 

 

 

 

La Palestina richiederà l’adesione permanente all’ONU, nonostante le minacce degli Stati Uniti di usare il veto, ha detto il consigliere di Sputnik al capo dello stato palestinese Mahmoud Al-Habbash.

In precedenza, il capo del ministero degli Esteri palestinese ha annunciato che era prevista la presentazione di una richiesta di adesione permanente all’ONU. La richiesta verrà inviata al Consiglio di sicurezza dell’organizzazione internazionale.

“Non ci è stato permesso di farlo nel 2011, quando gli Stati Uniti hanno usato la loro influenza, minacciando di usare il veto. Mi aspetto che incontreremo di nuovo queste difficoltà, ma continueremo a bussare alla porta delle Nazioni Unite”, ha detto al-Habbash.

Secondo al-Habbash, che è il consigliere di Mahmoud Abbas sulle questioni religiose, così come il giudice supremo della Palestina, l’attuale amministrazione statunitense è “la peggiore per i palestinesi dal 1942”.

“L’attuale amministrazione americana è la peggiore (per la Palestina) dalla conferenza di Baltimora nel 1942. Supporta l’occupazione più zelante, danneggia la causa palestinese, non comprende i cambiamenti nel mondo e si comporta come se il mondo fosse di sua proprietà” ha detto il consigliere palestinese.

Lo stato di Palestina a partire dal 2018 è riconosciuto da 137 su 193 stati membri delle Nazioni Unite. Quest’anno presiederà il G-77 (G-77), la più grande organizzazione interstatale dei paesi in via di sviluppo che opera all’interno dell’ONU e dei suoi organismi.

tratto da: (clicca qui)

 

L’aneddoto viene da un’ex impiegata di BlackRock: arrivato sopra l’Atlantico in viaggio in Europa, il Ceo e fondatore di BlackRock Larry Fink chiede al comandante dell’aereo di cambiare rotta e dirigersi verso la Germania. Intanto telefona a un suo uomo a Francoforte perché organizzi un incontro con Angela Merkel, entro cinque ore. Il manager cerca di fare il possibile, ma non riuscendo a trovare la cancelliera, fissa un appuntamento con il vicepresidente della Bmw. I due s’incontrano, poi mentre il tedesco sta spiegando le strategie della Casa automobilistica, Larry Fink si alza e comincia un’altra conversazione telefonica. Disinvoltura di chi sa di essere considerato tra gli uomini più influenti al mondo (Fortune, 2018).

Laurence “Larry” Fink, 65 anni, figlio di un commerciante di scarpe e di un’insegnante d’inglese, è il trader californiano che nel 1988 ha fondato la società BlackRock con una dozzina di colleghi. Oggi gli impiegati sono 13.900, in 30 Paesi. E BlackRock è diventata la più grande società d’investimento al mondo, 6.280 miliardi di dollari di capitale gestito, di cui un terzo in Europa, più del Pil di Francia e Spagna messe insieme. Attraverso il suo software per la gestione dei rischi, Aladdin, BlackRock controlla indirettamente altri 20.000 miliardi di dollari. Un potere che BlackRock esercita anche dando consigli a governi, Banche centrali, istituzioni europee. E influenzando ogni legge che viene approvata in Europa. “Le enormi dimensioni di BlackRock ne fanno un potere di mercato che nessuno Stato può più controllare”, riassume il deputato liberale tedesco (Fdp) Michael Theurer.

Il gigante misterioso

La società americana gestisce i soldi degli altri, non ha quote di controllo, ma ha diritto di voto nelle assemblee delle aziende quotate, l’anno scorso ha votato nel 91% dei casi nelle 17 mila aziende dov’è azionista.

In Europa la “roccia nera” è presente nell’energia, nei trasporti, nelle compagnie aeree, nell’agroalimentare, fino all’immobiliare. Possiede una cospicua fetta (tenuta segreta dalla Banca d’Italia e dalla società stessa) di bond del nostro debito pubblico, come testimonia il database Thomsons One (Reuters) che Investigate Europe ha consultato.

È azionista di peso nelle top 10 banche europee, primo azionista della Deutsche Bank, secondo in Intesa San Paolo, presente in Unicredit, Banca Generali, Fineco, Enel, Eni, Telecom. In Germania ha investito 100 miliardi solo in azioni, 240 nel Regno Unito, 21 da noi, ma che sommati ai bond e alle obbligazioni arrivano a 79 miliardi di patrimonio gestito in Italia. In un libro scritto tre anni fa, la giornalista tedesca Heike Buchter spiega come “da quando ti alzi la mattina, prendi i cereali con il latte, ti vesti, t’infili le scarpe, prendi l’auto e vai al lavoro, dove accenderai il computer, usando il tuo iPhone, in tutti i momenti della giornata BlackRock è presente”.

Fink viene sempre ricevuto come un capo di Stato, che vada a Roma a incontrare Matteo Renzi, per una cena privata, nel 2014 o ad Amsterdam per parlare con il premier Mark Rutte, nel 2016, o all’Eliseo: ha già incontrato due volte il presidente Emmanuel Macron. Cosa chiedono tutti questi capi di governo a BlackRock? Di continuare a investire in Europa. In cambio, assicurano di non intralciare i suoi affari con leggi e controlli a dismisura.

La finanza democratica

La grande fortuna di BlackRock viene dai fondi passivi. La crisi economica è stata un’opportunità per la roccia di Wall Street. Da un patrimonio gestito di 1.000 miliardi di dollari nel 2008 è passata a più di 6.000 miliardi nel 2018, grazie agli Etf (exchanged traded funds), oggi il 72 per cento del suo portafoglio. I fondi nell’ultimo decennio sono letteralmente esplosi, occupando ormai il 40 per cento del totale del mercato azionario nel mondo, con BlackRock leader mondiale del settore.

La ragione principale del loro boom è che costano poco: 0,2 per cento del valore investito, un decimo dei costi di un fondo attivo. Un fondo attivo è gestito da manager, un Etf va in automatico, copia come un clone il valore di un indice di Borsa. Se le azioni dell’indice vanno su, sale anche il valore dei fondi BlackRock, se l’indice perde valore, scendono anche i fondi passivi. Barbara Novick, vicepresidente di BlackRock, ha spiegato questo successo parlando di “democratizzazione” della finanza: ormai tutti possono investire anche piccole somme. Ma più aumenta il volume dei fondi passivi, più il mercato si concentra in poche società. All’Università di Amsterdam un gruppo di ricercatori legati alla piattaforma Corpnet ha studiato il comportamento di BlackRock, Vanguard e State Street, i tre colossi dei fondi passivi. “Per ora sono giganti che dormono”, dice il professor Eelke Heemskerk. Ma si stanno svegliando.

I pompieri della crisi

Il 18 marzo 2008 quando Timothy Geithner, capo alla Federal Reserve di New York (poi diventato ministro delle Finanze con Barack Obama), chiama Larry Fink perché lo aiuti a ripulire le spazzature della banca d’investimento Bear Stearns, appena salvata dal governo Usa. Fink ha già sviluppato il software Aladdin, che analizza in pochi secondi la composizione e i rischi di larghi portafogli. È l’uomo giusto per spegnere i fuochi della crisi. Dopo la Bear Stearns, BlackRock sarà chiamata a isolare i prodotti tossici di Citibank, Aig, Fannie Mae e Freddie Mac. Diventa il braccio operativo del governo americano per la gestione della crisi.

A fine 2010, la Banca centrale dell’Irlanda chiama – senza bando di gara – BlackRock Solutions, filiale del gigante americano specializzata nella parte consulenza, per studiare lo stato di salute delle banche irlandesi. Dublino ha appena chiesto ai Paesi europei e al fondo monetario internazionale un prestito da 50 miliardi di euro per evitare il fallimento. La Troika (Fmi, Commissione Ue e Banca centrale europea) arriva a Dublino ed esige dal governo locale di fare ricorso a un audit esterno. La scelta cade su BlackRock, anche se già controlla 162 miliardi di euro di azioni nell’isola celtica. “Una missione gigantesca” dirà Larry Fink a proposito dell’Irlanda, “la più grande che ci sia mai stata affidata da un governo”. BlackRock viene poi chiamata ancora nel 2011 e nel 2012 per effettuare stress test sulle banche irlandesi. E a fine 2012 si compra il 3 per cento di Bank of Ireland, proprio una delle banche su cui aveva fatto gli stress test nel 2011.

In Grecia la “roccia nera” ha cominciato in modo più prudente. Sotto il nome di “Solar”, BlackRock Solutions affitta uffici modesti ad Atene e, assunta dalla Banca centrale, entra nei caveau di 18 banche elleniche. Siamo nel 2011. Negli anni successivi BlackRock viene ancora chiamata per studiare il volume del “buco” delle maggiori banche greche, effettuare stress test sui principali istituti. Sei contratti in tutto, l’ultimo per fornire assistenza tecnica allo smaltimento dei crediti deteriorati. Oggi ad Atene si parla molto della “roccia nera” per il centro commerciale che sta costruendo per 300 milioni di euro, nel cuore della Capitale, ai piedi dell’Acropoli e perché è la prima azionista di una miniera d’oro, nel nord del Paese, invisa dalla popolazione locale per la presunta pericolosità per l’ambiente. Ma la società di Larry Fink è anche azionista di peso delle più grosse banche e della lotteria nazionale, da poco privatizzata. Conflitti d’interessi, accesso privilegiato a informazioni riservate che possono essere utili a chi investe milioni di euro in un Paese? L’ex capo economista di Alpha Bank, Michael Massourakis, ricorda come “nel pomeriggio andavamo da BlackRock per vendere le nostre azioni e lo stesso giorno degli impiegati di BlackRock venivano da noi a controllare i libri contabili. Poi la sera uomini di BlackRock si incontravano per un drink? Non lo so”.

“Niente indica che gli impiegati di BlackRock venuti ad Atene abbiano trasmesso informazioni riservate alle équipe di BlackRock interessate agli investimenti dei fondi – assicura un trader greco – BlackRock non avrebbe mai rischiato di distruggere la propria reputazione per così poco”. Ma il problema si pone a un livello più alto, dice la fonte greca: “Salendo nella gerarchia di un’azienda si arriva a un punto in cui si hanno a disposizione tutte le informazioni della società, il lato investimento e quello della consulenza”. Il 12 dicembre 2013 Larry Fink ha incontrato il governatore della Banca di Grecia, George Provopoulos. Di che hanno parlato i due uomini, degli investimenti di BlackRock nella penisola ellenica, del degrado dei crediti nelle banche greche o di tutt’e due?

In Spagna BlackRock è riuscita a entrare nel mercato immobiliare – oggi controlla quattro grosse società di real estate – e a diventare azionista rilevante delle sei più grosse banche spagnole. Anche se le sue attività di consulenza sono state fermate nel 2012 da una campagna di stampa virulenta a opera di banchieri anonimi che trovavano “non ragionevole” affidare alla società americana di stabilire i prezzi degli asset immobiliari delle banche, i cui portafogli erano già stati studiati dalla roccia nera in un precedente contratto con la Banca centrale spagnola. BlackRock – dicevano i banchieri – era in una posizione privilegiata come acquirente futuro. L’allora ministro delle Finanze spagnolo, Luis de Guindos – oggi indicato come vicepresidente della Bce – dovette abbandonare l’idea di affidare a BlackRock lo studio sugli investimenti immobiliari delle banche spagnole.

In Olanda la Banca centrale ha chiamato due volte BlackRock, fino al 2013, per lo studio degli asset immobiliari e per i crediti deteriorati delle banche olandesi – come la ING – dove la roccia è azionista. Anche la Banca centrale europea ha fatto ricorso due volte a BlackRock per attività di consulenza. Nel 2014 l’istituzione guidata da Mario Draghi chiama BlackRock Solutions per disegnare un programma di acquisto di titoli garantiti (Abs) e nel 2016 per preparare gli stress test di 39 banche sistemiche europee, banche di cui spesso BlackRock è azionista rilevante. Da Francoforte la Bce ha smentito qualunque rischio di conflitti d’interessi, garantendo che “la confidenzialità delle informazioni è assicurata dai termini del contratto”. Ma la Banca centrale greca ha rivelato a Investigate Europe che qualche dubbio lo ha avuto: “Nel 2015 abbiamo escluso BlackRock dalla preparazione degli stress test sulle banche per un rischio di conflitto d’interessi”.

Le muraglie cinesi

La roccia nera si è sempre difesa con vigore dalle accuse di conflitto d’interessi: “Le nostre squadre sono chiaramente separate – ha spiegato Larry Fink a un quotidiano tedesco nel 2016 – ci sono grandi barriere per assicurare che l’informazione non venga dispersa e non ci sia conflitto d’interessi” Ma, ammesso che le muraglie cinesi davvero funzionino, queste non esistono più al livello gerarchico più alto di una società. Martin Hellwig, ex direttore della Commissione tedesca per i Monopoli, dice: “Un’azienda privata riceve una missione pubblica, questo è profondamente sbagliato”. Hans-Peter Burghoff, dell’Università di Hohenheim (Stoccarda) aggiunge: “L’accesso esclusivo alle autorità di sorveglianza europee dà inevitabilmente un enorme vantaggio strategico a BlackRock rispetto a tutti i suoi concorrenti”.

 

I politici sulla roccia

Ma chi controlla il controllore? Questa non sembra una preoccupazione dei politici europei. Che anzi si fanno assumere da BlackRock. George Osborne, ministro delle Finanze britannico dal 2010 al 2016, ha un contratto di consulente con la roccia nera. Guadagna 740.000 euro l’anno per lavorare un giorno a settimana. Quando era ministro aveva incontrato a più riprese i rappresentanti di BlackRock, mentre portava avanti la riforma delle pensioni e liberava un mercato dei fondi pensione da 25 miliardi di sterline. In Germania la roccia ha pescato Frederic Merz, ex capo della Cdu al Parlamento tedesco; in Svizzera è l’ex governatore della banca centrale Philippe Hildebrand ad aver seguito le sirene di Larry Fink. E in Francia, l’attuale presidente di BlackRock, Jean-François Cirelli, è anche consulente del presidente francese Emmanuel Macron. Daniela Gabor, dell’Università del West England di Bristol, conosce bene la roccia nera per aver seguito la legislazione finanziaria a Bruxelles e sintetizza: “BlackRock non è solo una storia di fondi passivi. È la storia di un potere politico”.

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Saluto tutte le delegazioni presenti e ringrazio Stato Veneto per avermi invitato come rappresentante del mio partito e dell’independentismo catalano.

Il mio discorso sarà di denuncia sull’atteggiamento dei politici catalani e spero serva a capire perché la Catalogna, anche avendo un supporto popolare enorme, continua in mano agli occupanti spagnoli.
Ma incomincerò per ragionamenti più generici che possono interessare a tutti.

Ci siamo radunati qui perché abbiamo un problema.
Ognuno di noi ha una situazione storica diversa, ma uno stesso problema: la manca di un propio Stato che difenda i suoi interessi nazionali che comprendono la gestione delle risorse, del sistema politico e la difesa della cultura e della propria lingua.

Sembra si tratti di un problema nuovo ma è tanto antico quanto la storia della civiltà.
Può sembrare che si tratti di una questione delle società di tempi recenti, il vero è che il sentimento d’appartenenza a un ente culturale e/o etnico è più antico che lo stesso concetto di democrazia e si sorregge sul desiderio umano di libertà.

La libertà non è soltanto un concetto personale, è un concetto collettivo.
Un uomo non può essere libero se il suo popolo non è libero!

Recentemente, perchè circa 70 anni è di recente rispetto alla storia della civiltà, il più importante organismo politico mondiale, appena creato: l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ha riconosciuto il diritto d’autodeterminazione, per cui adesso parliamo di un diritto internazionalmente riconosciuto, il diritto di ogni popolo e nazione alla propria libertà.

In quel momento di dopo guerra, questo diritto si è sviluppato per risolvere il colonialismo, principalmente dei popoli africani e dell’Asia, ma adesso altri popoli e nazioni reclamiamo le libertà che ci sono state rubate in modo quasi sempre violento e ci assiste lo stesso diritto.

Tutto quanto risulta magari scomodo per l’organizzazione mondiale, che non aveva pensato in questa deriva, ma bisogna ricordargli i suoi principi fondazionali, cioè la salvezza della pace al mondo e il rispetto ai diritti dell’uomo, nei quali è incluso il diritto d’autodeterminazione, per cui la salvezza di tutto quanto è la parte più importante del motivo fondazionale di questo organismo e il suo compito e obbligo.
Perciò, a noi indipendentisti ci assiste il più alto e primo diritto: il diritto alla libertà!

Molti degli Stati che si oppongono alla nostra liberazione dicono farlo in nome al proprio sistema democratico, ma è pura demagogia, sono in contraddizione.

L’opposizione ai nostri progetti e intenzioni deve essere chiamato per il vero nome, per cui bisogna parlare d’imposizione, autoritarismo, totalitarismo e potremmo arrivare a chiamarlo xenofobia, razzismo e genocidio, visto che in tanti casi, si pretende far sparire le nostre culture, lingue e popoli, sia in modo non percettibile quanto in modo assolutamente dichiarato e violento.

Lo dimostrano tanti prigionieri politici, esiliati o direttamente uccisi e assassinati perchè lottavano per la libertà della loro patria, e non sto riferendo a fatti lontani nel tempo, ma di oggi stesso.

Se il mondo vuol continuare il progresso verso i più nobili obbiettivi, deve diventare un mondo di pace e libertà, e non c’è altra strada che il riconoscimento delle libertà nazionali di tutti i popoli che abitano il pianeta.

Gli Stati Nazione, li possiamo anche chiamare Stati Prigione, perchè agiscono in modo contrario all’esposto, per cui bisogna continuare a denunciare le sue posizioni di dominio sulle nostre nazioni.
Si tratta di Stati imperialisti, e l’imperialismo è una malattia che il nostro mondo subisce da secoli, ma bisogna continuare ad andare avanti con la guarigione.

Le colonie create artificialmente si sono già liberate, adesso è arrivato il turno delle nazioni occupate, alcune di storia millenaria e con Stati avanzati al suo tempo con antichità e sistema politico paragonabili, come nel caso del Principato di Catalogna e della Serenissima Repubblica Veneta.

Tempo fa, essere un impero era ritenuto una cosa normale e anche di grande prestigio, ma oggi giorno nessun Stato vuol riconoscersi come impero o imperialista.
Però, gli imperi continuano ad esistere e non si trovano tanto lontano da dove siamo, noi stessi siamo vittime dell’imperialismo.

In Europa la più parte son rimasti a occidente del continente perchè, dopo la caduta dell’impero Austro-Ungarico e posteriormente dell’Unione Sovietica, le nazioni originarie dell’Europa orientale hanno potuto recuperare le proprie libertà nazionali.
Il corrente contínua, e recentemente abbiamo assistito al crollo, purtroppo traumatico, di un altro Stato Nazione: la Iugoslavia.

Evidentemente, e qui ce ne sono rappresentati, il problema esiste nel mondo intero, gli amacig nell’Africa del nord o i Kurdi nel medio oriente, e possiamo andare fino in Asia per vedere che quelli che si sono schierati come antiimperialisti per eccellenza, si comportano come gli imperialisti di sempre, come nel caso del Tibet. 

Si tratta della solita avarizia tanto umana quanto malevola e per un mondo pìù giusto bisogna combattere le forze del male che accumulano il potere e la forza.

C’è però una forza nell’uomo più forte del male ed è quella che ha fatto che la civiltà vada avanti: è la voglia di libertà, personale, sociale e nazionale, e qui ci siam trovati per combattere per questa libertà, la libertà dei popoli!

Dicevo che abbiamo un problema… si, ma il problema lo dobbiamo rimandare a quelli che l’hanno creato anche se tempo fa, e ne sono responsabili dal momento che ne mantengono la vigenza.
Dal momento che ci siamo trovati qui gli stiamo già rimandando il problema. 

Come facciamo per arrivare alla liberazione?
Ogni caso è diverso e una singola soluzione non serve a tutti ma bisogna capire e insistere sui concetti per vedere di non cadere in certi errori e contraddizioni.

Se il diritto alla libertà ci assiste, non è accettabile passare il filtro del sistema suppostamente democratico che ci impone il nostro carceriere perché significa accettare che imponga le regole.
Soprattutto nel caso dove non c’è volontà di arrivare ad accordi democratici, che purtroppo è nella più parte dei casi.

La libertà è un concetto che va in testa al concetto di democrazia e non è accettabile pretendere che la democrazia possa essere impedimento alla libertà, per cui questa contraddizione basta per evidenziare la falsità di tale democrazia.

Noi non rinunciamo alla democrazia, anzi, vogliamo che sia applicata nel modo più largo e grande. Allora, la democrazia no può essere usata per impedire la libertà. 
Qualsiasi Stato dichiarato democratico, se non rispetta il diritto d’autodeterminazione, si trova in flagrante contraddizione.
Infatti, tutti gli Stati riuniti attorno all’ONU dicono riconoscere questo diritto, ma di fronte al problema, cercano mille scuse per provare di dimostrare che non lo stanno contravvenendo, o fanno in modo a nasconderlo per non parlare del tema.

Ci sono due casistiche sul diritto d’autodeterminazione: i casi coloniali e le nazioni occupate da potenze straniere.

I casi coloniali si sono risolti con referendum d’autodeterminazione, normalmente promosso dalle metropoli stesse, dopo la II guerra mondiale.
È una via da seguire per le nazioni e popoli colonizzati se c’è accordo tra le due parti.
Ma se non c’è, è assolutamente valida la dichiarazione unilaterale d’indipendenza (la DUI) fatta dai rappresentanti del popolo.

Questo è stato riconosciuto recentemente nel caso del Kosovo, quando il Tribunale Internazionale di giustizia dell’ONU ha dichiarato la validità della DUI fatta dal Governo provvisorio, con l’argomento che le dichiarazioni d’indipendenza non sono contrarie al diritto internazionale.

Il tribunale dell’Haya ha ragionato:
“Dichiariamo che non esiste nel diritto internazionale nessuna normativa che divieti le dichiarazioni unilaterali d’indipendenza.
Dichiariamo che quando esista contraddizione tra la legalità costituzionale di uno Stato e la volontà democratica, prevale la seconda e dichiariamo che in una società democratica, al contrario che in una dittatura, non è la legge che determina la volontà dei cittadini, ma è la volontà di questi che crea e modifica la legalità”. 
Seguendo questo ragionamento si arriva alla conclusione che lo Stato spagnolo è una dittatura. 

L’ONU riconosce l’integrità territoriale degli Stati, ma in riferimento all’agressione di un altro Stato.
Il Kosove non era stato anteriormente uno Stato indipendente, ma una provincia della Serbia, anche considerato storicamente la culla di questa nazione.
Allora questo caso serve di precedente ai popoli in una situazione simile.

Però, e per quanto riguarda il Veneto e la Catalogna (e altri) il caso è ancora più chiaro, basta riferire all’altro concetto contemplato e protetto dall’ONU: l’inviolabilità dell’integrità territoriale degli Stati e, tanto il Veneto quanto la Catalogna sono stati Stati durante secoli e anche tanti secoli prima dell’esistenza degli Stati che ci hanno preso la libertà violentando la nostra integrità territoriale.

Questi Stati Prigione sono in assoluta contraddizione juridica per cui sono invalidi di diritto.
Ma come facciamo a rovesciarli?
Nell’attuale Europa sono i più grandi Stati quelli che si trovano in questa situazione di contraddizione e per l’uso della forza mantengono il suo dominio su di noi e sui nostri confini.

Allora bisogna denunciare questa invalidità e far sapere ai nostri compatrioti qual’è la situazione.
Gli altri cittadini europei, una gran parte dei quali non sono cittadini di Stati Nazione ma di Nazioni con Stato, devono capire qual’è la situazione reale e la giustizia delle nostre posizioni.

Il mondo è grande e allacciato, bisogna trovare le complicità e gli alleati per avere la forza necessaria per vincere.
La forza del popolo, consapevole della situazione e avido di libertà è la base di questa lotta, ma senza i dirigenti all’altezza che ci vuole non c’è niente da fare.

Si è dimostrato da quel che è successo recentemente in Catalogna.
I politici autonomisti, si sono dichiarati indipendentisti dal momento che hanno visto più d’un milione di persone scendendo la strada a Barcellona al grido d’ indipendenza l’11 settembre del 2012, giorno della festa nazionale catalana.

In quel momento, il Presidente Mas stava cercando di accordare un miglioramento del sistema di finanziamento autonomico, ma il popolo era andato oltre alle sue intenzioni, dopo che lo Stato avesse amputato via Tribunale Costituzionale il nuovo Statuto d’autonomia già votato in referendum dopo un lunghissimo dibattito.
I politici vogliono sempre avere il popolo dietro di loro per farlo passare dove gli conviene e, visto quel che succedeva, Mas ha incominciato a parlare del “diritto a decidere”, invece di usare il temine di indipendenza, per vedere di gestire la valanga indipendentista che si era formata e portarla a posizioni più moderate.

Ha convocato alle urne per eleggere un nuovo Parlamento che fosse legittimato per proporre una “consultazione” non vincolante, concertata con lo Stato, e fare i conti del supporto all’indipendenza.
Le forze adesso chiamate independentiste hanno vinto.
Nessuna novità in questo campo, perchè i partiti chiamati catalanisti o nazionalisti, in versione autonomista, sono stati i vincitori di tutti i comizi dagli anni 80 in qua.

La famosa “consultazione” però, dopo molti dubbi, è stata convocata per due anni dopo, cioè per il 9 novembre del 2014.

Mas, finalmente, in vista che lo Stato non ne voleva sapere di permettere nessun referendum, anche fosse in formula di consultazione non vincolante, ha deciso far marcia indietro e ha lasciato in mano al popolo, organizzato nell’ANC (Assemblea Nazionale Catalana) l’organizzazione dell’adesso denominato: “processo consultivo”.

I voti hanno dato più dell’80% al Si all’indipendenza, ma Mas non ha considerato abbastanza valido il risultato, con il pretesto che i contrari all’indipendenza non erano andati a votare e la partecipazione era restata troppo bassa; ma signori, chi non vuole votare non è obbligato a farlo e questo non può invalidare il risultato.
Inoltre, in un referèndum d’autodeterminazione sono solo chiamati al voto i naturali del paese, mentre in questo caso era aperto a tutti i censiti.
Poco dopo, il Brexit ha vinto con una partecipazione simile e un risultato molto stretto, e nessuno l’ha messo in questione.
Dunque, Mas ha chiamato di nuovo alle urne per eleggere un nuovo Parlamento autonomico con il compromesso che i comizi fossero ritenuti un plebiscito per il Si o per il No, dopo di cui si dichiarerebbe l’indipendenza nei seguenti 18 mesi.

Gli indipendentisti (JpS, ERC e CUP) hanno avuto la maggioranza assoluta in seggi e, per quanto riguarda i voti del plebiscito, 55% favorevole (con una partecipazione superiore all’80%).
Però, la stessa notte elettorale, è apparso il capo lista delle CUP (sinistra radicale indipendentista) dicendo che non bastava perchè non si era arrivati a superare il 50% dei voti emessi.
Il resto di forze politiche sono restate zitte, dando cosí l’ok al discorso della CUP.

Ma vediamo, non si trattava di un plebiscito?
In un plebiscito i voti in bianco non contano, e tra le candidature votate ce n’erano parecchie che non si erano manifestate ne per il Si ne per il No, dunque non erano da aggiungere al NO perchè in un referendum sarebbero stato l’equivalente al voto bianco.
La CUP ha chiesto la testa di Mas, perchè era il capo della “destra borghese”.
Cosí i suoi votanti si sono intrattenuti in questo fatto e non ci sono state domande su come si erano fatti i conti.
Essendo i suoi voti necessari per eleggere il Presidente hanno fatto impossibile la sua rielezione, per cui Mas ha proposto Puigdemont al posto suo per evitare la ripetizione dei comizi.

L’anno seguente, e siamo già al 2015, le stesse CUP, dimenticato il compromesso dell’indipendenza in 18 mesi, hanno proposto un referendum d’autodeterminazione che si è aggiornato fino al 2017 dopo il quale si dichiarebbe l’indipendenza in 48 hore se vinceva il Si.

Arriviamo cosí all’1 ottobre dell’anno scorso e, come ha visto il mondo intero, i catalani sono andati a votare sfidando la polizia spagnola, anche la propia polizia catalana, che hanno ricevuto l’ordine di impedire votare.

Il popolo si è comportato con un coraggio anche sorpresivo, per difendere i seggi e il diritto al voto.
Bisogna sapere che le urne sono arrivate ai seggi di nascosto e la polizia dopo mesi di indagini e ricerca è solo riuscita a scoprirne una e per caso.

Il giorno del referendum circa 700 urne sono state sequestrate dalla polizia entrando nei seggi elettorali e portandole via con i voti dentro.
Circa 1.000 elettori sono stati feriti dalle forze dell’ordine, o meglio le chiamiamo del disordine, mentre facevano resistenza pacifica.

Comunque, il Si ha vinto superando il 90% e la partecipazione si è stimata superiore al 50%
Si aspettava dunque la DUI nelle 48 hore seguenti.

Me stesso, avevo dichiarato nella concentrazione del precedente 11 settembre, fatta per seconda volta a parte di quella ufficiale dell’ANC (prossima ai ragionamenti del Governo) che se non fosse stata fatta la DUI nel detto termine, la gente della UPDIC saremmo andati in piazza del Governo a reclamarla, e il 4 ottobre abbiamo compiuto il promesso.
Puigdemont ha continuato a allungare i tempi, con il pretesto che erano ancora da contare i voti provenienti dall’estero, come se questi potessero cambiare il risultato di una percentuale del 90%.

Finalmente, il 10 ottobre e davanti ai media di più di mezzo mondo ha fatto un passo avanti e due indietro e ha rimandato la DUI a supposte negoziazioni con lo Stato.
Il 27 ottobre si è riunito il Parlamento e la signora Presidente Forcadell ha letto una dichiarazione d’indipendenza ma, senza che fosse capito dalla gente e con la complicità dei partiti, al posto della dichiarazione, ha messo al voto una istanza che chiedeva al Governo di applicare i risultati dell’1 ottobre.
In seguito, si son fatta la foto nelle scale del Parlamento, hanno accettato la destituzione proveniente dallo Stato, che ha sospeso in modo immediato l’autonomia applicando l’articolo 155 della Costituzione spagnola, e se ne sono andati a casa.

Neanche la più minima resistenza, hanno lasciato il popolo in mezzo alla strada, senza saper cosa fare, ne cosa era accaduto.
Molti eravamo in piazza del Governo a chiedere fosse ritirata la bandiera spagnola dal palazzo, ma questa non si è mossa e non si è visto nessuno.
L’indomani, Puigdemont è apparso in TV con un discorso poco chiaro e in differita.
Infatti, era già fuggito all’estero nascosto nella valigia di una macchina.

Qualche giorno dopo, gli altri ministri del Governo, con Junqueras (il Presidente di ERC), si sono presentati davanti ai judici spagnoli a Madrid e sono stati incarcerati.
Magari hanno pensato che sarebbe stato per pochi giorni, intanto si chiariva che non avevano incompiuto nessuna legge, ma pochi giorni dopo anche la Presidenta del Parlamento e stata messa in prigione preventiva.
Come sapete, ci sono ancora.

Oggi siamo ad un anno di distanza del 27 ottobre, il giorno in cui i rappresentanti eletti del popolo catalano si sono arresi senza neanche provare di combattere l’occupante.
Una gionata che passerà ai libri di storia della Catalogna con disonore per quanto riguarda i suoi rappresentanti, mentre quella dell’1 ottobre farà onore al popolo che ha difeso i seggi e le urne davanti alle forze poliziali.

Anche se per il momento una gran parte dei catalani e del mondo in generale, non si è ancora accorta della dimensione dell’inganno, la storia sempre finisce per piazzare ognuno al suo posto.

Adesso questi politici sono in prigione o fuggiti all’estero, si dichiarano innocenti e reclamano democrazia e giustizia allo Stato occupante.
Ancora una volta dimostrano la propia codardia e incompetenza.
Non hanno capito nulla, o sono dei bugiardi, o sono degli incapaci.

È vero che sono in prigione ingiustamente perché non hanno fatto niente contro lo Stato, ma propio per questo hanno tradito le libertá nazionali della Catalogna e il popolo catalano, che si è fatto bastonare per niente, e hanno rovinato le possibilità di raggiungere l’indipendenza, almeno a corto termine. 
Ingannare il popolo è sempre tanto grave, ma quando si tratta delle libertà nazionali dobbiamo parlare di alto tradimento.

Adesso, gli attuali rappresentanti, che continuano a farsi chiamare independentisti, anche se preferiscono il meno compromesso di “sovranisti”, sono diventati più docili che mai.
Si sono presentati alle elezioni convocate irregolarmente dallo Stato il 21 dicembre e si contentano di recuperare i pezzi del sistema autonomico mentre, con il controllo dei mass media, continuando ad ingannare il popolo con le lacrime di prigionieri e esiliati, reclamando democrazia e appendendo nastri gialli.

Siccome vedono che una gran parte della gente non si è accorta dell’inganno della DUI “fake” del 27 ottobre e pensano di essere una repubblica “quasi dichiarata” vendono la parola d’ordine “fare repubblica” che serve a far finta di avvanzare verso l’indipendenza mentre si cerca di ricomporre l’autonomia.
Per il momento ci riescono, ma incomincia a venir fuori chi si fa certe domande su cosa è successo dal 2012 in qua e soprattutto l’ottobre di un anno fa.

Tutto è una grande confusione provocata dal fatto che questi politici autonomisti travestiti non hanno mai parlato chiaramente ne ai catalani ne al resto dei paesi del dintorno e più in la.
Per esempio, mai hanno voluto saperne dei veneti o di altre nazioni in simile processo.
Al contrario, trattano dispettivamente veneti e flaminghi, mentre ignorano gli altri.
Loro sono i buoni e bravi democratici, gli altri sono dilettanti, xenofobi e in genere gente di estrema destra.
Praticano una superiorità morale e un vittimismo dietro i quali nascondono le sue codardie e menzogne.
Il loro solo scopo è stato sempre quello di assicurare i propi privilegi, essendo ben pagati dallo Stato occupante e dai favori ottenuti attraverso la politica.

Mai parlano d’occupazione, solo di residuo fiscale.
Sempre provando di democratizzare lo Stato occupante per trovare il modo di accomodarsi nel sistema.

La Spagna però, non è mai stata interessata alla democrazia, soltanto un po’ di trucco per continuare a comportarsi come l’Impero, adesso chiamato Stato Nazione perchè l’imperialismo non è più accettabile, ma l’essenza autoritària di estrema prepotenza e corrozione cronica è sempre là ed ha un lungo rodaggio di secoli.

Ci sarà chi dopo questo discorso penserà che stò a criticare di più i miei che gli altri ed ha ragione.
Ma gli altri li ho definiti in due righe prima e più concretamente adesso, i colpevoli che siamo allo stesso punto sono i nostri rappresentanti, perchè gli spagnoli hanno fatto quel che si aspettava di loro e ancor di più.
Sono gente violenta abituata a imporre la sua forza e che non negozia mai, vince o perde, e anche se del solito perde… continua come al solito.

I nostri rappresentanti sono gente mentalmente debole e mediocre, sono autonomisti e non sanno che l’indipendenza non si negozia, si dichiara e si difende!

Dal mio punto di vista, e del partito che rappresento, il discorso independentista deve essere: recuperiamo il nostro Stato, recuperiamo l’indipendenza del Principato di Catalogna, cacciamo fuori l’occupante, col nemico si negozia dopo vincerlo.

Quiedo scusa, perchè forse a questo punto sono arrivato a discorsi che piuttosto possono interessare di più il popolo catalano che i presenti qui riuniti.

Ma, cosa voglio dimostrare con questo riassunto dell’accaduto in Catalogna?
Primo, una dichiarazione d’indipendenza non si fà annunciando il giorno e l’hora.
Secondo, per fare una DUI non ci vuole un referendum d’autodeterminazione, ci vuole determinazione!

I referendum si fanno quando c’è accordo tra le parti, per cui tutti questi anni sono stato tempo sprecato che ha permesso al nemico di organizzarsi.
Se non c’è accordo resta solo la DUI ancora più legittima per la mancanza di accordo.

Le dichiarazioni sono importanti, ma sono parole, bisogna agire, e in questo caso l’azzione passa per prendere il controllo del territorio, cioè prendere il controllo delle strutture dello Stato sul territorio, per fare effettivo che da questo momento lo Stato non è più l’occupante ma quello legittimo sovrano del territorio liberato. 

Ci sarà chi pensi che per farlo bisogna avere un esercito… o gente in armi.
Non è cosí, gente organizzata e decisa può prendere di sorpresa l’occupante.
Al momento della DUI ci sarà altra gente pronta a uscire in strada in forma massiva, che dimostrerà la maggioranza sociale dell’atto e aiuterà a bloccare i rappresentanti dell’occupante e anche le vie di confine, evidentemente in modo pacifico.

Quando si parla di questa strategia, da noi viene fuori subito chi dice che la Spagna ci manderà il suo esercito…
Non penso sia possibile, la Spagna appartiene all’UE, alla NATO e all’ONU per cui tenagliata dai compromessi presi con queste organizzazioni che non contemplano questa possibilità.

Una aggressione militare, sarebbe un atto di guerra, perchè una volta dichiarata l’indipendenza si tratta di due Stati, e non sarebbe accettato dalla più parte di nazioni del mondo.
Finirà in poche ore o l’agressore diventerà uno Stato isolato dalla comunità internazionale.
In ogni caso, il popolo che non è disposto a rischiare niente ha l’unica possibilità di restare eschiavo.

Sia nel primo supposito, o nell’altro, il conflitto diviene totale, ed è in questo momento che la comunità internazionale si muove, si posiziona e incomincia a riconoscere lo Stato appena dichiarato.
Finalmente la politica internazionale funziona coi fatti consumati, e una volta si producono, l’appoggio o il rifiuto verrà dagli interessi geostrategici, commerciali o empatici ed è in questo momento che i contatti che si siano fatti previamente si fanno visibili e effettivi.

Spero che quanto ho spiegato serva ai rappresentanti qui presenti delle altre nazioni occupate da potenze straniere.
Visto che oggi giorno tanti guardano verso la Catalogna pensando sia il modello a seguire, resti chiaro che si sono fatti tanti errori, soprattutto da parte degli eletti ed è evidente, perchè se non fosse stato cosí saremmo già diventati uno Stato indipendente anche molto prima di questo 2017.

Penso che l’iniziativa di Stato Veneto di radunarci qui a Verona può e deve essere un passo nella direzione giusta e ci sia un prima e dopo di questo ottobre del 2018.

Bisogna mettere il mondo in faccia alle propie contradizioni reclamando gli accordi internazionali nel tema dell’autodeterminazione dei popoli come stabiliti dall’ONU stessa, in tanto che primo organismo internazionale mondiale.

Bisogna creare l’internazionale independentista dove si radunino le organizzazioni di tutte le nazioni e popoli oppressi del mondo, e purtroppo e per sfortuna non siamo in pochi.

Bisogna far evidente e generale la nostra causa e appoggiarci gli uni agli altri per raggiungere gli obbiettivi di liberazione nazionale, perchè nessun altro risolverà il problema al posto nostro.

Bisogna che le nazioni recentemente liberate sorreggano la lotta di quelle che non siamo ancora riuscite, ma non ne possiamo aspettare niente se non dimostriamo di essere decisi.

Bisogna far capire alle nazioni con Stato che si devono compromettere con un mondo di nazioni libere, perchè gli risulterà positivo far avanzare la libertà al mondo.

Il mondo non sarà il pianeta di pace e dignità che tutti desideriamo se tutte le nazioni e popoli che lo compongono non sono liberi.

L’uomo non è libero se il suo popolo non è libero!

Il mondo non sarà libero se i suoi popoli non sono liberi!

Jordi Fornas
Presidente UPDIC

Catalogna, ottobre del 2018

 

Paolo Maleddu:

Oggi, spinto anche dall’ennesima delusione provata nel sentire le parole di Conte al Forum Ambrosetti di Cernobbio (vedi il mio post dell’11 settembre), ho depositato presso la Procura della Repubblica di Oristano un esposto con una descrizione sintetica delle incredibili conseguenze e della sofferenza causata nella Società Civile dalla fraudolenta emissione monetaria a debito da parte di un Sistema Bancario privato che si spaccia per proprietario del valore della moneta senza averne titolo.

Sarebbe bene che questo esposto non rimanga l’unico depositato. Se anche solo qualche decina, o centinaia, o migliaia di persone in tutta Italia decidessero di presentarlo, qualche magistrato più sensibile potrebbe prenderlo in considerazione e non archiviarlo.

Le cose si muovono se noi, il popolo, decidiamo di attivarci.

Invito pertanto tutti coloro che avranno modo di leggerlo, a darmi una mano a diffonderlo quanto più possibile; quindi, di depositarlo voi stessi alla Procura più vicina, possibilmente migliorandolo e cambiando naturalmente i dati personali, per dare avvio ad una ribellione pacifica, silenziosa, senza tanto clamore ma sicuramente molto efficace.

Verità e amore per il prossimo sono destinati a trionfare. E’ una legge universale, la forza/vibrazione che vivifica ogni cosa. Siamo destinati a vincere.

Farò anche un breve video e vi chiederò ugualmente di aiutarmi a diffonderlo.

 

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(ASI) Corsica – La Corsica può rendersi legittimamente indipendente dalla Francia secondo il diritto internazionale? Sembrerebbe di sì, almeno secondo una interpretazione data dai nazionalisti corsi al Trattato di Versailles del 1768 di cessione dell’isola alla Francia da parte della Serenisisma Repubblica di Genova che non sarebbe mai stato registrato all’Onu, come anche quello del 24 marzo 1860 del passaggio di Nizza e della Savoia alla Francia.

 La questione impazza sui social. A tal proposito, si legge che secondo l’interpretazione data al concetto di “sovranità” francese sull’isola negli articoli 3 e 4 del Trattato di Versailles del 1768, essa sarebbe equivalente non al concetto di “proprietà”, ma, bensì di “possesso” nel diritto civile.

 Dunque, la sovranità sulla Corsica acquisita dalla Francia col Trattato di Versailles del 1768, non equivarrebbe alla proprietà dell’isola, poiché la stessa Serenissima Repubblica di Genova che ha ceduto per i debiti contratti la Corsica alla Francia, avrebbe goduto solo del possesso temporaneo della Corsica, perché formalmente la proprietà dell’isola sarebbe rimasta “de iure” allo Stato Pontificio.

 Tra l’altro, con l’art. 4, del Trattato di Versailles, la Serenissima Repubblica di Genova si sarebbe riservata il diritto di rientrare in possesso dell’isola non appena fosse stata in grado di pagare i debiti alla Francia.

 Quindi, non avendo la “proprietà” dell’isola, ma solo il “possesso” temporaneo della Corsica, la Francia, non ha mai potuto registrare all’Onu il Trattato di Versailles del 1768.

 Stessa situazione varrebbe in linea teorica per il territorio di Nizza e per la regione della Savoia che sono stati ceduti dal Regno di Sardegna alla Francia dopo la Seconda Guerra d’Indipendenza, ma in questo caso, si sono tenuti dei plebisciti di annessione, cosa che non è nemmeno avvenuta invece in Corsica., dove l’art 4 del Trattato di Versailles del 1768 ha lasciato la sovranità formale sulla Corsica alla Repubblica di Genova e la “proprietà” dell’isola allo Stato Pontificio, soppresso de iure col Concordato del 1929, che ha addirittura stabilito che le sue pertinenze giuridiche passassero allo Stato Italiano ! ! !

 Precisamente, il possesso dell’isola, Genova lo avrebbe ceduto al Re di Francia, come prevedeva l’Assolutismo d’Ancien Regime, dove non c’era distinzione fra il patrimonio reale da quello dello Stato, a cui poi è seguito con l’avvento della Rivoluzione Francese giacobina il decreto di riunione della Corsica alla Francia del 30 novembre 1789 che comunque sia non sarebbe valido, poiché violerebbe l’art. 4 del Trattato di Versaillede del 1768.

 La Francia, inoltre, avendo invaso la Repubblica di Genova nel 1797, avrebbe leso la sovranità della Serenissima, venendo meno agli accordi presi nel Trattato del 1768, in cui si impegnava a difendere i diritti e a garantire la piena sovranità genovese.

 In 250 anni, secondo i nazionalisti corsi, la Corsica e il popolo Corso, avrebbero subito dalla Repubblica Francese una vera e propria francesizzazione forzata a livello etnico – linguistico con la despoliazione di ogni risorsa.

 Nelle scuole di Ajaccio e di Bastia, il Corso non è una lingua obbligatoria, come non è la lingua ufficiale nei documenti della pubblica amminstrazione. Ci sono anche alcuni professori francesi che vietano agli studenti corsi di dire “Bonghjurnu” in lingua corsa, anziché “bonjour” ! ! !

 Negli ultimi decenni, molti imprenditori francesi hanno investito in Corsica e negli ultimi anni molti cittadini Francesi, anche di etnia africana, si sono trasferiti a vivere in Corsica. Anche se le aree interne dell’isola, prevalentemente montuose, restano scarsamente popolate. Per capire esattamente la situazione demografica della Corsica, bisogna dire che ha una popolazione residente di poco superiore a quella del Molise, ma con circa il doppio del territorio e quasi la metà della densità di popolazione.

 Implacabili sarebbero poi i numeri della popolazione dell’isola di origine corsa che continuando con questo andazzo rischia di scomparire: nel 1983 i Corsi erano 110 mila sul totale di 230 mila abitanti, cioè quasi la metà della popolazione; mentre attualmente l’isola è abitata da 320 mila abitanti, di cui i Corsi, ormai sono solo 80 mila ! ! !

 Come abbiamo già detto, secondo i nazionalisti corsi, l’annessione della Corsica alla Francia non sarebbe regolare dal punto di vista del diritto internazionale, poiché non sarebbe comunque sia mai stata ratificata da un referendum popolare (plebiscito), a cui oggi potrebbero ricorrere invece i Corsi per dichiarare l’indipendenza della loro terra dalla Repubblica Francese, ricorrendo magari prima alla Corte Costituzionale di Parigi, o addirittura rivolgendosi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ad esempio tramite il governo italiano che potrebbe essere interessato e legittimato a farlo, in quanto “de iure” “proprietario” dell’isola, secondo l’interpretazione data al Trattato di Versailles del 1768 ! ! !

 Di certo non sarà facile convincere la sciovinista Repubblica Francese a riconoscere nemmeno l’autonomia della Corsica che tra l’altro strategicamente riveste un ruolo molto importante nello scachiere mediterraneo anche nell’ottica dello scontro italo – francese incentrato sulla gesteione dei flussi migratori, sul nuovo governo libico e sul controllo delle risorse del Mar Ligure e di Sardegna, anche per la presenza della base dell’aeronautica militare francese di “Solenzara” nel Comune di Ventiseri.

 

 Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

tratto da: (clicca qui)

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Secondo la Russia «vi è ragione di credere che dietro all’assassinio vi sia il regime di Kiev». Ennesima infamia contro chi lotta per un suo sacrosanto diritto naturale

 

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Il leader dei separatisti di Donetsk, Aleksandr Zakharchenko, è stato ucciso da un’esplosione nel centro della principale città del sud-est ucraino in guerra. Lo riferiscono diversi media russi e ucraini.

La deflagrazione è avvenuta nei pressi del bar Separ. Secondo una fonte dell’ufficio di Zakharchenko interpellata dall’agenzia di stampa russa Interfax, nell’esplosione è rimasto ferito anche un altro leader dei ribelli filorussi: il ministro delle Finanze dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, Aleksandr Timofeyev.  

I separatisti sostengono che si sia trattato di un attentato. Il ministero degli Esteri russo ha subito puntato il dito contro il governo di Kiev per la morte di Zakharchenko. 

«Vi è ogni ragione di credere che dietro all’assassinio c’è il regime di Kiev», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, commentando la notizia della morte.  

Chi era  

Zacharcenko, classe 1976, dal 4 novembre 2014 era presidente dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, di cui aveva già ricoperto la carica di primo ministro dal 7 agosto 2014 dopo che, nell’aprile dello stesso anno, era stato al comando della milizia separatista che partecipò alla conquista della sede di governo nel centro di Donetsk.  

Nel febbraio del 2015 ha rappresentato la Repubblica Popolare di Donetsk nelle trattative per la stipula del trattato di pace di Minsk II, dichiarando una vittoria per le repubbliche di Donetsk e di Lugansk, conseguentemente all’esito della battaglia di Debaltsevo. 

tratto da: (clicca qui)